Ogni tanto anche nella compagneria italiana si alza qualche voce che chiede “cosa fa la Cina contro Israele e il genocidio dei palestinesi?” L’assenza di qualsiasi notizia in proposito sui media manistream è al fondo di una diffusa ignoranza – nel senso autentico: “non sapere” – su come stiano le cose, sia sul piano storico che su quello dell’attualità.
Questo lungo articolo di Zhang Sheng – un ricercatore del Centro di Studi Asiatici dell’Università Koç di Istanbul, il quale, tra l’altro, si occupa dell’evoluzione e degli sviluppi delle relazioni Cina-Medio Oriente, della storia delle campagne di solidarietà della Cina con i movimenti di liberazione anticoloniali nei paesi in via di sviluppo e della diplomazia cinese dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese ai giorni nostri – mette in chiaro intanto la lunga storia del rapporto tra i due popoli e le rispettive rappresentanze politiche.
Buona lettura.
Questo lungo articolo di Zhang Sheng – un ricercatore del Centro di Studi Asiatici dell’Università Koç di Istanbul, il quale, tra l’altro, si occupa dell’evoluzione e degli sviluppi delle relazioni Cina-Medio Oriente, della storia delle campagne di solidarietà della Cina con i movimenti di liberazione anticoloniali nei paesi in via di sviluppo e della diplomazia cinese dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese ai giorni nostri – mette in chiaro intanto la lunga storia del rapporto tra i due popoli e le rispettive rappresentanze politiche.
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La frontiera della lotta antimperialista internazionale: la percezione in Cina della lotta palestinese tra il 1955 e il 1976
La frontiera della lotta antimperialista internazionale: la percezione in Cina della lotta palestinese tra il 1955 e il 1976
La Cina è probabilmente uno dei pochi Stati che ha cambiato radicalmente la sua posizione diplomatica sul “conflitto israelo-palestinese” tra gli anni ’50 e ’70. In soli 20 anni, la politica estera ufficiale della Repubblica Popolare Cinese è cambiata drasticamente: dall'essere ul punto di stabilire relazioni diplomatiche con Israele nel 1950, alla negazione di qualsiasi legittimità allo Stato israeliano negli anni ’60 e ’70.
Come questo articolo cerca di dimostrare, l’era maoista, in particolare dal 1955 al 1976, ha gettato le basi per il sostegno diplomatico cinese al movimento di liberazione palestinese, e questa eredità rimane uno dei principali fattori che orientano la posizione ufficiale della Cina sulla Palestina oggi.
Dal 1950 al 1976, durante l’era di Mao, la Cina approfondì gradualmente la sua comprensione della questione palestinese e alla fine concluse che la lotta palestinese era un movimento di liberazione nazionale anticoloniale e antimperialista.
Da un punto di vista diplomatico, la Repubblica Popolare Cinese in quel periodo non solo dimostrò la propria solidarietà con la lotta armata palestinese fornendo supporto diplomatico, finanziamenti e persino addestramento militare, ma istituì anche vari programmi di scambio culturale tra diplomatici e intellettuali palestinesi e cinesi. Per quanto riguarda la sua politica interna, la Cina in quel periodo lanciò anche un’ampia campagna di propaganda e istruzione, volta a rafforzare la solidarietà pro-palestinese nel popolo cinese.
Fortemente influenzata dall’Unione Sovietica, la neonata Repubblica Popolare Cinese considerava Israele uno stato postcoloniale guidato da un governo nazional-borghese “di sinistra” ed era quindi disposta a riconoscere Israele.
Il 9 gennaio 1950, il ministro degli Esteri israeliano inviò una lettera al premier cinese Zhou Enlai riconoscendo la Repubblica Popolare Cinese, rendendo Israele “il primo governo in Medio Oriente a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese”. Invece, la Lega Araba, nell’agosto del 1950, decise di non riconoscere la Repubblica Popolare Cinese, rafforzando ulteriormente la posizione favorevole della Cina nei confronti di Israele.
Questa effimera possibilità di riconoscimento reciproco, tuttavia, svanì rapidamente quando la Cina fu coinvolta nella guerra di Corea nell’ottobre del 1950. Per non irritare gli Stati Uniti, il governo israeliano rimandò il piano di stabilire relazioni formali con la Cina [...] mettendo fine alla precedente fantasia in cui la Cina vedeva Israele come un paese di sinistra, e anche Pechino dovette riconsiderare la questione del riconoscimento reciproco.
Nel 1955 si tenne a Bandung la prima conferenza afro-asiatica. Lì, la Cina ha avuto l’opportunità di coltivare legami con i leader arabi, mentre Israele è stato escluso dalla conferenza a causa della veemente opposizione degli Stati arabi e dell’Indonesia, un paese a maggioranza musulmana con una storica amicizia con la Palestina.
Inizialmente Zhou Enlai propose di includere Israele nella conferenza degli Stati postcoloniali, ma dopo un lungo colloquio con il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser e il rappresentante della delegazione siriana e futuro presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), Ahmad Shuqiry, concluse che sostenere la lotta antimperialista del popolo arabo era una priorità per la Cina.
Sebbene negli anni ’50 la Repubblica Popolare Cinese avesse ridotto i contatti diplomatici con Israele, non considerò il paese del tutto illegittimo. [...] Continuava a ritenere che fosse uno Stato legittimo potenzialmente in grado di evitare di cadere completamente nel blocco occidentale. Anche i rapporti tra il Partito Comunista Cinese e il CPI [ndt: Partito Comunista Israeliano] in quel periodo dimostrano che la Repubblica Popolare Cinese non mantenne una posizione antisionista.
Ma la guerra del 1956 cambiò radicalmente la percezione che la Cina aveva di Israele. Dal 1956 in poi, la Cina cominciò a considerare Israele sempre più come un “cagnolino” dell’imperialismo occidentale che minacciava la liberazione del Terzo mondo e il movimento socialista internazionale. [...]
Dopo la crisi di Suez del 1956, la politica estera cinese divenne unilateralmente filo-araba. La Cina abbandonò il suo appoggio al piano di spartizione nel suo discorso diplomatico, criticò apertamente Israele per aver invaso gli Stati arabi e ha espressamente sostenuto il diritto del popolo palestinese alla lotta armata.
Con la rottura delle relazioni tra Cina e Unione Sovietica, la politica estera cinese divenne ancora più radicale di quella dell’Unione Sovietica. All’incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai tenutosi a Mosca nel 1957, il presidente cinese Mao Zedong si oppose espressamente all’idea di Krusciov di una “coesistenza pacifica” con il blocco capitalista e sostenne la lotta armata contro gli Stati capitalisti. [...]
Secondo la Repubblica Popolare Cinese, il conflitto regionale tra arabi e israeliani era diventato uno scenario in cui il blocco socialista e il Terzo Mondo si univano per combattere l’imperialismo occidentale. Mentre i leader cinesi erano più preoccupati alle questioni dell’Asia Orientale, come la guerra del Vietnam e il conflitto dello Stretto di Taiwan, la terra della Palestina era considerata una “frontiera” remota che frenava l’imperialismo occidentale.
Mao Zedong disse anche:
“L’imperialismo teme la Cina e gli arabi. Israele e Formosa [Taiwan] sono le basi dell’imperialismo in Asia. Voi siete la porta d’ingresso e noi siamo la porta sul retro. Hanno creato Israele per voi e Formosa per noi. L’Occidente non ci ama; dobbiamo comprendere questo fatto. La battaglia araba contro l’Occidente è la battaglia contro Israele”.Nel 1966, quando ebbe inizio la Rivoluzione Culturale cinese, la fazione radicale del governo cinese cominciò ad acquisire maggiore controllo sulla diplomazia. Così, la posizione di Pechino nei confronti di Israele è entrata nella sua fase più radicale, quella in cui la Cina ha messo in discussione la legittimità fondamentale dello Stato israeliano. [...]
La teoria maoista della “guerra popolare” guidò l’entusiastico sostegno della Cina alla guerriglia in tutto il mondo, compresa la Palestina. Le forze di guerriglia palestinesi divennero il modello ideale della “guerra popolare”. [...]
Dopo il famoso discorso di Mao del 20 maggio 1970, gli slogan cinesi a sostegno del popolo palestinese divennero estremamente combattivi, incoraggiando la lotta armata e la distruzione dello Stato sionista. [...] Dal 1965 fino alla fine della Rivoluzione Culturale nel 1976, la narrazione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese sulla storia della Palestina si è evoluta verso una posizione completamente antisionista.
Il forte sentimento filo-arabo della Repubblica Popolare Cinese è riscontrabile anche nella sua posizione durante la Guerra del 1973. Il 23 ottobre, davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha affermato che “è giusto che i popoli di Egitto, Siria e Palestina utilizzino tutte le misure che desiderano per riconquistare i propri territori occupati, mentre qualsiasi piccola provocazione da parte di Israele è un comportamento criminale”.
Negli anni ’60 e ’70, lo Stato cinese organizzava frequentemente manifestazioni di massa davanti alle ambasciate di Palestina, Repubblica Araba Unita (Egitto) e Siria a Pechino per esprimere la propria solidarietà. [...] [Inoltre] educava le masse cinesi e incoraggiava la classe operaia a informarsi e a scrivere sulle questioni palestinesi.
Negli anni ’60 e ’70, mentre numerosi combattenti per la libertà dell’OLP venivano addestrati nelle accademie militari cinesi, molti diplomatici e intellettuali palestinesi studiavano o lavoravano come insegnanti di arabo o traduttori nelle università cinesi e venivano spesso invitati in Cina per vari eventi. Le opere di Ghassan Kanafani furono tradotte e ampiamente diffuse in Cina. [...] È interessante notare che negli anni ’70 in Cina la lotta armata palestinese era addirittura un genere letterario per bambini.
Tra il passato rivoluzionario e il presente incentrato sul commercio: la politica estera della Cina nei confronti della Palestina dagli anni ’80 a oggi
Dopo la morte di Mao nel 1976, la Rivoluzione Culturale giunse al termine. Deng Xiaoping, in qualità di leader dei riformisti, impiegò due anni per consolidare il suo potere all’interno del partito. [...] Il sostegno alle rivoluzioni mondiali smise di far parte dell’agenda della diplomazia ufficiale cinese. La Cina iniziò a riconsiderare la possibilità di stabilire relazioni diplomatiche con altri membri del blocco capitalista, tra cui Israele.
Il nuovo clima internazionale di quell’epoca ebbe un impatto significativo anche sui cinesi. Nel 1977, il presidente egiziano Anwar Sadat pronunciò il suo discorso alla Knesset israeliana e il miglioramento delle relazioni tra Egitto e Israele portò i cinesi a credere che l’insolubile “conflitto arabo-israeliano” potesse terminare. La Cina cominciò a considerare che l’esistenza dello Stato israeliano non era intrinsecamente antitetica a quella di uno Stato palestinese.
Nel settembre 1988, il ministro degli Esteri cinese, Qian Qichen, annunciò una “proposta in cinque punti” del suo paese sulle questioni del Medio Oriente, che comprendeva la promozione del dialogo, il ritiro di Israele da tutti i territori arabi occupati in cambio di garanzie di sicurezza e, cosa più importante, la promozione del riconoscimento reciproco tra lo Stato di Palestina e lo Stato di Israele.
Nel 1985 Israele riaprì il suo consolato generale a Hong Kong, chiuso da oltre 10 anni, e iniziò a vendere i suoi prodotti ad alta tecnologia, in particolare equipaggiamenti e tecnologie militari, alla Cina continentale tramite Hong Kong. Israele era diventato uno dei pochi canali attraverso cui la Cina avrebbe potuto acquisire tecnologie militari avanzate e aggirare così il blocco occidentale. La relazione rimase importante per Pechino fino al 2001, quando Israele annullò unilateralmente l’accordo commerciale con la Cina dietro la pressione degli Stati Uniti.
Nel gennaio 1992 la Cina ristabilì le relazioni diplomatiche con Israele. […] Di conseguenza, la Cina accolse con favore gli Accordi di Oslo nel 1993. Ma anche se alla fine si era impegnata per la cosiddetta soluzione dei due Stati, la Cina non ha mai vacillato nel suo sostegno alla Palestina, almeno nel suo discorso diplomatico.
Il 20 novembre 1988, dopo che Yasser Arafat aveva dichiarato cinque giorni prima la nascita dello Stato palestinese, la Cina annunciò ufficialmente il riconoscimento dello Stato di Palestina. Nel dicembre 1995, la Cina istituì ufficialmente la propria ambasciata dell’Autorità Palestinese a Gaza, per poi trasferirla a Ramallah nel maggio 2004.
Dal 2013, il governo di Xi Jinping ha rinnovato il suo interesse politico per il Medio Oriente, compresa la questione palestinese, con l’intento di promuovere il prestigio internazionale della Cina come potenza mondiale. [...] Nel luglio 2017, Xi ha annunciato la sua “proposta in quattro punti” per il “conflitto”.
Per promuovere la “proposta in quattro punti” di Xi, nel dicembre 2017 Pechino ha organizzato il Simposio della Pace Palestina-Israele, a cui hanno partecipato personalità di spicco come Ahmed Majdalani, segretario generale del Fronte di Lotta Popolare Palestinese, e il parlamentare Yehiel “Hilik” Bar, vicepresidente della Knesset israeliana. [...]
Nel maggio 2021, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ribadito l’interesse della Cina a invitare rappresentanti palestinesi e israeliani al dialogo a Pechino. “Non ci sarà vera pace nel mondo se il Medio Oriente non sarà stabile”. Oggi le parole di Wang sono diventate la norma nel discorso diplomatico cinese sulla Palestina.
Tra il 2015 e il 2020, Cina e Israele hanno vissuto un breve periodo di crescita degli scambi commerciali e degli investimenti. Mentre le relazioni tra Stati Uniti e Israele si inasprivano a causa dell’aggressione israeliana nella Cisgiordania occupata e della sua opposizione all’accordo sul nucleare iraniano, il governo Netanyahu tentò di flirtare con la Cina. Gli scambi commerciali tra Cina e Israele sono più che raddoppiati tra il 2013 e il 2022 e sono cresciuti rapidamente dal 2017, anno in cui Netanyahu ha visitato la Cina e ha firmato il “Partenariato innovativo globale”.
Tuttavia, a seguito della guerra a Gaza e della crisi del Mar Rosso, il commercio sino-israeliano nel 2023 è diminuito di circa l’8% rispetto al 2022, e nel 2024 è diminuito di circa l’1,5% rispetto al 2023. [...] Il più grande investimento della Cina in Israele in questo periodo era stato il porto della baia di Haifa. Nel 2015, la Shanghai International Port Group (SIPG), società statale cinese, ha firmato un accordo con Israele che le concedeva i diritti di gestione del porto per 25 anni, a partire dal 2021; tale accordo è tuttora giuridicamente valido.
La solidarietà politica con la Palestina e i legami economici con Israele creano una contraddizione nella politica estera cinese, e Pechino si è semplicemente dichiarata amica di entrambe le parti, cercando di presentarsi come un potenziale mediatore. [...] Tuttavia, negli ultimi anni, l’immagine della Cina come “amica della Palestina e di Israele” è diventata sempre meno sostenibile. [...]
Dall’inizio degli anni 2000 fino al 2023, Israele ha intensificato la sua aggressione e oppressione contro il popolo palestinese. Tra gli eventi più importanti si annoverano la seconda Intifada del 2000; l’invasione israeliana del Libano dal 2006 in poi; le guerre di Israele contro Gaza nel 2008-2009, 2012, 2014 e 2021; la Grande Marcia del Ritorno nel 2018-2019; la repressione israeliana delle proteste palestinesi nel 2021; e la guerra genocida di Gaza del 2023. In tutte queste occasioni, la Cina ha rilasciato dichiarazioni diplomatiche criticando le azioni di Israele, ma nessuna delle atrocità commesse da Israele ha avuto ripercussioni sul commercio sino-israeliano. [...]
Dopo il genocidio israeliano a Gaza, questa contraddizione nella politica estera cinese si è aggravata a un livello senza precedenti, poiché Israele ha minacciato di danneggiare gli investimenti cinesi se Pechino avesse mantenuto il suo sostegno diplomatico alla Palestina.
Il conflitto diplomatico, propaganda israeliana e la costruzione organica dell’opinione pubblica cinese: come la Cina reagisce al genocidio a Gaza
Gli eventi del 7 ottobre 2023, e in particolare il successivo bombardamento israeliano di Gaza, hanno distrutto irreversibilmente ogni possibilità di continuare come se nulla fosse accaduto. [...] Il governo israeliano ha chiesto alla Cina di condannare l’Operazione Diluvio di Al-Aqsa e di catalogare Hamas come organizzazione terroristica.
Come prevedibile, Pechino ha respinto questa richiesta. Il governo cinese non accetta la narrazione occidentale-israeliana che presenta il 7 ottobre come l’inizio della storia. [...] Non esiste documento che spieghi meglio la posizione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese sul diritto dei palestinesi a resistere, anche attraverso la lotta armata, della dichiarazione di Ma Xinmin, Direttore Generale del Dipartimento dei Trattati e del Diritto del Ministero degli Affari Esteri ed ex ambasciatore cinese in Sudan, resa davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) il 22 febbraio 2024. Durante l’udienza pubblica all’Aia, Ma ha dichiarato categoricamente:
“Il conflitto palestinese-israeliano ha origine dalla lunga occupazione israeliana dei territori palestinesi e dalla storica oppressione che Israele ha inflitto al popolo palestinese. La resistenza del popolo palestinese contro l’oppressione israeliana e la sua lotta per completare la creazione di uno Stato indipendente nei territori occupati sono, in sostanza, azioni giuste volte a ripristinare i loro legittimi diritti”.La Cina sollecita ripetutamente Israele a dichiarare un cessate il fuoco immediato, anche già a partire dall’ottobre 2023. Inoltre, la Cina continua a votare a favore della Palestina sia nel Consiglio di Sicurezza che nell’Assemblea Generale dell’ONU. La Repubblica Popolare Cinese ha dimostrato al mondo di non aver abbandonato la sua tradizione diplomatica anticoloniale e la sua solidarietà con la Palestina, forgiata negli anni ’60 e ’70 da Mao e Zhou.
Sebbene attualmente non mostri alcuna determinazione a intraprendere ulteriori sforzi, come l’adesione ufficiale al movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), e non abbia ancora utilizzato direttamente il termine “genocidio” per definire i crimini israeliani a Gaza nei documenti diplomatici ufficiali, la Cina ha dimostrato al mondo che almeno non è disposta a rimanere in silenzio.
Inoltre, la Cina rimane impegnata nel suo ruolo di facilitatore di dialoghi. Ha cercato di facilitare il dialogo tra le varie fazioni palestinesi. Il 23 luglio 2024, 14 fazioni politiche palestinesi, guidate da rappresentanti di Fatah e Hamas, hanno firmato, alla presenza del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, la dichiarazione congiunta nota come “Dichiarazione di Pechino per porre fine alla divisione e per rafforzare l’unità nazionale palestinese”.
Il documento afferma che tutte le fazioni coopereranno alla “formazione di un Governo provvisorio di riconciliazione nazionale incentrato sulla ricostruzione di Gaza dopo il conflitto”.
Come prevedibile, il sostegno diplomatico della Cina ai palestinesi l’ha trascinata in un conflitto diplomatico con Israele. Israele ha anche preso di mira il porto della baia di Haifa, di proprietà cinese, per esercitare pressione sulla Cina. Dall’ottobre 2023, la società cinese che gestisce il porto ha drasticamente ridotto il suo volume di scambi a causa dei rischi per la sicurezza derivanti dalla guerra e nel gennaio 2024, in seguito alla crisi del Mar Rosso, ha cessato completamente le operazioni.
Immediatamente il media israeliano Ynet l’ha presentata come “la prima e unica azienda a interrompere i suoi legami commerciali con i porti israeliani”. [Ma] ad oggi, il governo israeliano non ha ufficialmente annullato il trattato di 25 anni firmato con la Cina per il porto di Haifa.
Oltre a diffondere disinformazione e criticare apertamente il governo cinese, l’ambasciata israeliana a Pechino ha attivamente promosso informazioni filo-israeliane. Ad esempio, Israele ha utilizzato il tipico argomento del “femminismo coloniale” per presentarsi come l’unico Stato “civilizzato” e favorevole alle donne nella regione.
In occasione della Giornata internazionale della Donna del 2024, ad esempio, il consolato israeliano a Shanghai ha organizzato un webinar che collegava i diritti delle donne con l’attacco del 7 ottobre.
Dopo aver esaminato questa campagna di propaganda su larga scala promossa dall’ambasciata israeliana in Cina a partire dall’ottobre 2023, sorge spontanea la domanda: questa narrazione ha conquistato la maggioranza dei giovani cinesi? La risposta è un sonoro “no”. Dal 7 ottobre, gli internauti cinesi hanno sostenuto in modo schiacciante la lotta palestinese con tutti i mezzi, compresa la lotta armata.
Con un linguaggio piuttosto poetico, molti giovani cybernauti cinesi si riferiscono alle forze palestinesi paracadutatesi durante l’Operazione Diluvio di Al-Aqsa come “guerrieri del dente di leone” per due motivi: in primo luogo, i paracadute sospesi in aria assomigliano ai semi volanti del dente di leone; in secondo luogo, i semi del dente di leone possono crescere ovunque cadano, quindi la vitalità di questa pianta è simile alla resistenza del popolo palestinese.
Su Bilibil, il sito web di condivisione video più popolare tra i giovani cinesi, ci sono molti video che commemorano i “guerrieri del dente di leone”. Nell’ultimo anno, gli internauti cinesi hanno mostrato un grande interesse nell’approfondire la conoscenza della Palestina.
Su Douyin (il TikTok cinese) ci sono numerose immagini di Gaza e diversi creatori di contenuti sul web si dedicano alla produzione di video che educano il pubblico sulla storia della lotta palestinese o riportano gli ultimi sviluppi della guerra. Ci sono persone specializzate nella diffusione, sul web cinese, di video pubblicati dalle forze di resistenza palestinese e le analizzano per il pubblico. Dopo la morte di Yahya Sinwar, alcuni hanno persino tradotto volontariamente il suo romanzo “La spina e il garofano” in cinese, come omaggio.
Innumerevoli cittadini cinesi hanno contattato l’ambasciata palestinese a Pechino tramite Weibo [ndt: il Twitter cinese] con l’intenzione di fare donazioni alla popolazione palestinese. In netto contrasto, la pagina dell’ambasciata israeliana ha ricevuto un’infinità di commenti critici che hanno stroncato gli sforzi propagandistici del governo [israeliano].
È da notare che, mentre il Dipartimento di Stato USA proibisce di paragonare le politiche di Israele a quelle della Germania nazista, considerandolo una forma di “antisemitismo”, il popolo cinese, in quanto principale vittima del fascismo giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale, non può fare a meno di paragonare il genocidio di Gaza ai massacri di civili cinesi perpetrati dai giapponesi. In effetti, il trauma storico della Cina in quanto nazione invasa è proprio ciò che genera una naturale affinità con il popolo palestinese. [...]
Il 24 ottobre 2023, l’ambasciata tedesca a Pechino ha rilasciato una dichiarazione molto sgarbata, definendo letteralmente “idioti ignoranti o miserabili spudorati” tutti i cinesi che paragonano Israele alla Germania nazista. Tuttavia, le ambasciate israeliana, tedesca e statunitense in Cina hanno scoperto presto, con loro grande disappunto, che le sezioni commenti dei loro account Weibo erano inondate di critiche furiose da parte degli internauti cinesi.
Ancora oggi, questi utenti continuano a paragonare i crimini di guerra israeliani a Gaza ai crimini contro l’umanità commessi dalla Germania nazista e dal Giappone fascista negli anni ’30 e ’40 del '900.
Dall’inerzia storica alla solidarietà organica: il dibattito su Gaza come speranza per la futura solidarietà sino-palestinese
Come per altri aspetti, l’attuale Governo cinese non desidera scegliere tra il suo passato maoista e l’eredità post-maoista e cerca di ignorare la disgiunzione tra i due approcci, mettendo da parte le differenze ed evidenziando i punti in comune. Di conseguenza, le reazioni della Cina al genocidio in corso a Gaza sono spesso ambigue.
Da un lato, lo Stato cinese condanna inequivocabilmente Israele in tutti i forum internazionali e, a differenza dell’Occidente, afferma chiaramente di sostenere il popolo palestinese nell’uso di tutti i mezzi disponibili, inclusa la lotta armata, contro l’occupazione israeliana. [...]
Tuttavia, è anche un dato di fatto che il sostegno della Cina alla Palestina sembra essere guidato maggiormente dall’inerzia storica dell’era maoista. [..] Lo Stato cinese è rimasto distante e indifferente alle nuove tendenze globali, come il movimento BDS.
A causa della sua scarsa comprensione della situazione sul campo e della sua riluttanza a mettere a repentaglio gli scambi commerciali con Israele, il Governo cinese non è disposto ad accettare il doloroso fatto che la soluzione dei due Stati sia sempre più impraticabile e che l’obiettivo della Cina di diventare un amico comune sia della Palestina che di Israele non si adatta più alla realtà in cui la popolazione palestinese si trova ad affrontare minacce esistenziali. [...]
La Cina sostiene ufficialmente la causa del Sudafrica contro il genocidio israeliano presso la Corte Internazionale di Giustizia, ma non ha utilizzato direttamente questo concetto nei propri documenti diplomatici.
Inoltre, è probabile che anche il secondo mandato di Donald Trump ostacoli i progressi sostanziali della Cina nel suo sostegno alla Palestina, al di là delle dichiarazioni diplomatiche e della sua offerta di fungere da sede di dialogo. [...] Infatti, la forte posizione filo-israeliana di Trump potrebbe scoraggiare la Cina dall’adottare energiche misure commerciali contro Israele. [...]
La Cina garantirà di non essere coinvolta nelle lotte armate palestinesi o libanesi, né in alcuna campagna di boicottaggio economico contro Israele, per non aggravare ulteriormente i suoi già instabili rapporti con gli Stati Uniti.
Ciò nonostante, si può ancora mantenere un cauto ottimismo sul futuro del ruolo della Cina nel movimento di solidarietà palestinese. La Cina si rifiuta di condannare l’Operazione Diluvio di Al-Aqsa, e le controversie con Israele alle Nazioni Unite hanno infranto il precedente idillio tra i due Paesi.
Nell’ambito socioculturale, la guerra a Gaza ha portato la gioventù cinese, sempre più anti-occidentale, a riconnettersi con l’eredità rivoluzionaria dell’era di Mao. A lungo termine, con l’aumento delle posizioni di rilievo dei giovani nel governo e nella società cinese, vi è grande speranza che la Cina (ri)abbracci le sue tradizioni anticoloniali degli anni ’60 e ’70 e svolga un ruolo più attivo nel movimento internazionale di solidarietà con la Palestina.
Vorrei concludere questo articolo con una citazione di Zhang Chengzhi, un leggendario scrittore cinese musulmano di etnia Hui che coniò il termine “Guardia Rossa” durante la sua attiva partecipazione alla Rivoluzione Culturale:
“I progetti persistenti che cercano di delegittimare le rivoluzioni sono destinati a essere vani, perché il dominio, l’oppressione, la disuguaglianza, l’ingiustizia e l’intrinseca natura umana volta alla ricerca della verità incoraggeranno le persone a riconsiderare, rispettare e infine abbracciare nuovamente le rivoluzioni” (Zhang 2009).Fonte
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