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15/07/2025

L’ultima di Trump sulla guerra in Ucraina

Come ampiamente annunciato, ieri Trump ha lanciato il suo ukaze contro Putin: “se non mette fine alla guerra entro 50 giorni, dazi al 100%”

Esultano i gazzettieri guerrafondai (Corriere e Repubblica fanno da levrieri), frenano gli analisti più esperti, mugugnano gli ucraini.

Due letture piuttosto contrapposte... Chi avrà ragione?

Non è difficile scoprirlo, più complicato è spiegare come mai i sedicenti “difensori della democrazia” siano oggi i cani da guerra più assatanati, mentre i reazionari – e Trump, come Orbàn e altri, lo è certamente – risultano momentaneamente più “moderati”.

Andiamo a vedere cosa c’è dietro quell’ultimatum temporale e la minaccia conseguente.

50 giorni per metter fine alla guerra... Dopo la telefonata con Putin, qualche giorno fa, Trump aveva spiegato a Macron che Mosca “vuole prendere tutto”. Dove per “tutto” si deve intendere i quattro oblast (regioni) già annessi con referendum alla Federazione Russa (Luhansk, Donetsk, Kherson, Zaporizhzhia), tacendo ovviamente della Crimea di cui non si parla più neanche a Kiev.

Per farlo l’Armata sta preparando – pare – una maxi-offensiva da portare a termine entro 60 giorni. Insomma, più o meno l’arco temporale dell’“ultimatum” trumpiano. Non a caso, siti russi sfottono gli Usa dicendo che il mega-presidente “fa le bolle”, ossia abbaia ma non morde... 

Una lapide può essere invece stesa sui “dazi al 100%”, che non sarebbero comunque esercitabili verso la Russia – con cui il commercio è praticamente chiuso da tre anni e mezzo – e quindi vanno intesi come diretti ai paesi che fanno affari con Mosca.

I principali sono Cina e India, più del 40% della popolazione mondiale, oltre che una quota rilevante del Pil globale. E pare proprio che di queste minacce se ne fottano allegramente.

Nuova Delhi, per dire, attualmente il principale importatore mondiale di armi, sta trattando l’acquisto di caccia russi Sukhoi Su-57E invece degli statunitensi F-35. Tecnologicamente si equivalgono ma quelli russi costano molto meno e, soprattutto, Mosca – al contrario di Washington – non accompagna la vendita di armi a pesanti condizionamenti sulle politiche internazionali.

Tempistica e minacce, in definitiva, non sono tali da segnare una “svolta” nei rapporti tra le due superpotenze nucleari.

Più intricata è, a prima vista, la ripresa dell’invio di armi a Kiev. Qui almeno una cosa è chiara: il costo del “regalo” lo pagherà l’Unione Europea, ossia chi paga le tasse da queste parti (lavoratori dipendenti e pensionati, al 90%). Gli Stati Uniti infatti smettono di spendere a favore dell’Ucraina, ma sono disponibili a vendergli armi... se qualcun altro paga.

Il secondo problema è: quali armi? L’oggetto più richiesto sono i missili anti-missile Patriot, che presentano parecchi difetti: costano molto e ce ne sono pochissimi, anche nei magazzini del Pentagono. E poi: si parla di “batterie” (piattaforme di lancio) oppure di “munizioni” (i missili da lanciare)?

Sulla questione sia Trump che lo pseudo-ministro apposito (Hegseth) sono rimasti sul vago, specie per quanto riguarda i numeri.

Il resto delle armi sono parte del vecchio programma di aiuti deciso da Biden e poi interrotto o fortemente rallentato. Nulla di aggiuntivo insomma, tanto che le nuove spese previste girano intorno ai 300 milioni (spiccioli, dopo i 170 miliardi già spesi da Usa e UE).

La continuazione della guerra in Ucraina diventa dunque un affare totalmente “europeo”, con gli Usa disposti a fare da fornitore retribuito ma senza svuotare troppo i propri arsenali.

Anche gli europei, comunque, devono farsi i conti in tasca. Il ministro della difesa tedesco, Pistorius, guerrafondaio della prima ora, ha spiegato che la Germania non invierà a Kiev né Patriot di fabbricazione statunitense né i famosi Taurus sfornati dalle fabbriche tedesche. Al massimo potrebbe acquistare due (due!) batterie di Patriot dagli Usa e poi girarli a Zelenskij o chi per lui. Ma ci vorranno comunque settimane per prendere la decisione, e qualche mese per completare la consegna.

Dunque? L’impressione – degli analisti, non certo quella dei gazzettieri che plaudono all’ennesimo “ritorno” di Trump tra le fila della “guerra infinita” – è che il tycoon abbia partorito la solita messinscena che gli consente di alleggerire la pressione neocon interna e prendere tempo, mentre prosegue la sua campagna per trasformare gli Stati Uniti nel tempio dell’ignoranza (anche la Corte Suprema ha deliberato che cancellare il ministero dell’Istruzione non è “anticostituzionale”), in un lager per immigrati, in un deserto di idee, senza più alcuna capacità egemonica. Neanche sull’immaginario...

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