Alla fine ci si sta accorgendo che l’“inverno demografico” è un problema strategico per tutto l’Occidente neoliberista. Anche se non solo per questa parte del mondo.
La cosa curiosa – diciamo così – è che sia passato quasi inosservato per le conseguenze immediatamente economiche, che pure sono clamorose e devastanti. L’Italia è notoriamente in fondo a tutte le classifiche, dunque non stupisce che lo sia anche in questa.
Qui da noi, nel 2024, sono nati appena 370.000 bambini, poco più del 60% rispetto ai 526.000 del 1995, ma circa il 35% rispetto all’oltre un milione del 1964.
Al di là dei numeri assoluti è indispensabile tener d’occhio la percentuale di figli per donna – si tratta ovviamente della classica “media del pollo”, non di una regola – arrivata ad un terribile 1,18. Nel 1964 era a 2,7, ben al di sopra della percentuale che garantisce una popolazione costante (2,1, tenendo conto di malattie, incidenti, ecc.).
Sembra matematico – è il caso di dire – concluderne che andando avanti così il nostro paese (come del resto gli altri europei) si svuoterà di “indigeni” nell’arco di un paio di generazioni, ingigantendo le difficoltà di “rimpiazzo” in tutte le professioni e funzioni, comprese quelle essenziali. La via del declino appare insomma segnata e irreversibile, stante questo sistema di vita e produzione.
Visto che la guerra è tornata di moda, oltretutto nell’inattesa formula della “guerra di massa” evidenziata dal conflitto in Ucraina, anche gli analisti militari hanno preso a porsi la domanda: come cavolo si fa a fare una guerra “nell’epoca delle culle vuote”?
Silenzio, ovviamente, sulla causa principale: i salari sono scesi a tal punto che non garantiscono più – marxianamente – la “riproduzione della forza lavoro”. Un concetto che può essere inteso in senso molto restrittivo (un salario sufficiente a mantenere in vita il singolo lavoratore), ma che deve invece includere la possibilità o meno di mantenere una famiglia, crescere dei figli, mandarli a scuola, ecc..
Com’è noto, specie in Italia, il salario medio è ormai tale da non garantire più una dignitosa vita al lavoratore singolo, e quindi è assolutamente inadeguato alla “riproduzione” in senso proprio: mettere al mondo figli.
Per le donne, in particolare, il problema si raddoppia: i salari sono inferiori a quelli maschili e le imprese disincentivano pesantemente la maternità, arrivando a pretendere la firma di lettere di dimissioni in bianco da far valere nel caso la “dipendente” resti incinta.
Inevitabile dunque che “la manodopera” disponibile diventi insufficiente per qualsiasi impegno socialmente rilevante. Guerra compresa.
Come detto sopra, oltretutto, gli eserciti occidentali si erano ridisegnati sul modello statunitense della “guerra asimmetrica”, quella in cui una potenza tecnologicamente e industrialmente avanzata aggrediva un paese povero e privo di infrastrutture militari equivalenti, e quindi il conflitto vero e proprio si riduceva a bombardamenti devastanti seguiti da un prepotente insediamento di “forze speciali” in grado di gestire un conflitto “a bassa intensità” (guerriglia, terrorismo, rivolte popolari, ecc.).
Eserciti con questi compiti erano necessariamente di dimensioni più limitate, ricchi di tecnologia e competenze relative, ma “snelli” per quanto riguarda la fanteria o i mezzi corazzati necessari a mantenere gli stivali sul terreno.
L’Ucraina ha riportato in auge gli eserciti di massa, anche se dotati ormai di “droni combattenti” di varie dimensioni e ruoli (fino alla “caccia all’uomo” nelle trincee). Per una guerra “di attrito”, tra potenze in definitiva “simmetriche” – ossia con a disposizioni armamenti simili (le testate nucleari, per Kiev, sono quelle della Nato) – serve tanta gente perché si devono mettere in conto molte perdite.
Il che pone certamente un problema politico serio in società ormai abituate a considerare l’impegno “guerriero” come cosa delegata a “specialisti” ben pagati; così come anche un problema di “motivazione”, visto che gli alti stipendi possibili per truppe di elite non sono replicabili per “la massa”.
Neanche in Ucraina – che pure passa per paese dove la “volontà popolare” di combattere sarebbe altissima perché “proditoriamente aggrediti” – la chiamata alle armi riceve una risposta adeguata: “dal 2022 circa 500mila ucraini sono ricercati per avere evaso la mobilitazione dopo essere stati richiamati. Quest’ultimo dato suggerirebbe che un ucraino su tre, di fronte al richiamo per la mobilitazione obbligatoria, abbia preferito darsi alla macchia”, scrive Analisi Difesa.
Spostando la lente sulle popolazioni europee la situazione non migliora, anzi... E non soltanto perché ogni sondaggio restituisce un quadro “pacifista” straordinariamente maggioritario. Anche se l’animus pugnandi fosse elevatissimo, infatti, ci sarebbe un problema oggettivo inaggirabile: i numeri limitati.
Proprio la “crisi di manodopera” (il termine è usato dai militaristi, non è farina del nostro sacco) dell’esercito ucraino è illuminante. L’età media dei soldati al fronte è di 43 anni, la coscrizione obbligatoria ha fin qui risparmiato la fascia 18-25 perché troppo esigua per essere mandata al macello (la riduzione delle nascite negli ultimi decenni, anche lì, era stata fortissima).
Una eventuale chiamata alle armi – e l’inevitabile sacrificio massiccio che ne seguirebbe – lascerebbe letteralmente il paese privo di un’intera generazione. Interrompendo in modo devastante la “riproduzione” della popolazione, quindi la sopravvivenza del paese stesso.
Le contromosse per ovviare alla “scarsità di truppe” sono per Kiev peggiori del buco. La coscrizione obbligatoria per quanti sono fuggiti nel resto d’Europa (ipotesi già caldeggiata dai guerrafondai polacchi, che se ne ritrovano fin troppi nel proprio paese), con problemi politici inimmaginabili per tutta l’Unione Europea (gli altri Stati dovrebbero aprire la “caccia all’ucraino” da spedire al fronte), oppure l’invio di truppe “volenterose” occidentali, con il rischio di escalation ricordato ogni giorno da Mosca.
Siamo insomma davanti a una “coperta corta” che non si può stiracchiare o sostituire. Il trionfo del neoliberismo nel mondo euro-atlantico, nel corso degli ultimi 45 anni, ha fatto certamente crescere i profitti e le disuguaglianze, ha annientato i lavoratori, i loro diritti e soprattutto i loro salari.
Ma ora arriva il conto da pagare. “Se riduci il salario al di sotto del livello di riproduzione della forza lavoro” ti verrà a mancare proprio la forza lavoro. Sia per rimpiazzare le vecchie generazioni nella produzione, sia per fare una guerra, sia per alimentare la domanda interna e i tuoi stessi profitti (quando le esportazioni si riducono, magari per i problemi politici che tu stesso vai creando).
E neanche puoi pensare di “sostituire” quelle masse scomparse con altre provenienti dal Terzo Mondo. Perché proprio tu – capitalista di merda egoista, ottuso, avido, imbecille e incapace di previsioni – hai lasciato crescere la xenofobia razzista che ora pretende di “governare” il declino (in assenza di qualsiasi idea “espansiva”) “remigrando” gli immigrati.
Un sistema alla fine, che si è nutrito di morte e che continua a produrne, ma che ora deve tirare le cuoia. Perché l’umanità sopravviva...
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