Nella Financial Stability Review pubblicata dalla BCE per questo mese di maggio, l’istituto sottolinea un pericolo che anche dalle pagine di questo giornale avevamo già denunciato – e con esso, la logica stessa dei vincoli europei, cosa che invece non ha ovviamente fatto la banca europea –: l’aumento delle spese militari può condurre molti paesi UE verso una nuova crisi del debito sovrano.
Si legge nel rapporto BCE: “gli aumenti della spesa per la difesa finanziati dal debito e l’ulteriore aumento della spesa per interessi potrebbero complicare il percorso verso il consolidamento fiscale in alcuni paesi nell’ambito del nuovo quadro di bilancio dell’UE e potrebbero far tornare ad aumentare i livelli di debito”.
Se a ciò si aggiungono le tensioni commerciali, la crisi industriale e il conseguente rischio di credito per banche e/o enti non bancari, il quadro si presenta come fertile per l’esplosione dell’instabilità finanziaria. Che ovviamente è intrinsecamente legata al rispetto del Patto di Stabilità e all’aumento del servizio sul debito.
La BCE ripete la retorica dell’economia di guerra, per cui “i piani per aumentare la spesa per la difesa hanno il potenziale di stimolare la crescita economica se concentrati sugli investimenti produttivi”, ma sottolinea che “potrebbero anche comportare rischi, dato il maggiore fabbisogno di emissioni in un periodo di crescenti costi di finanziamento”.
Mentre la crescita è già debole, l’istituto europeo ricorda che, accanto al nodo delle capacità militari, ci sono anche le sfide imposte “dal cambiamento climatico, dalla digitalizzazione e dall’invecchiamento della popolazione”. È evidente che Bruxelles è pronta a tagliare su ambiente e pensioni, ma il problema di fondo rimane.
Ciò vale soprattutto per alcuni paesi: Italia in primis, seguita da Spagna, Francia e Belgio. In tutti e quattro i casi il rapporto debito/PIL supera il 100%, ma come evidenzia la BCE nessuno di questi stati si è impegnato in un repentino aumento delle spese belliche. L’Italia, anzi, sta provando a inserire una gran quantità di voci diverse per raggiungere il 2% del PIL, come richiesto dalla NATO.
L’alternativa sarebbe naturalmente il finanziamento attraverso il debito comune, e strumenti come il SAFE – in quanto prestiti garantiti dal bilancio europeo – vanno in questa direzione. Ma come hanno palesato alcuni analisti, nemmeno gli Eurobond potrebbero davvero permettere il riarmo così com’è propagandato da Bruxelles.
Ad ogni modo, la BCE pone l’accento sul fatto che il debito e il costo del suo rifinanziamento è destinato a salire, ed è perciò necessario che ci sia una certa propensione al rischio da parte degli investitori, per assorbire l’emissione di nuovo titoli di debito. In pratica, si chiede al mercato di legare i propri profitti alla riuscita della trasformazione della UE in una potenza militare.
Che ci riesca o meno, la stessa architettura dei trattati europei è sostanzialmente una condanna sia per le velleità belliciste, sia per la tenuta di paesi come il nostro, e per la loro capacità di mettere in campo politiche che rispondano alle esigenze della maggioranza della popolazione.
Se la BCE parla di propensione al rischio degli investitori, non è difficile immaginare quale sia invece il rischio che corriamo, noi che facciamo parte degli sfruttati: il pericolo reale è che il risultato ultimo di queste politiche, pur di non ammettere il fallimento del modello europeo, sia la guerra totale e, forse, anche finale.
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