Una settimana fa l’amministratore delegato di Renault, Luca de Meo, è stato invitato a parlare in audizione alla Commissione attività produttive della Camera dei deputati. Le parole che ha pronunciato hanno invocato la creazione di una grande coalizione continentale per competere nel settore dell’automotive, in particolare in quello dei veicoli elettrici.
Da alcuni mesi girano alcune indiscrezioni su una possibile fusione tra la casa francese e Stellantis, ricomparse sulla cronaca nelle scorse settimane, in virtù di tante dichiarazioni sulla stessa linea d’onda fatte da de Meo e da John Elkann, presidente della holding nata dalla fusione di FCA e del gruppo PSA.
Ma più che una fusione i due manager hanno in mente un consorzio in stile Airbus, come ha esplicitato de Meo, attraverso cui condividere tecnologie e risorse, in particolare per il settore dell’auto elettrica. Inoltre, de Meo non esclude la possibilità che questa alleanza si allarghi anche ai veicoli commerciali, “che richiedono grossi investimenti e portano margini ridotti”.
Ma l’oggetto principale di questo sforzo imprenditoriale sarebbe la transizione all’elettrico, comparto in cui a farla da padrone è la Cina. E dunque, questa ‘Airbus dell’automotive’ sarebbe lo strumento attraverso cui anche la UE potrebbe pesare in uno dei settori fondamentali della competizione globale.
Per de Meo, un consorzio del genere “avrebbe il potenziale di spuntare tutte le caselle: decarbonizzazione, competitività, posti di lavoro, autonomia strategica, materie prime, congestione in città, rinnovo della flotta”. E ha aggiunto pure che “una strategia industriale europea è anche questo: fare in modo che la regolamentazione sia un elemento strategico”.
Quello delle normative europee e del loro impatto sui costi delle utilitarie è uno dei temi che più preoccupano il dirigente di Renault. Innanzitutto, c’è un grande impegno delle case automobilistiche europee nel passaggio all’elettrico, ma la burocrazia europea e regole che sono impossibili da rispettare costringono o a pagare multe, o a pagare crediti green ai competitor cinesi o a Tesla.
C’è poi il nodo degli incentivi, intesi in senso generale, all’acquisto dell’elettrico nel mercato europeo. “Dobbiamo fornire un quadro favorevole all’acquisto di auto piccole ed elettriche, come fatto in Giappone”, ha sottolineato de Meo, palesando però la faglia che separa le grandi società del settore nel Vecchio Continente.
Renault e Stellantis controllano circa il 30% del mercato europeo, e si concentrano soprattutto sulla produzione di auto per famiglie che dovrebbero essere a prezzi accessibili, almeno sulla carta. Dall’altro lato, ci sono i costruttori tedeschi – Volkswagen, Mercedes e BMW – che puntano invece sulle vetture di alta gamma, più vendibili anche fuori dall’Europa.
In alcune interviste concesse al quotidiano francese Le Figaro nelle scorse settimane, sia Elkann sia de Meo hanno ribadito questa frattura che, in sostanza, va fatta risalire all’imposizione del modello mercantilista tedesco all’intera economia europea. Frattura che ora si presenta come un’Europa che deve decidere se essere consumatore di veicoli altrui, oppure avere un proprio mercato domestico.
“Negli ultimi 20 anni – ha detto l’amministratore delegato della Renault – la loro logica (delle società tedesche, ndr) ha dettato le regole del mercato. E il risultato è che le normative europee fanno sì che le nostre auto siano sempre più complesse, sempre più pesanti, sempre più costose, e la maggior parte delle persone semplicemente non può più permettersele”.
Sempre a Le Figaro, de Meo ha affermato: “tutti i Paesi del mondo che hanno un’industria automobilistica si organizzano per proteggere il loro mercato, tranne l’Europa”. Una dura stoccata alle scelte guidate da Berlino, ma anche all’inadeguatezza delle azioni portate avanti da Bruxelles.
Il presidente di Stellantis aveva sottolineato come non solo “quest’anno per la prima volta la Cina produrrà più dell’Europa e degli Stati Uniti messi insieme”, ma anche che quello europeo è “l’unico grande mercato globale che non è tornato ai livelli pre-Covid”. Ma si era spinto anche oltre, in una sorta di rappresentazione di divergenza netta tra i paesi mediterranei e la Germania.
“Francia, Italia e Spagna sono i Paesi più interessati [a interventi europei]: le loro popolazioni sono gli acquirenti di auto i cui prezzi sono aumentati, e ne sono anche i produttori. E insieme pesano più della Germania in termini di produzione. È importante che questi Paesi facciano della promozione della loro industria la loro priorità”.
La ricetta del passato ha fallito, mentre sul futuro verde gli interessi consolidati continuano a tirare il freno a mano, mentre la Cina ha preso la guida. Sul come evolverà la spina dorsale dell’industria automobilistica europea si gioca la capacità della UE di essere un attore che conta nel panorama globale, non solo sulla capacità militare.
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