Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha ufficialmente sciolto la sua struttura organizzativa e dichiarato la fine della lotta armata dopo 52 anni – un cambiamento senza precedenti con conseguenze di vasta portata non solo per la Turchia, ma anche per le dinamiche curde in Siria e Iraq.
Sebbene la decisione sia inquadrata come un passo verso un impegno democratico pacifico, essa giunge in un contesto di crescente pressione militare turca, crescente coordinamento tra Ankara e Baghdad e crescente pressione sulle Forze Democratiche Siriane (SDF), che Ankara considera allineate con l’ala siriana del PKK. L’annuncio pone ora le SDF in una posizione critica, dato che Damasco spinge per il loro disarmo e la loro integrazione nell’amministrazione centrale.
La decisione del PKK ha fatto seguito a un congresso segreto ed eccezionale tenutosi all’inizio di questo mese in località non rivelate, probabilmente nel nord dell’Iraq, a cui hanno partecipato 232 delegati. Nella sua dichiarazione finale, il partito ha dichiarato di aver compiuto la sua “missione storica” resistendo alla repressione dello stato turco e gettando le basi per una risoluzione democratica della lotta curda. Invitava il parlamento turco ad assumersi la sua “responsabilità storica” concedendo il riconoscimento giuridico all’identità, alla lingua e alla cultura curda.
Tuttavia, l’obiettivo fondante del partito di istituire uno stato curdo indipendente rimane irrealizzato. L’annuncio è stato fatto senza alcuna corrispondente riforma costituzionale o concessione di decentramento da parte di Ankara. Lo scioglimento può anche essere visto come una ritirata politica di fronte alle offensive militari turche in Iraq e Siria, all’assedio regionale causato dall’alleanza di Ankara con Baghdad e alla crescente influenza della Turchia sulla Siria, in particolare dopo la caduta del regime di Assad e l’ascesa al potere di Donald Trump, che ha rafforzato la strategia espansionistica di Erdoğan.
Lo scioglimento del PKK ha ripercussioni immediate sulle SDF, che ora si trovano ad affrontare crescenti pressioni sia da parte di Ankara che di Damasco. La Turchia insiste sulla necessità di estendere il disarmo al territorio siriano, rivendicando l’allineamento delle SDF con il PKK. Sebbene diversi politici curdi ritengano che le SDF abbiano sempre sottolineato la loro mancanza di affiliazione militare con il PKK, affermando che si tratta di una forza militare siriana che impiega le sue capacità per combattere il terrorismo, in particolare l’ISIS, con il supporto degli Stati Uniti, Ankara indica la presenza di combattenti stranieri del PKK nel nord-est della Siria come prova di legami duraturi. Damasco, nel frattempo, sta spingendo per l’integrazione delle SDF nelle strutture statali.
Il Ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shibani, in una conferenza stampa tenuta ad Ankara a seguito di un incontro trilaterale tra i ministri degli Esteri siriano, turco e giordano, ha definito “importante” la decisione del PKK, confermando che sono in corso colloqui per reintegrare le regioni controllate dalle SDF sotto l’autorità del governo centrale. Al-Shibani ha aggiunto: “I ritardi nell’attuazione dell’accordo non faranno altro che prolungare il caos e le interferenze straniere”. Ha chiarito che la Siria sta entrando in una nuova fase, che include i piani per “formare un parlamento nazionale”.
Il comandante delle SDF, Mazloum Abdi, ha “apprezzato” la mossa del PKK, ritenendola un possibile inizio di una fase politica pacifica. “Speriamo che tutte le parti intraprendano passi avanti significativi”, ha affermato. Hanno fatto eco altri esponenti politici curdi, con Ahmed Suleiman, vicesegretario del Partito Democratico Progressista Curdo, che ha definito la decisione “una svolta che spoglia la Turchia della sua narrativa terroristica e afferma la causa curda come una legittima lotta nazionale”. Ha sottolineato che questo passo “aprirà le porte alla comunità internazionale, (...) per fornire maggiore sostegno e pressione al fine di trovare una soluzione alla lotta curda in Turchia”.
In Siria, lo scioglimento del PKK è visto da molte fonti curde come un potenziale catalizzatore per la ripresa dell’accordo al Sharaa-Abdi, attualmente in stallo: si tratta di un accordo politico provvisorio tra le SDF e l’amministrazione centrale siriana. “Il clima generale di pace nella regione deve essere equo nei confronti dei curdi, garantire loro i diritti culturali e sociali e riconoscerli come una componente fondamentale della società siriana, con una propria identità e cultura”, hanno dichiarato fonti curde ad Al-Akhbar, pur riconoscendo che “la costruzione della fiducia tra tutte le parti deve ancora essere rafforzata”.
Inoltre, una fonte curda ha rivelato ad Al-Akhbar che “nei prossimi giorni si terranno diversi incontri con i partiti curdi che hanno partecipato alla Conferenza nazionale curda [in Siria] per discutere la formazione di una delegazione unificata e discutere i risultati adottati con le autorità siriane”. Ha osservato che “la visione iniziale dei membri della delegazione è definita e gli incontri mirano a confermare i loro nomi prima dell’avvio effettivo del dialogo”.
Da parte loro, i funzionari turchi hanno accolto con favore l’annuncio del PKK. Il portavoce del Partito Giustizia e Sviluppo, Ömer Çelik, ha affermato che la decisione ha segnato una “pietra miliare nella costruzione di una Turchia libera dal terrorismo”, attribuendo il merito a Erdoğan e al leader del Partito del Movimento Nazionalista, Devlet Bahçeli. Tuttavia, il colonnello in pensione e analista antiterrorismo Coşkun Başbuğ ha insistito sul fatto che “smantellare la sola ala militare non è sufficiente senza smantellare l’infrastruttura organizzativa del partito”, osservando che il Ministro degli Esteri turco Hakan Fidan condivide “la stessa opinione”.
La Turchia considera l’annuncio del partito una grande vittoria sui “sostenitori separatisti”. CNN Turk ha riferito che sono in corso discussioni sulla raccolta e la consegna delle armi del PKK in tre aree designate nel nord dell’Iraq, sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Ora che questo obiettivo è stato raggiunto, resta l’attesa per ciò che Ankara farà in seguito, in particolare per quanto riguarda il parlamento, che dovrebbe approvare emendamenti costituzionali e legali per riconoscere l’identità curda, una richiesta fondamentale ma non l’unica del movimento curdo in Turchia, mentre il destino della leadership del PKK resta incerto.
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