Fine delle ipotesi e delle speranze di cavarsela. L’Unione Europea deve ingurgitare dazi Usa al 30% – per ora – e trovare il modo di limitare i danni facendo finta di aver ottenuto qualcosa. Complicato, visto che la “lettera di Trump” arriva dopo mesi di trattative, incontri, sorrisi, pacche sulle spalle, aumento al 5% della spesa militare (per comprare soprattutto armi statunitensi), con l’obbiettivo di subire “appena” un 10%, doloroso ma sopportabile.
Se questo è il risultato della “trattativa”, figuriamoci cosa ci potrà essere alla fine di un secondo o terzo round...
Il problema principale è capire la logica ferrea degli interessi economici, altrimenti si perde la possibilità di reagire. La partita aperta dal “trumpismo” è la reazione – tardiva, squinternata, irrealistica, ma reazione – all’inesorabile declino degli Stati Uniti come potenza egemone sul Mondo.
Assaltare gli alleati occidentali con dazi al 30% significa infatti scassare intenzionalmente il sistema delle relazioni internazionali che proprio l’imperialismo yankee aveva imposto al pianeta dopo la caduta dell’Unione Sovietica. In quel sistema – la cosiddetta “globalizzazione” – i mercati internazionali dovevano essere aperti al libero scambio puntando alla creazione di fatto di un mercato unico, senza troppi ostacoli (barriere tariffarie ridotte al minimo e in genere per ragioni strategiche e/o di sopravvivenza).
In quel sistema gli Stati Uniti fungevano da consumatore di ultima istanza in virtù del controllo della moneta mondiale (il dollaro) e della centralità delle proprie piazze finanziarie, compensando così “virtualmente” la propria deindustrializzazione (le “delocalizzazioni produttive”) con il monopolio di fatto di questa pseudo “industria”.
Ma proprio quel sistema di relazioni ha scavato la fossa sotto i piedi dell’imperialismo occidentale a guida statunitense, facendo crescere un debito complessivo – sia pubblico che privato – impossibile da sostenere a fronte di “competitor” industriali non solo in ottima salute, ma anche protagonisti dell’innovazione tecnologica oltre che assai più equilibrati internamente anche dal punto di vista strettamente capitalistico.
Contro quell’inarrestabile declino le politiche dell’establishment Usa – sia in versione repubblicana che “democratica” – avevano promosso guerre asimmetriche al grido di “la guerra finirà quando il mondo capirà che abbiamo il diritto di mantenere in nostro standard di benessere” (Donald Rumsfeld, ministro della difesa con Bush junior ai tempi della guerra all’Iraq). Un programma solo “conservativo”, per nulla entusiasmante e soprattutto senza compensazioni per il resto del Mondo...
Una strategia che si è sviluppata fino all’Ucraina, quando la Russia ha imposto un brusco stop all’espansione ad Est del dominio occidentale, innescando reazioni imprevedibili e, allo stato dei fatti, incontrollabili.
In pratica, per gli Usa si trattava e si tratta di far pagare agli altri i costi della propria crisi, come avevano sempre fatto nel secondo dopoguerra utilizzando soprattutto il “privilegio esorbitante” del dollaro (unica moneta nazionale – stampabile a volontà – che costituisce unità di misura universale del valore, mezzo di riserva e tesaurizzazione, ecc.).
Da qui originava la pressione all’aumento delle spese militari per gli alleati Nato, anche sotto Biden. Da qui la distruzione del gasdotto North Stream e l’imposizione “in alternativa” del costosissimo shale gas statunitense e tante altre iniziative meno esplicite.
Troppo poco e troppo tardi. Il sistema non regge comunque.
Da qui è uscito fuori Trump e la sua banda di sciroccati evangelico-sionisti, convinti che sarebbe bastato fare la voce grossa per imporre a tutti la volontà – gli interessi – statunitensi. L’obbiettivo non è cambiato: sopravvivere senza troppi sforzi, senza più un “sogno” da condividere con il mondo.
Il problema è che il mondo di prima non c’è più. I competitor hanno abbastanza forza economica per non restare scioccati dall’aggressività tariffaria Usa, ed hanno spazio a sufficienza per provare a intessere relazioni commerciali alternative per i propri prodotti, mettendo fra l’altro da parte il dollaro come mezzo di pagamento e creando sistemi di pagamento diversi dallo Swift (controllato da Washington).
Non paradossalmente, in questo nuovo mondo le “prede spolpabili” sono proprio gli alleati più fedeli e stupidi, a cominciare dagli europei, anche se pure Canada, Corea del Sud e Giappone non stanno messi meglio. Con questi, insomma, si può stabilire quel “rapporto coloniale” che è saltato ormai quasi dappertutto.
Sono questi, infatti, quelli che al momento non hanno alternative alle esportazioni verso gli Usa. Si sono bruciati i ponti con la Russia diventando i guerrafondai più estremi sull’Ucraina. Hanno limitato oltre ogni necessità gli scambi con la Cina, obbedendo alla stessa logica “egemonica”. Fanno e faranno fatica con il mondo musulmano (due miliardi di persone), pagando la complicità con i genocidi di Israele.
A questi imbecilli i dazi del 30% faranno davvero male. E solo con questi può funzionare davvero la minaccia trumpiana “e non reagite, sennò li raddoppio”. Con la Cina la stessa tattica è stata rapidamente messa in soffitta...
Anche perché – e qui hanno ragione da vendere quanti vedono nei dazi anche una scelta suicida – il consenso interno può stare in piedi fino a quando gli scaffali dei supermercati statunitensi non cominceranno a restare vuoti o ad apparire così costosi da doverci rinunciare. Le importazioni da Cina, Messico, Europa, ecc., infatti, non sono sostituibili (soprattutto in tempi brevi) con “prodotti made in Usa”.
Noi – lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati, “ceto medio” – stiamo nella parte di mondo che va crollando, ma può e deve diventare l’occasione per superarlo rivoluzionandolo. Certo, servirà più serietà – e scientificità – che nel passato, recente o remoto che sia.
Si potrebbe infine disquisire a lungo sulla profondità di pensiero strategico di Giorgia Meloni e altri “in sintonia con il trumpismo”, che in queste ore continuano a predicare “moderazione e dialogo”, temendo che una reazione europea “eccessiva” (che non ci sarà, ci possiamo scommettere...) inneschi una frana economica di dimensioni inaffrontabili (non hai più “mercati alternativi” pronti allo scambio).
Ma non siamo come i sionisti e ci sembra perciò inutile sparare sulla croce rossa...
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