Un sondaggio effettuato lo scorso marzo dalla Pennsylvania State University e pubblicato in ebraico da Haaretz – ma rilanciato anche da varie altre testate giornalistiche – ha rilevato che l’82% degli ebrei israeliani è a favore del ricollocamento forzato della popolazione di Gaza. Insomma, più di quattro ebrei israeliani su cinque sostengono la pulizia etnica dei palestinesi.
Ci sono però forse altri dati che suscitano ancora più inquietudine. Alla domanda se l’esercito israeliano debba agire a Gaza come nella storia biblica gli Israeliti fecero con gli abitanti di Gerico quando conquistarono la città, ovvero sterminandoli tutti, ben il 47% degli israeliani ha risposto affermativamente.
In pratica, un ebreo israeliano su due vuole la cancellazione fisica dei gazawi. Queste opinioni criminali, del resto, sono proprio il terreno su cui, all’inizio delle operazioni nella Striscia dopo il 7 ottobre 2023, Netanyahu fondò la legittimazione di quella che definì una sorta di guerra santa, che ricordava lo scontro biblico con gli Amaleciti, sterminati per ordine divino.
Infatti, il 65% degli intervistati ritiene che esista davvero una “incarnazione contemporanea di Amalek”, capo ancestrale di quel popolo. E ben il 93% di quel 65% è convinto che “il comandamento di cancellare la memoria di Amalek sia pertinente anche all’Amalek dei giorni nostri”. Una fetta maggioritaria della società israeliana associa il genocidio dei palestinesi a una missione divina.
Un altro sondaggio, condotto da Channel 13, ha mostrato che il 44% degli israeliani sostiene la corrente invasione di Gaza, legata al piano Trump di ricollocamento della popolazione della Striscia, su cui, per la NBC News, la Casa Bianca sta lavorando attivamente. Ma ad ogni modo, il 53% degli israeliani ritiene che Israele non dovrebbe consentire l’ingresso di aiuti umanitari nell’enclave.
Ma c’è ancora di più. Spesso sentiamo la retorica per cui, se solo i palestinesi non sostenessero il cosiddetto ‘terrorismo’ di Hamas o di altre sigle della resistenza, allora potrebbero vivere in pace con gli israeliani, come fanno alcuni cittadini non ebrei dello stato sionista. Il sondaggio di Haaretz invece riporta che per il 56% degli intervistati si dovrebbero espellere forzatamente anche i cittadini arabi di Israele.
Numeri che sono aumentati nettamente nell’ultimo ventennio, a dimostrazione che l’intera società israeliana ha vissuto un accelerato processo di radicalizzazione ulteriore. E questo perché il problema di fondo, per quanto tanti media asserviti vogliano propinare l’associazione tra antisionismo e antisemitismo, è proprio l’ideologia suprematista ed etnico-religiosa su cui si fonda Israele.
È il sionismo, quello israeliano come quello delle nostre latitudini, il pericolo di fondo che sta trascinando tutto il Medio Oriente in guerra, e con esso anche i nostri paesi. Non è – solo – il governo Netanyahu a dover essere contrastato, nonostante il netto posizionamento all’estrema destra dello spettro politico, ma è questa ideologia che trova le sue radici nel colonialismo europeo dello scorso secolo.
È il sionismo a essere intrinsecamente nemico del diritto internazionale e della democrazia, e per questo va denunciata la strumentalità con cui, in Italia ad esempio, sentiamo ora parlare da parte di alcuni membri dell’opposizione di genocidio, senza mettere alla sbarra però la natura palesemente discriminatoria e terroristica di Israele.
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