In uno scritto del 2013, apparso sulle pagine di «Zapruder» (2013)[1], conversando con Andrea Brazzoduro, Goffredo Fofi, studioso e critico cinematografico e letterario scomparso recentemente all’età di 88 anni, sostiene che il cinema realizzato tra gli anni Venti ed i Settanta del Novecento ha avuto un ruolo fondamentale di alfabetizzazione di massa, utile, più di qualsiasi altro mezzo di comunicazione ed espressione, «a capire le illusioni, le speranze, le realtà e i sogni»[2] del momento. Un ultimo, per quanto glorioso sussulto di impegno lo si è avuto, soprattutto in Francia e Italia, nel corso della breve stagione dei movimenti, con la parentesi del “cinema militante”, che pur con tutte le sue contraddizioni, i suoi tentativi maldestri o addomesticati, i suoi linguaggi a volte troppo accondiscendenti, altre inclini allo sperimentalismo gratuito, i suoi legami sinceri o alla moda con movimenti di lotta, resta una pagina importante della storia del cinema e dell’impegno politico, tanto che Fofi vi ha dedicato una riflessione a posteriori in un suo libro[3].
Successivamente, sostiene lo studioso, il cinema ha smesso di essere strumento privilegiato per capire la storia del suo tempo, in parte perché lo ha delegato ad altri media, ma soprattutto perché la cultura di restaurazione che si è diffusa nei decenni successivi si è disinteressata di questa funzione, quando non l’ha deliberatamente osteggiata, preferendo prendere la via della spettacolarizzazione e del disimpegno o dell’autoreferenzialità.
Interessato a cogliere nei film qualche traccia della condizione umana, Fofi ha saputo guardare con interesse anche al cinema popolare ed ai suoi interpreti, quando, anche a sinistra, in molti snobisticamente storcevano il naso, ed ha continuato a cercare anche nel cinema “post restaurazione” tracce utili a comprendere il periodo. Lo ha fatto anche guardando, ad esempio, al cinema di David Cronenberg invitando a considerare eXistenZ (1999) un film per certi versi neorealista, piuttosto che di fantascienza perché «il neorealismo negli anni ottanta-novanta era eXistenZ e non Nanni Moretti, come una volta era Europa 51 e non Zavattini»[4].
«Ci sono dei film che vanno studiati come documenti storici»[5], scrive Fofi, e quelli di Cronenberg appartengono assolutamente a questa categoria: chi meglio di lui ha saputo mettere in luce la disintegrazione dell’identità in un mondo in continua trasformazione? Gli incubi e le metamorfosi che si ritrovano nei suoi film si nutrono di temi comuni come la malattia, la sessualità e altrettanto ordinari e familiari sono gli scenari di partenza, metafore di una condizione umana e di un mondo compromessi dall’incapacità di distinguere tra realtà e immaginazione, dallo sgretolarsi dell’ordine razionale, dal caos mentale, dall’ibridazione biologica, artificiale o mediatica dei corpi e delle menti, sino alla definitiva artificializzazione degli esseri umani e della natura. Nell’era dell’intelligenza artificiale, dell’infosfera digitale, del capitalismo della sorveglianza, della vetrinizzazione social e della prestazione impasticcata è anche dal cinema cronenberghiamo che si può ricavare qualche traccia della condizione umana. Avendo sempre guardato al cinema per la capacità di questo mezzo di raccontare un’epoca e degli esseri umani che la vivono, Fofi ha colto perfettamente l’aspetto testimoniale del cinema del canadese.
D’altra parte, guardando al cinema degli anni Sessanta, Fofi parla del Satyricon (1968) di Fellini come di uno dei pochi film dell’epoca ad essere riuscito a raccontare l’universo degli antichi romani. A dispetto della dimensione onirica del film, ribadita anche da Fellini, Fofi, tramite il suo sguardo eccentrico e militante, afferma che «i film storici interessanti sono quelli che in qualche modo analizzano il presente come storia, coscientemente o incoscientemente»[6]. In questo modo lo studioso pone l’accento sull’indiscutibile presenza, all’interno del film, della società della fine anni Sessanta perché in esso, alla fine, si ripercuote la contestazione che, in quello stesso 1968, stava montando anche in Italia.
Film “storici” importanti, secondo Fofi, sono dunque stati quelli che hanno avuto la capacità di raccontare il presente come storia, come ad esempio i recenti È stato il figlio (2012) di Daniele Ciprì, Corpo celeste (2011) di Alice Rohrwacher, Reality (2012) di Matteo Garrone o Tano da morire (1997) di Roberta Torre. Raccontare il presente come storia significa, probabilmente, comprendere il presente nelle sue mille complessità e trasformazioni come, secondo Fofi, ha fatto il “neo-realismo” di Cronenberg. E Goffredo Fofi, sicuramente, è stato sorprendentemente capace di leggere il presente come storia e di leggerlo, anche e soprattutto, attraverso la lente del cinema, un’arte che – come scrive nel suo I grandi registi della storia del cinema – considerava “morta” con la crisi del cinema di sala e con la fine del “pubblico popolare”. Nonostante questo, secondo lui, sono esistiti e continueranno ad esistere singoli film e singole opere che riescono ancora a conferire a quest’arte la sua dignità, «oltre i rumori e le luci dello spettacolo»[7].
Note
[1] Goffredo Fofi, Il cinema, il presente, la storia, a cura di Andrea Brazzoduro, in «Zapruder» n. 31, maggio-agosto 2013, pp. 116-123.
[2] Ivi, p. 119.
[3] Goffredo Fofi, Breve storia del cinema militante, elèuthera, Milano, 2023.
[4] Goffredo Fofi, Il cinema, il presente, la storia, op. cit. p., 120.
[5] Ivi, p. 119.
[6] Ivi, p. 122.
[7] Goffredo Fofi, I grandi registi della storia del cinema, Donzelli, Roma, 2008, p. XI.
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