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31/05/2025

Rubio come McCarthy, gli Usa tornano indietro di 70 anni

di Michelangelo Cocco

Gli studenti statunitensi in Cina sono diventati merce rara. Secondo i dati ufficiali sono rimasti in circa 800. Del resto, perché dovrebbero frequentare gli atenei di un paese che dai loro governi viene dipinto come una minaccia?

I cinesi invece, più che alla propaganda, badano al sodo. Chi può va negli States a prendersi un titolo di studio che, in patria o all’estero, è più spendibile del corrispettivo cinese sul mercato del lavoro. Per questo nell’anno accademico 2023-2024 negli Usa erano registrati 277.400 studenti cinesi, secondi solo agli indiani e 1/4 del totale degli studenti stranieri.

Ora però l’amministrazione Trump vuole frenare questo flusso, one-way, come confermano i numeri.

Infatti il segretario di stato, Marco Rubio, ieri ha annunciato che Gli Stati Uniti «revocheranno aggressivamente i visti per gli studenti cinesi». Il capo della diplomazia di Trump ha chiarito che il suo dipartimento di stato collaborerà con quello per la sicurezza interna sulle cancellazioni, che riguarderanno gli studenti cinesi, «compresi quelli con legami con il Partito comunista cinese o che studiano in settori critici».

Non solo revoche, ma – ha concluso Rubio – «rivedremo anche i criteri per i visti, per migliorare il controllo di tutte le future domande provenienti dalla Repubblica popolare cinese e da Hong Kong».

I “legami col partito comunista” e gli “studi in settori critici” di cui ha parlato Rubio sono, finora, concetti vaghi, che potenzialmente includono qualsiasi studente cinese negli Usa. Sembra prendere così corpo l’idea, odiosa, di negare l’accesso alle università Usa ai cinesi in quanto cinesi.

E così sui media e sui social cinesi sono subito rimbalzate le accuse di “maccartismo”, ovvero la caccia alle streghe contro comunisti e presunti tali scatenata negli anni Cinquanta dal senatore repubblicano Joseph McCarthy.

Il ministero degli esteri di Pechino ha reagito con durezza. «L’irragionevole decisione di revocare i visti agli studenti cinesi con il pretesto dell’ideologia e della sicurezza nazionale nuoce gravemente ai diritti e agli interessi legittimi degli studenti cinesi e interrompe gli scambi tra noi», ha dichiarato Mao Ning.

Secondo la portavoce «una mossa così politicizzata e discriminatoria mette a nudo la menzogna degli Stati Uniti sulla loro cosiddetta libertà e apertura e non farà che minare ulteriormente la loro immagine nel mondo e la reputazione nazionale».

Gli studenti cinesi contribuiscono in maniera significativa al finanziamento degli atenei Usa e sono tra i più brillanti, soprattutto nelle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Perché allora prenderli di mira con quest’ultima proposta di Rubio, dopo che già negli ultimi anni scienziati e ricercatori cinesi negli Usa hanno denunciato controlli e persecuzioni da parte delle autorità e molti sono per questo ritornati in Cina?

Il motivo è duplice.

Da un lato si cerca di prosciugare il fiume in piena di giovani scienziati che – dopo essersi formati negli Usa – torna in patria per contribuire alla Nuova era proclamata da Xi Jinping, della quale la cosiddetta “innovazione autoctona”, ovvero il progresso scientifico-tecnologico made in China rappresenta una componente essenziale. Rispetto a qualche anno fa tornare a lavorare in Cina ha per i cinesi lo stesso fascino, se non maggiore, di costruirsi una vita negli States.

Dall’altro le politiche anti-Cina sono popolari negli Stati Uniti e dunque possono rafforzare il consenso dell’amministrazione Trump. Secondo gli ultimi dati del Pew Research Center, il 77 per cento degli americani ha un’opinione negativa della Cina.

Da entrambi i punti di vista – sia quello che attiene alla competizione tecnologica Cina-Usa, sia quello che riguarda la costruzione del consenso da parte di Trump – l’uscita di Rubio ha senso. Peccato che rappresenti una violazione di principi democratici di base.

Come dar torto al tabloid nazionalista Global Times, che ha commentato:
“Di fronte alla regressione storica degli Stati Uniti, nessun settore dovrebbe rimanere in silenzio. Ogni paese ha il diritto di salvaguardare la propria sicurezza, ma adottare politiche discriminatorie nei confronti degli studenti di un determinato paese è indubbiamente un atto deliberato volto ad alimentare le tensioni tra le nazioni. La Cina ha già protestato con gli Stati Uniti per la decisione, ma questo non dovrebbe limitarsi a livello bilaterale.

Governi, università e organizzazioni civili di tutto il mondo dovrebbero prendere posizione e condannare la politicizzazione dell’istruzione. Non si tratta solo di difendere i diritti degli studenti cinesi, ma anche di sostenere i principi di equità e cooperazione educativa globale.

Prendere di mira indiscriminatamente gli studenti cinesi in base alla loro nazionalità o al loro campo di studi è una politica sconsiderata che non solo deteriora il clima sociale e l’ambiente accademico negli Stati Uniti, ma alimenta anche la divisione, vuol dire danneggiare gli altri senza trarre vantaggio per sé.

La comunità accademica globale, comprese le università statunitensi, dovrebbe unirsi nell’invitare Washington a tornare alla ragione e a smettere di usare gli studenti cinesi come capri espiatori per scopi politici interni, e a smettere di trasformare le istituzioni accademiche in campi di battaglia per scontri politici.”
In Occidente, quello di Qian Xuesen è un nome pressoché sconosciuto. In Cina, al contrario, il padre dei missili balistici intercontinentali e dei programmi spaziali della Repubblica popolare è oggetto di venerazione. A Shanghai gli hanno dedicato un museo che ne ripercorre la carriera e le sperimentazioni, un edificio di tre piani nel quale le visite guidate di scolaresche e dipendenti pubblici che vengono introdotti al mito dello “scienziato del popolo” si succedono senza soluzione di continuità.

Nato nel 1911 ad Hangzhou, nel 1934 Qian si laureò in Ingegneria meccanica all’Università Jiaotong di Shanghai. L’anno successivo – grazie a una borsa di studio dell’indennità dei Boxer – fece rotta sul Massachusetts Institute of Technology, dove ottenne un master in Ingegneria aeronautica. Nel 1939 conseguì il dottorato al California Institute of Technology, sotto la guida del più importante ingegnere aeronautico del tempo, Theodore von Kármán, che lo definì “un genio indiscusso”.

Nel 1949, mentre a Pechino Mao proclamava la nascita della Repubblica popolare, Qian fondava a Pasadena il Jet Propulsion Laboratory (JPL) del California Institute of Technology, di cui assunse la direzione, lavorando su sistemi di armamento segreti come il programma per lo sviluppo di vettori intercontinentali Titan e il Private A, il primo propellente solido testato con successo negli Stati Uniti.

Nel 1950 si aprì la stagione del maccartismo e, quello stesso anno, due ex agenti della “Squadra rossa” della polizia di Los Angeles, incaricata di indagare e controllare attività radicali, scioperi e rivolte, lo accusarono di essere membro del Partito comunista. Qian fu fermato con otto casse di bagaglio mentre stava partendo assieme alla moglie e ai due figli, per far visita ai suoi anziani genitori in Cina. Secondo le autorità statunitensi, quei bauli contenevano materiale classificato che lo scienziato intendeva far uscire illegalmente dagli Usa.

Nonostante si fosse professato innocente e malgrado le proteste delle comunità accademica californiana, Qian venne prima costretto agli arresti domiciliari e infine, nel 1955, rispedito da San Francisco a Hong Kong a bordo della nave “SS President Cleveland”. «Non ho intenzione di tornare, non ho nessun motivo per tornare… farò del mio meglio per aiutare il popolo cinese a costruire la nazione dove potrà vivere con dignità ed essere felice», dichiarò ai giornalisti prima di lasciare per sempre gli Stati Uniti.

«È stata la cosa più stupida che questo paese abbia fatto – sostenne il segretario della marina USA Dan Kimball – Qian non era più comunista di me, e noi l’abbiamo costretto ad andarsene».

Rientrato in patria, il Partito comunista accolse Qian a braccia aperte, affidandogli la fondazione dell’Istituto di meccanica di Pechino e assicurandogli un posto nella prestigiosa Accademia delle scienze.

Qian spese tutta la sua carriera in Cina (morirà a Pechino il 31 ottobre 2009, a 98 anni) per modernizzare i sistemi missilistici dell’Esercito popolare di liberazione e i programmi spaziali nazionali. Nella sua biografia ufficiale è ricordato così:
Qian Xuesen fu un membro eminente e devoto del Partito comunista cinese, un grande scienziato noto come il padre dell’industria aerospaziale cinese, senior fellow dell’Accademia cinese delle scienze di ingegneria, e vicepresidente del sesto, settimo e ottavo Comitato nazionale della Conferenza politico-consultiva del popolo cinese.

Qian è stato uno dei fondatori della moderna meccanica in Cina. Promosse ricerche teoretiche e applicate sull’ingegneria dei sistemi e diede un contributo inestimabile al lancio e allo sviluppo di razzi, missili e programmi spaziali in Cina e fu un pioniere in diversi campi, tra i quali l’aerodinamica, l’ingegneria aeronautica, la propulsione a getto, l’ingegneria cibernetica e la fisica meccanica.¹
Note

1) Michelangelo Cocco, Una Cina “perfetta”: la Nuova era del PCC tra ideologia e controllo sociale, 2020, Carocci editore.

Fonte

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