Il 27 maggio Confindustria ha svolto la sua assemblea annuale. Sul palco bolognese hanno sfilato la ministra dell’Università Anna Maria Bernini, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, e ovviamente anche Giorgia Meloni, a dimostrazione della stretta connessione tra la classe dirigente del paese e i ‘prenditori’ italiani.
Ma nel pieno della crisi industriale continentale e della transizione dei suoi sistemi produttivi verso un’economia di guerra, l’evento è diventato una lente per leggere i nodi della UE. Innanzitutto perché vi era presente anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, che ha elogiato il made in Italy, e poi anche Palazzo Chigi.
“Un particolare riconoscimento alla leadership della presidente Meloni, per aver contribuito a mantenere l’Italia al centro delle decisioni europee e per aver insistito su soluzioni di buon senso”. Probabile che il riferimento non fosse solo alla dimensione economica, ma anche e soprattutto a quella geopolitica, con il governo che prova a tenere il piede nelle due staffe di Washington e Bruxelles.
La stessa presidente del Consiglio ha ricordato il ruolo svolto nel promuovere il dialogo tra le due sponde dell’Atlantico. E tuttavia Meloni non ha lasciato senza critiche la UE, con stoccate mirate che sembrano indicare la volontà di approfittare della kermesse di Confindustria per fare campagna elettorale tra il proprio riferimento sociale – quello degli imprenditori.
La leader di Fratelli d’Italia ha infatti affermato che bisogna “avere il coraggio di contestare e correggere un approccio ideologico alla transizione energetica”, sottolineando il fatto le filiere green sono controllate dalla Cina. Una campagna elettorale più o meno a costo zero rispetto ai rapporti con Bruxelles, dato che la Commissione Europea sta già nettamente rivedendo le normative sulla sostenibilità per venire incontro alle esigenze dell’economia di guerra.
“Ancora oggi non riesco a capire il senso strategico di fare una scelta del genere”, ha detto. Insomma, più un invito a creare una UE forte nella competizione globale, e al diavolo l’ambiente o le condizioni di vita di lavoratori e pensionati, che poco si adeguano al profitto. In questa direzione vanno infatti anche le parole spese sulle barriere commerciali interne.
“Il costo medio per vendere un bene tra gli Stati dell’Unione Europea equivale a una tariffa di circa il 45%, rispetto al 15% stimato per il commercio interno negli Stati Uniti”, ha detto Meloni, “per non parlare dei servizi, dove la tariffa media stimata arriva al 110%”. Anche Metsola ha ribadito che la UE “deve abbattere le barriere, non alzare ostacoli”.
Una grande sintonia tra Roma e Bruxelles, dunque, anche se rimane sul piatto il problema dei costi dell’energia, su cui Meloni ha voluto spendere parole di rassicurazione. Tutti insieme, questi temi sono stati toccati anche dal presidente di Confindustria, che ha chiesto al governo un intervento assai sostanzioso.
“Per tutto questo – ha detto Orsini – pensiamo ad un sostegno agli investimenti di 8 miliardi di euro l’anno per i prossimi 3 anni. Ancora meglio se avessimo un orizzonte temporale di 5 anni”. Parliamo di una cifra in media un poco più bassa di quella che è stata spesa ogni anno per il reddito di cittadinanza, ma in questo caso nessuno si azzarda a dire che sono sussidi per scansafatiche...
Sulla linea di Meloni e Metsola, anche per Orsini la cornice di questa iniziativa rimane quella del mercato comunitario: “serve un piano industriale straordinario europeo, basato su investimenti e abbattimento degli oneri burocratici”. E qui arriva però anche la richiesta di un profondo cambiamento delle regole europee.
“Comprendiamo che l’Europa debba spendere di più e meglio per la propria difesa. Ma la guerra commerciale va affrontata con la stessa determinazione e con investimenti straordinari altrettanto necessari”, aggiungendo che “non è possibile che l’unica eccezione per sforare il Patto di Stabilità sia relativa alla spesa per la difesa”.
“Se questo non accade, avremo dato ragione a chi non vuole un’Europa né più unita, né più forte”, ha concluso Orsini. Dai discorsi fatti a Bologna si capisce che tra vertici europei, italiani e dell’imprenditoria nazionale c’è una sostanziale intesa nell’orizzonte della costruzione di una UE come attore a tutto tondo della competizione globale.
Quello che Confindustria ha voluto mettere in chiaro è che però le regole di un tempo non sono più adatta a questa nuova fase storica. Per quanto ciò sia evidentemente vero, c’è da capire quanta leva possiede davvero il tessuto produttivo italiano, rappresentato da Meloni, nel promuovere questi cambiamenti nei consessi che contano, quelli di Bruxelles.
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