È difficile comprendere la ratio complessiva dell’attacco dell’amministrazione Trump alle università statunitensi, a cominciare dalla più esclusiva e prestigiosa: Harvard. Un istituto per soli ricchi – la retta annuale è di 83.000 dollari – a parte una piccola quota di “meritevoli” ammessi grazie ai finanziamenti pubblici (che sono già stati tagliati).
Ieri Kristi Noem, la responsabile del Dipartimento per la sicurezza nazionale – non proprio il ministero più competente ad occuparsi di alta formazione – ha intimato a tutti gli studenti stranieri di trasferirsi ad altro istituto altrimenti perderanno lo status legale che consente loro di risiedere temporaneamente negli Stati Uniti.
L’accusa è tutta politica e completamente inventata (sulla falsariga dell’immaginario “genocidio dei bianchi” che starebbe avvenendo in Sudafrica, dove 43 proprietari terrieri “visi pallidi” hanno scelto di emigrare a causa di una legge che tende a riequilibrare la proprietà tra i vari gruppi etnici, visto che i bianchi continuano a mantenere il monopolio di fatto): “La leadership di Harvard ha creato un ambiente universitario non sicuro consentendo ad agitatori antiamericani e filo-terroristi di molestare e aggredire fisicamente individui, tra cui molti studenti ebrei”.
E fa nulla che tra gli “agitatori antiamericani e filo-terroristi” ci siano anche parecchi studenti ebrei con parecchio più sale in zucca di un sionista demente...
Il riferimento è alle manifestazioni studentesche contro il genocidio dei palestinesi a Gaza, verificatesi in quasi tutte le università Usa. Harvard, in particolare, sarebbe “colpevole” di non aver denunciato alla polizia e ai servizi segreti i nomi degli studenti protagonisti delle proteste.
Come ciliegina sulla torta, la Noem ha aggiunto anche l’accusa di “essersi coordinata con il Partito Comunista Cinese nel suo campus”, probabilmente riferendosi alla normale prassi burocratica che gli studenti cinesi devono osservare quando studiano all’estero. Perché fosse proprio chiaro a tutti si è fatta intervistare per dire che “È un avvertimento a tutte le università”. Incredibile... non ci avrebbe mai pensato nessuno...
L’attacco ad Harvard punta esplicitamente a svuotarne le casse, in modo da portarla all’obbedienza verso la presidenza Usa – e già questo contraddice mille anni di tradizione universitaria – oppure al fallimento. Gli studenti stranieri sono lì attualmente il 27% e aumentano anno dopo anno, parallelamente al declino cognitivo degli “indigeni” stelle-e-strisce. Si fa presto a far due conti di quanto siano importanti per le finanze dell’istituto, già colpito dal taglio dei fondi pubblici miliardari.
Lasciamo da parte i diritti degli studenti in quanto “clienti” che hanno pagato per ricevere in cambio un’istruzione di alto livello. È chiaro che a questa amministrazione sono ignoti persino i fondamenti del diritto puramente commerciale, oltre che di quelli più generalmente “democratici”.
Quel che risulta davvero ostico da comprendere è il senso “strategico complessivo” di questa crociata contro la formazione culturale più avanzata (senza metterci qui a discutere se Harvard sia o no all’altezza della sua fama).
Un paese, e soprattutto quello che pretende di mantenere l’egemonia complessiva – economica, politica, militare, culturale, di immagine (il “sogno americano”, certamente un prodotto gonfiato e ormai in decomposizione) – non può pensare di automutilarsi rinunciando al meglio che può trasmettere alle nuove generazioni.
Ed è assolutamente normale che i giovani, specie se acculturati, siano critici con l’assetto dominante del loro tempo. Devono esserlo, altrimenti non potranno prendere in mano con cognizione di causa e qualche creatività il futuro comune. Quel vecchio trasformista del vescovo Talleyrand – capace di passare indenne da Luigi XIV alla Rivoluzione francese, da Napoleone alla Restaurazione di Luigi Filippo – sintetizzò questa necessità con una fulminante battuta: “se a 18 anni non sei un rivoluzionario, allora sei un coglione”.
L’amministrazione Trump, su questo versante, dimostra di essere l’ultima soluzione di un imperialismo in crisi: quella che lo porta al cimitero.
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