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13/05/2025

Il tempo del conflitto

Portogruaro, primavera del 2025. Un rider riceve un ordine: consegnare un panino da Burger King a una località distante 25 chilometri, per un totale di 50 chilometri tra andata e ritorno, con un compenso lordo di 3,20 euro. Sotto la pioggia, con mezzi propri e senza rimborso spese, il lavoratore si rifiuta. La piattaforma reagisce disattivando il suo palmare, escludendolo dal sistema di assegnazione degli ordini. In risposta, sei colleghi organizzano uno sciopero spontaneo, rifiutando ulteriori consegne per quel punto vendita e chiedendo scuse pubbliche.

Questo episodio non è un’anomalia, ma rappresenta la normalità del lavoro nel capitalismo digitale. Il comando è algoritmico, impersonale, eppure assoluto. Il rifiuto del rider rompe la fluidità del sistema, evidenziando la tensione tra il lavoro vivo e il capitale.

La gestione algoritmica del lavoro è una forma di controllo che riduce i lavoratori a funzioni, monitorando ogni azione e penalizzando ogni deviazione dalla norma. Il Tribunale di Bologna tra l’altro, ha riconosciuto come discriminatorio il sistema di profilazione dei rider adottato da Deliveroo, che penalizzava chi non partecipava alle sessioni prenotate per motivi legittimi, equiparandoli a chi non partecipava “senza giustificazione” e comunque, una sentenza non è abbastanza e non può esserlo. Una sentenza è un argine fragile e tutta dentro la piena che vorrebbe contenere.

La lotta dei rider si inserisce in un contesto più ampio di mobilitazioni contro le condizioni di lavoro imposte dal capitalismo contemporaneo. Nei magazzini Amazon, i lavoratori hanno scioperato per chiedere migliori condizioni di lavoro e aumenti salariali, denunciando ambienti caratterizzati da carenze sistemiche di sicurezza e alti tassi di infortuni.

Le cooperative sociali hanno visto una mobilitazione nazionale il 10 aprile 2024, con manifestazioni a Roma e in altre città, per chiedere l’internalizzazione dei servizi esternalizzati, aumenti salariali e il riconoscimento del lavoro di cura come usurante.

Nel settore dei call center, i lavoratori hanno protestato contro la disdetta del contratto nazionale delle telecomunicazioni, chiedendo la tutela dei diritti e del salario. Anche il personale degli istituti ANINSEI ha scioperato il 31 ottobre 2024, chiedendo il rinnovo del contratto e migliori condizioni di lavoro.

Queste mobilitazioni evidenziano una crescente consapevolezza tra i lavoratori della necessità di opporsi alle logiche di sfruttamento e precarizzazione imposte dal capitale. Il rifiuto del rider di Portogruaro è un atto di insubordinazione che rompe la catena del comando algoritmico e potrebbe aprire spazi di resistenza e organizzazione collettiva.

È tempo di riconoscere, senza più riserve, che la centralità del lavoro vivo non è una nostalgia, ma la leva reale per la trasformazione del presente. Che la soggettività non è un ornamento, ma la materia politica più concreta che abbiamo. E che ogni atto di insubordinazione – anche il più piccolo, il più fragile, il più solitario – contiene già in sé la possibilità di un’altra organizzazione della vita.

Il capitale ha unificato il comando: ha reso la vita stessa parte del ciclo produttivo, ha trasformato il tempo in merce, lo spazio in logistica, il corpo in prestazione. Ma proprio per questo la crepa si apre ovunque. Nella stanchezza che non produce, nel silenzio che non risponde, nel rifiuto che non collabora. Ed è da quella crepa che può passare il futuro.

Se comprendiamo che il tempo è nostro ma solo se ci sottraiamo al tempo della valorizzazione, che lo spazio è nostro ma solo se lo attraversiamo insieme e che anche il corpo è il nostro ma solo se non accetta più ricatto, se a questo vi si sottrae, allora avremo già una dichiarazione di guerra che inizi ad essere almeno sufficiente.

E va rammentato sempre: il capitalismo non è solo un sistema economico. È una macchina storica di espropriazione. Espropria tempo, espropria linguaggio, espropria futuro. Trasforma ogni relazione in profitto, ogni desiderio in prestazione, ogni corpo in vettore di sfruttamento: un potere totalizzante che socializza i sacrifici e privatizza i guadagni. E pretende pure riconoscenza.

Ma ogni giorno, sotto la superficie liscia del mercato, il conflitto ribolle. Nelle pause rubate, nei turni rifiutati, nei silenzi ostinati, negli scioperi improvvisi. In ogni gesto che si sottrae al ritmo imposto, il capitale scopre la sua fragilità. Perché il lavoro vivo non è docile. È carne che pensa. È intelligenza collettiva. È materia storica. E quando si rialza, non chiede riforme: reclama giustizia.

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