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24/05/2025

Siria: l’Occidente riduce le sanzioni, ma evoca disastri

Nell’ambito del viaggio di Trump nei paesi del Golfo, condito da momenti pittoreschi, uno dei passaggi più rilevanti è stato l’incontro che il Presidente USA ha effettuato in Arabia Saudita, accompagnato del principe ereditaria Mohammed bin-Salman, con il leader di HTS Al-Golani, nelle vesti di Presidente ad interim della Siria. Si tratta del primo incontro ai massimi livelli fra USA e Siria da 25 anni.

“Ordinerò la cessazione delle sanzioni contro la Siria per darle una possibilità di grandezza”, ha dichiarato il capo della Casa Bianca, “è il loro momento di brillare. Le stiamo togliendo tutte. Buona fortuna Siria, mostraci qualcosa di molto speciale”.

Successivamente, sull’aereo presidenziale, il livello di esaltazione ha raggiunto l’apoteosi, toccando l’aspetto estetico e niente di meno che il passato di Al-Golani: “È un ragazzo giovane, attraente e tosto. Con un passato molto forte. Un combattente”.

Si ricorda che, quando la sua barba era un po’ più incolta e l’aspetto un po’ meno elegante, sulla testa del capo qaedista pendeva una taglia di 10 milioni di dollari, emessa dalla prima amministrazione Trump nel 2017.

Più lucida è stata la dichiarazione ufficiale rilasciata dagli organi della Casa Bianca, secondi i quali “il presidente ha chiesto alla Siria di rispettare diverse condizioni in cambio dell’allentamento delle sanzioni, tra cui l’obbligo per tutti i terroristi stranieri di lasciare la Siria, la deportazione dei terroristi palestinesi e l’aiuto agli Stati Uniti per impedire la rinascita dell’ISIS”.

Al di là degli aspetti stravaganti, la mossa di Trump appare come un segnale, da parte della sua amministrazione, di voler affidare la gestione del dossier siriano all’Arabia Saudita. È stata proprio la tutela garantita dall’Arabia Saudita al nuovo regime, dopo una riluttanza iniziale, a convincere Washington a parlare di cessazione delle sanzioni.

La Turchia e il Qatar, che avevano più di ogni altro sostenuto l’ascesa di HTS, non erano riusciti ad ottenere questo risultato da soli.

Inoltre, si tratta di un’ennesima presa di distanza, da parte di Trump, rispetto al regime sionista, che continua a non voler dialogare con le nuove autorità siriane e prosegue nella sua strategia espansionista ben oltre l’area del Golan, nonostante la leadership qaedista, per mostrarsi accondiscendente, abbia aperto addirittura all’adesione agli accordi di Abramo, offrendo in cambio la repressione delle organizzazioni della Resistenza Palestinese e la revoca di fatto dello status di rifugiati ai Palestinesi di Siria.

A seguito delle dichiarazioni d’intenti trumpiane, intanto, sono venute nei giorni scorsi quelle dell’Unione Europea, dello stesso tenore, per bocca della rappresentante per la politica estera Kaja Callas: “Oggi abbiamo preso la decisione di revocare le sanzioni economiche alla Siria. Vogliamo aiutare il popolo siriano a ricostruire una Siria nuova, inclusiva e pacifica. L’UE è sempre stata al fianco dei siriani negli ultimi 14 anni e continuerà a farlo”.

Ovviamente si tratta di passaggi da accogliere positivamente per il popolo siriano, al di là dei giudizi sul regime che governa il paese: 14 anni di guerra civile e di sanzioni draconiane, fra cui il Caesar Act, imposto dagli USA nel 2020, hanno determinato la discesa al sotto della soglia di povertà del 90% della popolazione e reso vano ogni tentativo di ricostruzione, in quanto ad essere colpiti sono stati anche paesi ed entità terze, rispetto all’Occidente, che volessero avere rapporti economici con la Siria.

Inoltre, gli emigrati sono impossibilitati ad inviare denaro e viveri in patria, così come è impossibile qualsiasi forma di crowfounding, essendo bloccato il sistema swift.

Da un punto di vista politico, però, occorre effettuare qualche riflessione in più: ottiene i suoi frutti il completo azzerbinamento, da parte della nuova leadership qaedista, ai diktat occidentali, in particolare per quanto riguarda la presa di distanza completa dall’Asse della Resistenza, la repressione della Resistenza Palestinese ed anche lo smantellamento del settore pubblico dell’economia, nel quale sono in corso licenziamenti di massa.

Questi ultimi sono tutti punti rispetto ai quali il precedente regime baathista aveva una linea notoriamente molto diversa, che è costata anni di guerra e sanzioni e, in ultima analisi, l’indebolimento interno propedeutico all’improvvisa caduta del dicembre 2024, nonostante i tentativi di trattativa intavolati negli ultimi tempi con la stessa Arabia Saudita. Le garanzie offerte da Assad, evidentemente, non erano quelle richieste.

Si tratta, quindi, di un segnale politico potenzialmente pericolosissimo, in quanto si intende trasmettere il messaggio che conviene allinearsi alle esigenze politiche imperialistiche, anziché percorrere la strada dell’indipendenza e dell’autodeterminazione. In tal caso si viene premiati anche se si è dei noti tagliagole, con un conclamato curriculum criminale e di contrapposizione all’Occidente stesso.

E chi se ne frega delle conseguenze future, quando questa tattica spregiudicata potrebbe portare gli attuali sottoposti a ribellarsi (di nuovo) ai loro padroni. Evidentemente i casi dell’Afghanistan, quando l’Occidente aiutò a spodestare un regime laico e progressista a beneficio di quello talebano, e la stessa emersione dell’ISIS, non ancora del tutto debellato, non hanno insegnato niente.

I primi destinatari di questi avvisi sono i libanesi, che da anni subiscono le conseguenze di una crisi economica devastante e gli effetti della guerra sionista portata contro Hezbollah. “Sbarazzatevi anche voi della Resistenza, disarmate Hezbollah e ne avrete dei benefici economici e materiali”.

È questo il messaggio ideale che si cerca di veicolare attraverso l’annuncio della fine delle sanzioni alla Siria. Peccato sia sostanzialmente falso, in quanto il nuovo Presidente della Repubblica ed il nuovo governo libanese, espressioni delle pressioni di USA e Arabia Saudita, non siano riusciti ad ottenere assolutamente nulla dal loro atteggiamento accondiscendente nei confronti di questi due paesi ed ostile nei confronti di Hezbollah e della Resistenza Palestinese: il regime sionista bombarda il paese a proprio piacimento e non è in vista nessun aiuto economico sostanziale e decisivo.

In ultima analisi, anche sulla Siria le promesse si configurano come vane, innanzitutto perché non è chiaro come, ed in che misura, l'abolizione delle sanzioni si tradurrà in fatti. In secondo luogo, perché gli USA stessi sono consapevoli che la situazione nel paese è tutt’altro che stabile.

In un tentativo di giustificare di fronte ai senatori repubblicani islamofobi la mossa di Trump di aprire ad un governo composto da qaedisti, infatti, il Segretario di Stato Marco Rubio si è lasciato andare anche lui a dichiarazioni clamorose.

“Le figure delle autorità di transizione non hanno superato la verifica dei precedenti con l’FBI. Se li coinvolgiamo, potrebbe funzionare, potrebbe non funzionare. Se non li coinvolgiamo, è garantito che non funzionerà” ha cominciato giustificandosi, per poi sganciare una bomba che mina radicalmente la credibilità di Al-Golani e soci: il nuovo governo siriano “date le sfide che sta affrontando, è forse a settimane, non mesi, da un potenziale collasso e da una guerra civile su vasta scala di proporzioni epiche, con la conseguente disgregazione del Paese”.

Del resto, gli attacchi alle minoranze, da parte delle milizie affiliate ad HTS, sono ancora in corso e assumono aspetti genocidari nei confronti degli alawiti, il problema dell’area autonoma del nord-est è ancora totalmente irrisolto, così come quello dell’area meridionale a predominanza drusa, su cui, come detto, incombe l’espansionismo sionista.

In definitiva, seppure l’annuncio di eliminare le sanzioni sulla Siria possa essere rivendicato come una vittoria da parte di Al-Golani ed il risultato della sua “rivoluzione” in politica estera ed economica, la sua posizione resta costantemente sulla graticola e lo stremato popolo siriano è ben lontano dal raggiungere condizioni di stabilità e materiali decenti. Che sicuramente non potranno essere raggiunte sotto un regime di stampo confessionale assoggettato all’imperialismo.

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