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04/07/2025

Pierino e il buco della serratura

Pochi giorni fa se ne è andato Alvaro Vitali. Nonostante gli esordi felliniani – con una particina nel Satyricon (1969), poi richiamato dal regista romagnolo per I clowns (1971), Roma (1972) e Amarcord (1973) – l’attore romano è ricordato soprattutto per le sue tante interpretazioni nelle più sguaiate commedie all’italiana prodotte a raffica a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso insieme ad altri attori e attrici che, come lui, hanno prestato corpo e volto a una cinematografia scadente finché si vuole, ma indubbiamente ancora capace di riempire le sale italiane destreggiandosi tra i colossi hollywoodiani, le programmazioni d’essai avviate mestamente a ridursi a piccole riserve per cinefili e, soprattutto, la nascente neotelevisione che avrebbe espanso, riscritto e poi fagocitato personaggi e gag della commedia nostrana di facile intrattenimento.

Quella di cui Vitali è stato tra i protagonisti è stata una commedia all’insegna di mimiche e gestualità sguaiate, di corpi grotteschi e impacciati nel caso dei personaggi maschili interpretati dai vari Vitali, Banfi e Bombolo, a cui hanno fatto da contraltare personaggi femminili inarrivabili, a volte ingenui ed altre aggressivi, dai volti e dai corpi trasudanti sex appeal interpretati da attrici come Fenech, Guida e Cassini.

Per quanto possa apparire irriverente l’accostamento, nonostante la maschera Vitali si ponga agli antipodi della maschera Mastroianni, vale la pena di guardare al tipo di “maschio italiano” messo in scena dai due attori, pur all’interno di film di caratura, evidentemente, completamente diversa.

La studiosa Jacqueline Reich (Beyond the Latin Lover: Marcello Mastroianni, Masculinity, and Italian Cinema, 2004) ha approfondito il cosiddetto “paradosso-Mastroianni”: all’immagine dell’attore “latin lover” veicolata dalle cronache mondane si contrappone la figura del “vulnerabile e fragile inetto” dei personaggi da lui messi in scena, personaggi che esprimono una visione conflittuale della mascolinità dominante in Italia. Ad avere la meglio in tale contrapposizione, secondo Reich, è stato l’inetto filmico nel suo decostruire deliberatamente lo statuto ipermascolino del latin lover pubblico.

I personaggi interpretati da Mastroianni sono esponenti di quella schiera di uomini deboli e passivi che danno immagine alla mascolinità nel cinema italiano del secondo dopoguerra, ma esprimono anche i sintomi della profonda crisi dell’identità maschile italiana che attraversa i decenni successivi al conflitto bellico.

La lettura della mascolinità del cinema italiano all’insegna della figura dell’inetto proposta da Reich è stata recentemente ripresa criticamente, ad esempio, dal volume Oltre l’inetto. Rappresentazioni plurali della mascolinità nel cinema italiano (Meltemi, 2021), curato da Angela Bianca Saponari e Federico Zecca, con l’intento di andare oltre il binarismo “maschio ideale”/“maschio in crisi”, approfondendo le tante sfaccettature della costruzione di identità, corpi e culture maschili individuabili nel cinema italiano.

Se già in alcune parodie cinematografiche degli anni cinquanta è possibile cogliere un’incarnazione comica dell’inetto, finalizzata a caricaturizzare le performance amatorie del maschio italiano, con la commedia erotica degli anni Settanta-Ottanta si assiste anche al processo di infantilizzazione di alcuni personaggi inetti, come nel caso di quelli interpretati dallo scomparso Alvaro Vitali.

Se si può guardare a Mastroianni alla luce della contrapposizione tra l’attore “latin lover” e i “personaggi inetti” da lui interpretati, nel caso di Alvaro Vitali ci si ricorda soltanto dei personaggi a cui ha dato corpo e mimica; sembra non essere esistito un Alvaro Vitali fuori dagli schermi se non nel momento in cui è venuto a mancare.

Per quanto si tenda a guardare alle commedie sguaiate degli anni Settanta e Ottanta come a messe in scena di figure politicamente scorrette, esaltanti la rapacità sessuale del “maschio italiano”, occorre notare come, in molti casi, si tratti di pellicole in cui questo “maschio italiano”, impossibilitato nel suo appagamento sessuale, si trovi costretto ad accontentarsi di starsene pateticamente chino ad osservare dal buco della serratura irraggiungibili corpi femminili sotto una doccia.

Insomma, i personaggi messi in scena da Vitali, Banfi, Bombolo ecc. sembrano soprattutto maschi frustrati che, al pari del pubblico maschile, nel corso degli anni Settanta e Ottanta attendevano di poter sbirciare ciò che, al massimo, potevano soltanto intravedere. Guardando bene, dal buco della serratura offerto dal cinema italiano del secondo dopoguerra sembra di intravedere più tanti italici inetti e repressi che non le forme sensuali di qualche giovane intenta a insaponarsi.

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