In Occidente, la modernizzazione ecologica come modello per affrontare i problemi ambientali è da tempo oggetto di critica da parte degli ecosocialisti e degli ecologisti radicali in generale. Al contrario, in Cina la modernizzazione ecologica come mezzo per porre rimedio ai problemi ambientali gode del forte sostegno dei marxisti ecologici. Il motivo principale di questi approcci differenti dovrebbe essere evidente.
In Occidente, la nozione di modernizzazione ecologica, pur non essendo di per sé problematica come parte di un processo complessivo di cambiamento ambientale, è divenuta ideologicamente sinonimo del modello ristretto di modernizzazione ecologica capitalistica.
Qui si suggerisce che i problemi ambientali possano essere affrontati con soli mezzi tecnologici, all’interno delle relazioni sociali consolidate del capitalismo e in un contesto puramente riformista. Diversamente da ciò, la modernizzazione ecologica socialista, come immaginata in Cina e in pochi altri stati post-rivoluzionari, è sostanzialmente diversa.
Essa richiede una rottura con le relazioni sociali dell’accumulazione del capitale, rendendo possibili cambiamenti nel rapporto umano con la natura di carattere rivoluzionario, finalizzati alla creazione di una civiltà ecologica orientata allo sviluppo umano sostenibile.
Un problema parallelo nasce rispetto alla nozione di “prometeismo”, termine ambiguo basato ostensibilmente sul mito greco in cui Prometeo, un Titano, dona il fuoco all’umanità. Nella visione capitalistica contemporanea, il mito prometeico è stato trasformato in modo tale da rappresentare la tecnologia e il potere, persino le rivoluzioni industriali.¹
Tuttavia, nel mito greco originario, come presentato da Eschilo in Prometeo incatenato e successivamente ripreso dai pensatori dell’Illuminismo, tra cui Percy Bysshe Shelley e Karl Marx, Prometeo – incatenato a una roccia da Efesto per ordine di Zeus – rappresentava la sfida rivoluzionaria agli dèi ed era fonte di illuminazione e autocoscienza umana.²
Il prometeismo capitalistico, quindi, non è lo stesso prometeismo umanista rivoluzionario. Il primo riguarda tecnologia e potere e ha poca relazione con il mito greco; il secondo riguarda l’illuminazione rivoluzionaria, lo sviluppo degli individui sociali e l’armonia dell’essere umano con la natura.
Nell’ideologia capitalista dominante in Occidente/Nord Globale, la questione dell’impatto del processo di accumulazione del capitale sull’ambiente, inclusa la crisi stessa del Sistema Terra, è o evitata del tutto o considerata risolvibile attraverso pure soluzioni tecnologiche, senza alcun bisogno di modificare le relazioni di classe, proprietà, capitale e consumo.
La modernizzazione ecologica come teoria e pratica è così divenuta principalmente sinonimo di una posizione antiecologica, poiché antepone le relazioni sociali capitalistiche alle questioni dell’umanità e della natura, insistendo che nulla debba cambiare se non le macchine, mentre l’accumulazione di capitale rimane l’obiettivo supremo del sistema.
È questa modernizzazione ecologica, intesa nel suo stretto senso ecotecnico, a essere indicata quando si parla di “capitalismo verde”. Nel suo rifiuto assoluto dei limiti ecologici all’accumulazione illimitata, la modernizzazione ecologica capitalistica è una manifestazione di un’incapacità fatale di rispondere ai bisogni dell’umanità e della natura.
All’interno del marxismo ecologico cinese, al contrario, la modernizzazione ecologica non riguarda la preservazione del capitalismo e l’opposizione all’ambientalismo. È invece concepita come modernizzazione ecologica socialista, parte del processo di creazione di una nuova civiltà ecologica. Ciò non significa che le contraddizioni ecologiche dello sviluppo e della modernità svaniscano magicamente. Ma il compito viene qui visto in modo diverso, mirato esplicitamente a costruire una maggiore coscienza e realtà ambientale.
Come afferma Xi Jinping, “acque limpide e montagne verdi” valgono quanto – o più – delle “montagne d’oro”, e questo significa in ultima analisi che occorre compiere scelte per sostenere le prime anche a scapito delle seconde.³
Ecosocialismo e mito prometeico
Ciò che rende così difficile districare il dibattito ecologico in Occidente è che la coscienza alienata e dualistica che ha storicamente caratterizzato l’ideologia egemonica è penetrata all’interno dello stesso movimento ecosocialista. Questo ha generato ogni sorta di contraddizioni, derivanti non solo dal capitalismo, ma anche dall’eredità della Guerra fredda e dalla sua ideologia antisocialista.
Il marxismo occidentale ebbe spesso un ruolo ambiguo durante la Guerra fredda: critico sia del capitalismo sia del socialismo di Stato, ma allo stesso tempo vittima delle “quattro ritirate” (dal materialismo, dalla dialettica della natura, dalla classe e dall’imperialismo).⁴ Non sorprende dunque che l’ascesa dell’ecosocialismo come concetto definito negli anni ’80 fosse strettamente legata all’ideologia della Guerra fredda.
Importanti ecosocialisti dell’epoca, come Ted Benton in Inghilterra e John P. Clark negli Stati Uniti, sostennero che l’opera di Marx – e il marxismo in generale – fosse “prometeica” nel senso iper-industrialista e quindi incompatibile con l’ecologia. Per Benton, scrivendo su New Left Review, Marx era accusato di avere una visione “prometeica e ‘produttivista’ della storia”, di carattere meccanicista, che contrastava con una prospettiva ecologica.⁵
Per Marx, Epicuro era “il vero radicale illuminista dell’antichità”.⁶ Nel suo elogio a Epicuro all’interno della sua dissertazione, Marx lo paragonava a Prometeo (come rappresentato da Eschilo) – il Titano rivoluzionario che aveva sfidato gli dèi dell’Olimpo portando il fuoco, simbolo di luce e conoscenza, all’umanità, e che era stato punito venendo incatenato a una roccia per l’eternità per ordine di Zeus.⁷
Qui Marx riprendeva l’elogio famoso di Lucrezio a Epicuro nel De rerum natura, che aveva costituito la base per l’uso del termine “Illuminismo” da parte di Voltaire nella Francia del XVIII secolo.⁸ Questo, insieme a una litografia contemporanea sulla censura della Rheinische Zeitung, di cui Marx era editore, raffigurante Prometeo incatenato a una macchina da stampa, portò alla comune identificazione di Marx con Prometeo.⁹
Rompendo con la concezione dominante, durata millenni, di Prometeo come portatore di luce/Illuminazione – anche se Joseph Pierre-Proudhon nel XIX secolo aveva promosso un prometeismo meccanico e Mary Shelley aveva parlato del “Moderno Prometeo” nel sottotitolo del suo Frankenstein – i guerrieri della Guerra fredda in Occidente, molti dei quali ex–di sinistra che scrivevano per pubblicazioni finanziate dalla CIA come Encounter, iniziarono a presentare Marx come un sostenitore di un prometeismo estremo.¹⁰
Questo era un nome in codice per l’apologia dell’instrumentalismo illimitato come obiettivo primario della società, volto ad associare Marx alla Russia di Stalin, con la sua rapida industrializzazione e il suo apparente culto del gigantismo. Biografia dopo biografia su Marx enfatizzava il suo riferimento a Prometeo nella sua dissertazione, senza alcun tentativo di spiegare il contesto – cioè il suo elogio di Epicuro come figura prometeica nel senso del Prometeo incatenato di Eschilo.
Epicuro era noto come il principale filosofo materialista del mondo greco antico e per il suo impegno umanistico verso una comunità sostenibile e autocosciente: tutto ciò portò Marx a paragonarlo al Prometeo del mito, e nulla aveva a che fare con l’instrumentalismo, l’iper-industrialismo o il gigantismo.¹¹
Nel suo celebre Karl Marx del 1918, Franz Mehring aveva descritto Marx come un “secondo Prometeo sia nella lotta che nella sofferenza”.¹² Questa immagine fu presto adottata e distorta dai critici di Marx. In To the Finland Station (1940), Edmund Wilson presentò Marx come un Prometeo meccanicista che aveva come unico scopo la produzione, e alle cui spalle si stagliava l’ombra minacciosa di Lucifero.¹³
Una delle prime e più influenti opere della Guerra fredda a ritrarre Marx come un prometeico instrumentalista fu Philosophy and Myth in Karl Marx (1961) di Robert C. Tucker, che vedeva sia Hegel sia Marx come promotori di filosofie “la cui stessa confessione era quella di Prometeo”.¹⁴
Questa visione fu ripresa dai guerrieri della Guerra fredda come Lewis Feuer, in Marx and the Intellectuals (1969), e da Daniel Bell, in The Cultural Contradictions of Capitalism (1976), dove Marx veniva accusato di una “compulsione mitopoietica” prometeica devota all’assolutismo tecnologico.¹⁵
I propagandisti della Guerra fredda che attaccavano Marx e il marxismo per il suo supposto prometeismo meccanicista erano principalmente interessati a presentare il marxismo come antiumanista, strumentale e iper-industrialista, in linea con la loro concezione del comunismo sovietico.
Tuttavia, coerentemente con la loro visione capitalista, tali critici del marxismo non erano nemici del produttivismo né sostenitori dell’ambiente. Bell, ad esempio, nel suo The Coming of Post-Industrial Society, fu uno dei principali critici dello studio Limits to Growth del Club di Roma (1972). Egli sosteneva che i limiti ecologici alla crescita semplicemente non esistessero e che la scarsità delle risorse fosse impossibile nel nuovo mondo postindustriale.¹⁶
Sebbene la critica della Guerra fredda al marxismo classico per il suo presunto prometeismo meccanicista avesse lo scopo originario di affermare che il marxismo fosse intrinsecamente antiumanista, ciò si trasformò successivamente nell’accusa che il materialismo storico fosse anti-ambientalista, attraverso figure come il sociologo britannico Anthony Giddens, che nel 1981, in A Contemporary Critique of Historical Materialism, sosteneva che Marx avesse un “atteggiamento prometeico” in cui la natura veniva ridotta a termini puramente strumentali.¹⁷
Questo giudizio fu ripreso da numerosi ecosocialisti influenti, che affermarono che Marx fosse un pensatore “prometeico” produttivista e dunque anti-ambientalista.¹⁸ Ciò che oggi viene comunemente chiamato “ecosocialismo di prima fase”, negli anni ’80 e ’90, venne così a rappresentare soprattutto una rottura con il marxismo classico per ragioni ambientali, spesso confrontando sfavorevolmente Marx con Thomas Malthus e con il neo-malthusianesimo moderno.¹⁹
Negli anni ’90, tuttavia, emerse un ecosocialismo di “seconda fase”, a partire dal lavoro dell’autore del presente saggio e di Paul Burkett. L’obiettivo era scoprire la critica ecologica intrinseca di Marx, confutando al tempo stesso le accuse secondo cui Marx avrebbe sostenuto un cosiddetto “prometeismo” iper-industrialista.²⁰
Si mise l’accento sulla critica ecologica del capitalismo in Marx tramite la teoria della frattura metabolica e la sua concezione dello sviluppo umano sostenibile.²¹ Ciò portò al rapido sviluppo dell’ecologia marxiana o ecosocialismo di seconda fase, pienamente integrato nella critica del capitalismo nel suo complesso e nella dialettica marxiana.
Una vasta produzione di opere, composta da centinaia di libri e articoli, fu pubblicata utilizzando l’analisi della frattura metabolica derivante dalla critica ecologica di Marx al capitalismo per affrontare quasi ogni aspetto dell’attuale crisi ecologica planetaria, sia in prospettiva storica sia contemporanea.²²
Il marxismo e il marxismo ecologico possono essere considerati prometeici solo nel senso del mito greco antico di Prometeo stesso, come descritto in particolare nel Prometeo incatenato di Eschilo, così come è stato compreso per millenni. Marx raffigurava Epicuro via Prometeo come una figura proto-rivoluzionaria che aveva portato l’Illuminazione all’antichità sfidando l’intero “branco degli dèi”.²³ Nello stesso spirito, Rachel Carson, nel movimento ambientalista moderno, sfidò quelli che definiva “gli dèi del profitto e della produzione”.²⁴
La modernizzazione ecologica capitalista come ideologia
Se molti ecosocialisti della prima fase, negli anni ’80, accusarono Marx e Friedrich Engels di prometeismo meccanicista o iper–industrialismo, etichettando così il materialismo storico come produttivista e anti–ecologico, la realtà è che molte delle lotte più radicali in campo ambientale dagli anni ’50 in avanti furono guidate o ispirate da ecologisti socialisti. Tra questi figuravano Scott Nearing, Barry Commoner, Virginia Brodine, Shigeto Tsuru, K. William Kapp, Raymond Williams, Charles H. Anderson, Murray Bookchin, Allan Schnaiberg, Richard Levins, Richard Lewontin, Nancy Krieger e Rudolf Bahro.
Negli anni ’70, l’ecologia socialista era già una forza potente a livello di movimento, in particolare negli Stati Uniti. Gli ambientalisti socialisti si distinguevano per il loro rifiuto del neo–malthusianesimo, ovvero della nozione secondo cui i problemi ecologici deriverebbero principalmente dalla popolazione anziché dal sistema di produzione.
La vasta critica socialista all’ambiente era fortemente influenzata dal materialismo storico di Marx e dalla Dialettica della natura di Engels. Sorsero inizialmente nelle scienze naturali, a partire dagli anni ’50, in risposta ai test delle armi nucleari, attraverso il lavoro di scienziati critici come Commoner, e ricevettero ulteriore impulso negli Stati Uniti tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, in risposta a una serie di problemi affrontati da Science for the People (sia come pubblicazione sia come organizzazione).²⁵
Nelle scienze sociali, l’analisi ecologica radicale e marxista predominava nella Sezione di Sociologia dell’Ambiente dell’American Sociological Association (ASA), nata nei primi anni ’70.²⁶ Tra i principali esponenti della sociologia ambientale figuravano i radicali William Catton, autore di Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Change (1982), e Riley Dunlap, che – nel contesto del dibattito sui limiti della crescita, allora dominato principalmente dagli economisti – introdussero (insieme) la distinzione tra paradigma dell’eccezionalismo umano e nuovo paradigma ecologico.
Il paradigma dell’eccezionalismo umano, definito criticamente da Catton e Dunlap, rappresentava la visione egemonica della modernità capitalistica: l’idea che l’umanità fosse ampiamente esente dai vincoli naturali, e che in ultima analisi non esistessero limiti naturali o ecologici all’avanzamento umano, ritenuto affidato semplicemente all’ingegno umano e alla tecnologia.²⁷
I principali rappresentanti dell’eccezionalismo umano nel dibattito sui limiti della crescita negli anni ’70 e ’80 furono l’economista delle risorse Julian Simon, autore di The Ultimate Resource, e il teorico della crescita economica Robert Solow, premio Nobel per l’Economia. Simon, negando ogni vincolo ecologico all’accumulazione del capitale, affermò che “non esiste alcun limite fisico significativo... alla nostra capacità di continuare a crescere per sempre” all’interno dell’ambiente terrestre.²⁸
Solow scrisse: “Se è molto facile sostituire altri fattori alle risorse naturali, allora in linea di principio non c’è alcun ‘problema’. Il mondo può, di fatto, fare a meno delle risorse naturali, così che il loro esaurimento è solo un evento, non una catastrofe.”²⁹
Fu proprio questo paradigma esentazionista dominante a essere messo in discussione da Limits to Growth, che indicava crescenti vincoli ambientali (principalmente legati alle risorse) man mano che l’economia mondiale si espandeva superando soglie critiche – una prospettiva che fu successivamente estesa a includere sia il problema dei vincoli sulle risorse o “rubinetto”, sia il problema dell’accumulo di scarti ecologici o “scarico”.³⁰
Il nuovo paradigma ecologico era strettamente collegato all’idea dei limiti della crescita, e rappresentava dunque un attacco frontale al paradigma dell’eccezionalismo umano. Costituì la base comune iniziale della Sezione di Sociologia dell’Ambiente dell’ASA. Originariamente articolato da Catton e Dunlap, fu in seguito codificato in cinque principi fondamentali: (1) limiti della crescita, (2) non–antropocentrismo, (3) fragilità dell’“equilibrio” della natura, (4) insostenibilità dell’eccezionalismo umano e (5) crisi ecologica.³¹
Sebbene il nuovo paradigma ecologico rappresentasse in molti modi un punto di partenza, esso venne integrato alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80, nella Sezione di Sociologia dell’Ambiente dell’ASA, con critiche marxiste del capitalismo monopolistico, del “tapis roulant” della produzione/accumulazione e degli scarti ecologici, che si unirono così alla critica del paradigma esentazionista.
Da un punto di vista teorico, fino al secondo decennio del secolo attuale la sociologia ambientale negli Stati Uniti fu dominata dalla critica marxiana del capitalismo e della sua degradazione ecologica. Ciò includeva non solo coloro che, come Schnaiberg, aderivano alla teoria del tapis roulant della produzione, ma anche quelli associati all’ecosocialismo di seconda fase, molti dei quali identificati con la Sezione di Sociologia dell’Ambiente dell’ASA.³²
Tuttavia, la forte critica del capitalismo che costituiva la base della Sezione di Sociologia dell’Ambiente dell’ASA iniziò a sgretolarsi nel 2003. Nell’ottobre–novembre 2003, venne organizzata una conferenza presso l’Università del Wisconsin in onore di Schnaiberg e della prospettiva del tapis roulant della produzione, una tradizione neo–marxista centrale nella sociologia ambientale statunitense che descriveva il conflitto tra le tendenze dell’accumulazione capitalistica e l’ambiente.
Tuttavia, la conferenza ebbe in realtà una doppia agenda, poiché vennero invitati anche gli ecomodernisti olandesi Arthur P. J. Mol e Gert Spaargaren.³³ Questi pensatori si dedicarono a criticare gli approcci neo–marxisti all’ambiente e a difendere la capacità del capitalismo di risolvere i problemi ambientali con soli mezzi tecnologici – di fatto proponendo un nuovo esentazionismo più sfumato, nato dal movimento di riforma ambientale in Europa.
Il dibattito proseguì per anni. La modernizzazione ecologica – benché ampiamente riconosciuta come teoricamente ed empiricamente debole rispetto alle analisi ecologiche radicali ed ecosocialiste – finì alla lunga per acquisire notevole prominenza grazie alla sua maggior conformità al sistema, e al prestigio e supporto ufficiale che ne derivavano.
Per Mol e Spaargaren, era necessario allontanarsi “dalla corrente ambientalista ispirata ecologicamente della sociologia dell’ambiente”. Il nuovo paradigma ecologico veniva accusato di “civettare con l’ecologia”, rappresentando un inaccettabile “ibrido tra sociologia ed ecologia”. Mol e Spaargaren sostenevano che non vi fosse alcun “ostacolo chiave” alla riforma ambientale sotto le relazioni capitalistiche di produzione.³⁴
Nel loro lato migliore, i modernizzatori ecologici capitalisti sostenevano che tecnologia e mercati potessero affrontare le sfide ambientali all’interno del capitalismo attraverso riforme lievi, “verde chiaro”, senza cambiamenti nelle relazioni sociali; nel loro lato peggiore, negavano la necessità di strategie e movimenti ecologici radicali.
Nel 2010, Mol – principale rappresentante della teoria della modernizzazione ecologica – ricevette il Distinguished Contribution Award (premio alla carriera) dalla Sezione di Sociologia dell’Ambiente dell’ASA, indicando che la modernizzazione ecologica, nonostante la sua opposizione alla critica ecologica radicale e la sua postura generalmente anti–ambientalista, fosse ora considerata pienamente legittima all’interno della disciplina. Ciò rifletteva una crescita generale dell’anti–ambientalismo: la percentuale di statunitensi che si consideravano ambientalisti scese dal 76% del 1989 al 41% del 2021.³⁵
La teoria accademica della modernizzazione ecologica affonda le sue radici nella teoria della modernizzazione della Guerra fredda. Attaccando le teorie rosso–verdi di pensatori come Bahro e Commoner, Spaargaren sosteneva che esse si opponevano erroneamente alla “teoria della società industriale” sviluppata da “Daniel Bell e altri”, che celebrava la modernizzazione e l’industrializzazione capitalistiche.
La modernizzazione, in questo senso, era associata al funzionalismo strutturale del sociologo conservatore Talcott Parsons, e ancor più a una concezione che identificava la modernità con l’Occidente, caratterizzato come cultura “universale” nel senso weberiano.³⁶ Come sostenuto dal sociologo della Guerra fredda ed anti-marxista Edward Shils, modernizzazione significava Occidente.
Nelle sue parole: “‘Moderno’ significa essere occidentale senza l’onere di seguire l’Occidente. Il modello di modernità è l’immagine dell’Occidente staccata in qualche modo dalle sue origini e dal suo luogo geografico.”³⁷ Naturalmente, “Occidente” in questo senso rappresentava anche il capitalismo, visto come intrinsecamente occidentale.
La teoria occidentale della modernizzazione ecologica è dunque procapitalista ed eurocentrica. Tuttavia, una proposizione chiave sia per Spaargaren che per Mol era che la modernizzazione ecologica fosse completamente indipendente dalle relazioni sociali ed economiche. Come affermò Mol: l’“ideologia della modernizzazione ecologica” sosteneva che fosse possibile creare “una società ambientalmente sana” senza riferimento a “una varietà di altri criteri e obiettivi sociali come la scala della produzione, il modo di produzione capitalistico, l’influenza dei lavoratori, l’allocazione equa dei beni economici, i criteri di genere e così via. Includere quest’ultimo insieme di criteri potrebbe portare a un programma più radicale (nel senso di allontanarsi ulteriormente dall’ordine sociale attuale), ma non necessariamente a un programma ecologicamente più radicale.”³⁸
L’implicazione era che l’avvento del socialismo non avrebbe migliorato materialmente la situazione ecologica. Oppure, come scrisse altrove: “I teorici della modernizzazione ecologica credono… che l’ambiente possa essere protetto all’interno della logica e della razionalità del capitalismo… Un capitalismo ‘verde’ è visto come possibile, e per certi aspetti anche desiderabile.” Ciò significa “reindirizzare e trasformare il ‘capitalismo di libero mercato’ in modo tale che ostacoli sempre meno e contribuisca sempre di più alla preservazione della base di sostentamento della società.”
Più in generale, egli affermò che la modernizzazione ecologica implica “l’incorporazione della natura come terza forza della produzione [dopo il lavoro e il capitale] nel processo economico capitalistico.”³⁹
Per l’ecomodernista Maarten Hajer, era possibile vedere la “modernizzazione ecologica come la percezione della natura come un nuovo ed essenziale sottosistema” del capitalismo industriale.⁴⁰ Come l’intero Sistema Terra potesse diventare un “sottosistema” della società industriale, in termini spaziali e temporali, non veniva spiegato.
Modernizzazione Ecologica Capitalista e la Sinistra Occidentale
Nel 2007, gli ecomodernisti Michael Shellenberger e Ted Nordhaus – che nel 2004 avevano pubblicato il saggio “La Morte dell’Ambientalismo” – diedero alle stampe il loro libro Breakthrough: From the Death of Environmentalism to the Politics of Possibility, lanciando contemporaneamente il Breakthrough Institute, un think tank pro-aziende, pro-capitalista, ecomodernista e anti-ambientalista.⁴¹
Rappresentando un tentativo di portare l’ecomodernismo sotto i riflettori, il Breakthrough Institute sostiene un programma che propone di risolvere i problemi ecologici presumibilmente attraverso tecnologie di mercato, sovvenzionate dallo stato capitalista, mantenendo intatte le relazioni sociali esistenti. Questo approccio è anti-ambientalista nel senso che rifiuta il movimento ambientalista e promuove il mito dell'“imboschimento del capitalismo”.
Nel 2015, il Breakthrough Institute promosse Un Manifesto Ecomodernista: Dalla Morte dell’Ambientalismo alla Nascita dell’Ecomodernismo, che sosteneva che l’unica soluzione alle sfide ambientali fosse un “disaccoppiamento accelerato” dell’economia dall’ambiente attraverso forme di produzione più intensive che richiedono un “progresso tecnologico accelerato”. Sebbene sostenesse che il proprio approccio non potesse essere ridotto al sistema di accumulazione capitalistica o al conservatorismo del libero mercato, esso si opponeva a qualsiasi cambiamento nelle relazioni sociali esistenti.
La migliore risposta al cambiamento climatico, affermava il Manifesto Ecomodernista, era l’energia nucleare, definita “l’unica tecnologia attuale a zero emissioni di carbonio con la comprovata capacità di soddisfare la maggior parte, se non tutte, le richieste energetiche di un’economia moderna”.⁴²
Nelle sue numerose descrizioni dell’ecomodernismo, il Breakthrough Institute presenta il capitalismo come l’unica via per una soluzione verde. Nel suo libro Green Delusions (1992), attaccando l’ambientalismo radicale e l’ecosocialismo, il senior fellow del Breakthrough Martin Lewis sostenne un “ambientalismo prometeico” meccanicistico, che egli identificava con l’approccio “tecnocratico” ed eccezionalista-umano di Simon ne La Risorsa Ultima.⁴³
Il senior fellow del Breakthrough Patrick Brown ha sostenuto, contro ogni logica ed evidenza, che “l’adattamento climatico è stato un successo risonante nell’era moderna della rapida crescita economica capitalistica”. Secondo Brown non esiste “alcun trend coerente nelle inondazioni globali” o nelle siccità globali o negli incendi boschivi globali. Il “bilancio del carbonio” non è stato “superato”. Egli nega categoricamente la critica secondo cui il capitalismo sta cambiando il clima “molto più velocemente di quanto noi ci stiamo adattando”.⁴⁴
I senior fellow del Breakthrough Institute Nordhaus e Alex Smith, scrivendo per la rivista “socialista democratica” Jacobin, sostengono che l’agribusiness in stile corporativo sia il modo più efficiente per affrontare l’agricoltura da un punto di vista ecologico, e sia il modello per un ecomodernismo del disaccoppiamento.⁴⁵
La strategia ecomodernista è spesso presentata come “progressista” ed è stata sempre più apertamente celebrata da pensatori liberali e socialdemocratici come “prometeica” nel senso iper-industrialista.⁴⁶ Qui il “Prometeismo”, termine propagandistico della Guerra Fredda introdotto per caratterizzare il marxismo come una forma di strumentalismo ed estremo produttivismo, e quindi anti-umanista – e successivamente adottato dagli ecosocialisti della prima fase per criticare Marx come anti-ambientalista – è stato trasformato in un distintivo d’onore negli ambienti socialdemocratici.
Così, i cosiddetti ecomodernisti “socialisti democratici” Matt Huber e Leigh Phillips, scrivendo per Jacobin, si presentano orgogliosamente come appartenenti a una lunga tradizione di marxisti meccanicistici “prometeici”.
Coerenti con l’idea egemonica che il problema ecologico sia gestibile senza cambiamenti fondamentali nelle relazioni sociali, essi rifiutano la teoria della frattura metabolica di Marx. Seguendo l’eccezionalismo umano di Simon, Huber e Phillips insistono sul fatto che gli unici veri “limiti insormontabili” all’espansione economica sono “le leggi della logica e della fisica”.⁴⁷
Parafrasando l’eccezionalismo umano anti-ambientalista di Simon, che egli loda, Phillips afferma: “puoi avere una crescita [economica] infinita su un pianeta finito”. E prosegue: “Il socialista... deve difendere la crescita economica, il produttivismo, [l’iper-industriale] Prometeismo”.⁴⁸
Ci viene detto che il pianeta ha una capacità di carico in grado di sostenere “282 miliardi” di persone – o più. “L’energia è libertà. La crescita è libertà”. L’obiettivo della società è “più roba”.⁴⁹
In questa visione, l’espansione economica viene prima, l’umanità e il pianeta ultimi. Il programma ecologico di questi pensatori, apparentemente “di sinistra”, non differisce materialmente da quello dei neoliberisti del Breakthrough Institute, con i quali sono strettamente allineati.⁵⁰
Huber e Phillips non ignorano del tutto le relazioni sociali. Tuttavia, si astengono dal mettere in discussione l’illimitata accumulazione di capitale o la crescita economica esponenziale e infinita. Tutto ciò che serve per affrontare il cambiamento climatico, ci viene detto, è una pianificazione “socialista” (ovvero socialdemocratica) basata sul lavoro organizzato, in particolare quello dei lavoratori del settore elettrico.⁵¹
Huber si oppone fermamente a ciò che definisce il “radicale ambientalista anti-sistema” e offre come soluzione una “democrazia anti-carbonio”. In linea con l’ex sinistrista Christian Parenti, sostiene che un “rovesciamento rivoluzionario del capitalismo” di stampo ecosocialista non sia un’opzione praticabile in una scala temporale ragionevole. Pertanto, la strategia adottata deve conformarsi alla logica interna del sistema capitalistico stesso.
Se il capitalismo fosse “decarbonizzato” e l’industria dei combustibili fossili fosse “soppressa” come parte di un capitalistico Green New Deal, sostiene Huber, il cambiamento climatico antropogenico semplicemente cesserebbe di esistere e non ci sarebbe bisogno di “riduzioni aggregate del consumo energetico” o di riduzioni dell’accumulazione di capitale, anche nei paesi capitalistici sviluppati.⁵² L’accumulazione di capitale presumibilmente potrebbe proseguire come prima, raggiungendo vette sempre più alte, ma su base decarbonizzata.
L’argomento che concepisce l’infinita crescita/accumulazione economica come la forza trainante in una soluzione capitalista “verde” al cambiamento climatico è legato alla riduzione dell’emergenza del Sistema Terra al solo cambiamento climatico. Ciò è supportato dalla notevole affermazione di Huber e Phillips, in sfida a tutta la scienza contemporanea del Sistema Terra, che le altre otto frontiere planetarie non rappresentano un ostacolo per il progresso umano.⁵³
Frontiere planetarie come la perdita di integrità biologica (inclusa l’estinzione di massa delle specie), la frattura nei flussi biogeochimici (alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo), il cambiamento del sistema del suolo (inclusa la deforestazione), la perdita di acqua dolce, le nuove entità (inquinamento chimico, da radionuclidi e plastica) e l’acidificazione degli oceani – tutte superate, secondo gli scienziati naturali – vengono semplicemente fatte sparire con un wishful thinking.⁵⁴
L’ecomodernismo socialista democratico (o socialdemocratico), concepito in questo modo, “raggiunge un’espressione adeguata quando, e solo quando, diventa una mera figura retorica”, smentendo qualsiasi relazione razionale con l’ecologia.⁵⁵
Ciò che è chiaro in tutto questo è che un approccio socialista all’emergenza ecologica planetaria o è rivoluzionario nella sua portata, o è una contraddizione in termini: nella migliore delle ipotesi, una strategia per far funzionare meglio l’attuale società accumulativa, negando la totalità dialettica della crisi del Sistema Terra.
Vale la pena sottolineare che virtualmente non esistono pensatori ecologisti di sinistra che si oppongano del tutto a un processo di modernizzazione ecologica, quando concepito come parte di una strategia completa per promuovere la sostenibilità ecologica, inclusi cambiamenti sia nelle relazioni sociali che nelle forze produttive.
L’opposizione ecosocialista è piuttosto diretta contro la modernizzazione ecologica capitalista in quanto teoria e pratica che include visioni regressive come: (1) il rifiuto di riconoscere che il problema ecologico fondamentale è legato al capitalismo e richiede cambiamenti rivoluzionari nelle relazioni sociali; (2) l’irrazionale postulato eccezionalista-umano secondo cui la tecnologia – in accordo con il cosiddetto “libero mercato” e lo “stato ambientale” – costituisce la soluzione totale alle contraddizioni ambientali, a prescindere dalle relazioni sociali prevalenti; (3) la convinzione che la dipendenza esclusiva dalla tecnologia meccanica renda possibile un approccio puramente riformista alle crisi ecologiche; e (4) la negazione delle critiche frontiere planetarie e dei critici limiti ecologici, il cui superamento crea fratture nei cicli biogeochimici del pianeta, mettendo in pericolo l’umanità e innumerevoli altre specie.
Cina e modernizzazione ecologica socialista
Il concetto di modernità nell’ideologia borghese occidentale ha sempre rappresentato i vasti sviluppi economici, politici e culturali del capitalismo e dell’Occidente, spesso equiparati tra loro. Per Max Weber, le radici della modernità risiedevano nella razionalità formale che stabilì “la civiltà occidentale e... solo la civiltà occidentale” come cultura “universale”, rappresentata dalla sua scienza, tecnologia, religione, metodo storico, musica, arte, architettura, diritto, politica e, soprattutto, capitalismo.⁵⁶
In The Unbound Prometheus: Technological Change and Industrial Development in Western Europe from 1750 to the Present (1969) di David Landes, il capitalismo occidentale e la Rivoluzione Industriale furono semplicemente visti come prodotti di un più ampio processo di modernizzazione in cui l’Occidente aveva eccelso.⁵⁷
La modernizzazione, nella concezione eurocentrica, alla fine non ha altro significato se non il dominio della natura e della periferia globale attraverso istituzioni, in particolare di natura tecnologica ed economica, presumibilmente originarie (e culminanti) in Occidente.⁵⁸
Come scrisse il pensatore latinoamericano Enrique Dussel, “La ‘Modernità’ [o almeno la concezione europea della modernità] appare quando l’Europa afferma se stessa come ‘centro’ di una Storia Mondiale che essa inaugura; ‘la periferia’ che circonda questo centro è di conseguenza parte della sua autodefinizione”.⁵⁹
La modernizzazione ecologica è vista, nel centro imperialista occidentale del sistema mondiale, semplicemente come un’ulteriore aggiunta a questa concezione, una soluzione tecnocapitalista, modernista e riformista ai problemi ambientali, vista come un riflesso di un altro stadio della ricca maturità del centro imperialista occidentale. Essa nega ciò che Marx vide come la frattura metabolica insita nel processo di accumulazione capitalista.⁶⁰
Ma se nell’ideologia occidentale si sostiene che esista una sola modernità, basata sulla cultura europea e sul capitalismo, si può affermare che le origini storiche effettive della modernità, come rottura con le visioni più tradizionali della relazione umana con il mondo, risalgano molto più indietro, originando dal riconoscimento che l’umanità era homo faber.
L’idea che gli esseri umani fossero capaci di cambiare il mondo e quindi artefici della propria storia, indipendentemente dal “branco di dèi”, non fu mai – come dichiararono i critici marxisti dell’eurocentrismo come Joseph Needham e Samir Amin – un’innovazione unica dell’Illuminismo occidentale. Piuttosto, fu un prodotto dello sviluppo culturale mondiale emerso durante la lunga Età Assiale, in cui un simile focalizzarsi sull’auto-sviluppo umano poteva essere visto emergere in molte civiltà diverse.⁶¹
Ciò era evidente nella filosofia materialista di Epicuro nel mondo ellenistico, e nell’emergere del Daoismo (e del Confucianesimo) nel periodo degli Stati Combattenti in Cina. La modernità, vista in questo senso storico più profondo, diventa un prodotto di tendenze civilizzatrici universali operanti globalmente con l’emergere dell’autocoscienza umana in senso hegeliano. Le concezioni socialiste della modernità, in opposizione a quelle capitaliste, sono un prodotto di questa concezione più mondiale, che si estende indietro per millenni, dove l’obiettivo, come nell’analisi di Marx, è lo sviluppo umano sostenibile e la piena realizzazione dei bisogni umani elementari.
È qui che la modernizzazione socialista, e in particolare l’ecologismo modernista socialista, deve essere considerata, in particolare in relazione al suo sviluppo in Cina. La Cina è una civiltà di 5000 anni, con un forte patrimonio ecologico tradizionale che deriva dal Daoismo e dal Confucianesimo, ma che ora, sotto il “socialismo con caratteristiche cinesi”, sta introducendo un ecologismo modernista rivoluzionario legato al suo concetto di civiltà ecologica che supera qualsiasi cosa concepita in Occidente.
La modernizzazione ecologica socialista, nonostante la familiarità di alcune delle sue forme di base – ad esempio, il tentativo di sviluppare tecnologia verde e la sua preoccupazione per il benessere economico – è meglio concepita come l’inverso della modernizzazione ecologica capitalista nella sua logica sottostante. Come scrisse Chen Yiwen in “The Dialectics of Ecology and Ecological Civilization”:
...la modernizzazione in armonia con la natura è parte della concezione complessiva della modernizzazione cinese, il che significa che richiede: (1) dare priorità al coordinamento tra la popolazione, le risorse e la capacità di carico dell’ambiente; (2) garantire la proprietà pubblica delle risorse naturali e la condivisione sociale del benessere ecologico nel processo di avanzamento verso la prosperità comune; (3) produrre beni ecologici e coltivare una cultura ecologica nel contesto del perseguimento del coordinamento tra progresso materiale e avanzamento culturale-etico; (4) opporsi a qualsiasi forma di imperialismo ecologico ed estrattivismo; e (5) promuovere la creazione di un mondo pulito e bello aderendo al percorso di sviluppo pacifico.⁶²Niente potrebbe essere più opposto alla concezione della modernizzazione ecologica capitalista in Occidente, che affonda le sue radici nell’espropriazione della natura. In Europa e negli Stati Uniti, la modernizzazione ecologica è generalmente vista come un’estensione del dominio tecnologico sulla natura finalizzato a garantire l’eccezionalismo umano. Essa prefigura un mondo di illimitata accumulazione capitalistica che, in virtù della tecnologia, è libero da vincoli ambientali, con un’economia semplicemente disaccoppiata dai processi biogeochimici e dalle condizioni elementari del Sistema Terra.
Al contrario, come spiega Xi riguardo alla civiltà ecologica cinese, “La natura fornisce le condizioni di base per la sopravvivenza e lo sviluppo umano. Rispettare, adattarsi e proteggere la natura è essenziale per costruire la Cina in tutti gli aspetti come un paese socialista moderno”, un obiettivo sinonimo di civiltà ecologica. Egli scrive: “Per migliorare fondamentalmente i nostri ecosistemi, dobbiamo abbandonare il modello basato su un aumento del consumo di risorse materiali, uno sviluppo estensivo, un alto consumo energetico e Alte emissioni”.⁶³
La modernizzazione ecologica socialista, che evita le illusioni del “capitalismo verde”, fa della costruzione di una civiltà ecologica un obiettivo diretto. Ciò si contrappone all’ecomodernismo capitalista, che mira a mantenere le relazioni sociali dominanti e la logica anti-ecologica del sistema di accumulazione di capitale senza freni, tentando semplicemente di migliorare alcuni dei suoi effetti peggiori – nel bel mezzo di un’emergenza ecologica planetaria! – attraverso regolamentazioni di secondo ordine e nuove tecnologie.
Nel capitalismo monopolistico statunitense, ad esempio, lo sviluppo della tecnologia solare è sempre stato ostacolato dalla minaccia che essa rappresenta per il sistema dominante dei combustibili fossili, e quindi è destinata, nella migliore delle ipotesi, a integrare quest’ultimo. Qui, la modernizzazione ecologica significa la continua subordinazione degli obiettivi ambientali a quelli economici.⁶⁴
Nell’ambito della sua modernizzazione ecologica socialista, la Cina ha superato l’Occidente in quasi ogni categoria di sviluppo di energia rinnovabile. Nel 2023, la Cina rappresentava l’83% della produzione mondiale di pannelli solari, mentre gli Stati Uniti solo il 2%. Il sistema cinese di treni ad alta velocità è più grande, veloce ed efficiente di quello europeo, e la Cina detiene anche il 90% del mercato mondiale degli autobus. Le vendite di veicoli elettrici in Cina ora superano quelle dei motori a combustione interna.
Entro i prossimi tre anni, secondo il Financial Times, la Cina otterrà più della metà della sua energia da fonti a basse emissioni di carbonio ed “è sulla buona strada per diventare il primo ‘electrostate’ al mondo”, con una porzione crescente della sua economia sostenuta dall’elettricità e dall’energia pulita. Di conseguenza, le emissioni di carbonio della Cina hanno iniziato a diminuire, nonostante una forte crescita economica e la sua continua, seppur diminuita, dipendenza dalle centrali a carbone. La Cina è leader nell’aumento delle foreste a livello globale, con la copertura forestale quasi raddoppiata dagli anni ’80.⁶⁵
Tuttavia, sarebbe un errore, sulla base di tali risultati, vedere la modernizzazione ecologica cinese come semplicemente legata a una sorta di produttivismo verde, che è il significato della modernizzazione ecologica capitalista in Occidente. Piuttosto, la modernizzazione ecologica socialista finalizzata alla costruzione di una civiltà ecologica è, nelle parole di Xi, “la modernizzazione dell’armonia tra l’umanità e la natura”.⁶⁶
Cruciale per la sinizzazione del marxismo è l’obiettivo della formazione di una “comunità di vita” in tutte le sue dimensioni, dagli ecosistemi alle relazioni uomo-natura fino al metabolismo umano con il Sistema Terra stesso. “È essenziale differenziare”, ha scritto Chen, la modernizzazione ecologica socialista in Cina “dalla nozione di ‘modernizzazione ecologica’ emersa in Europa a metà-fine anni ’80... prevalente nelle nazioni capitaliste sviluppate, [che] cerca di migliorare gradualmente la qualità ambientale attraverso miglioramenti economici e tecnologici e aggiustamenti della pubblica amministrazione (incluso il crescente utilizzo di strumenti di mercato) spesso senza mettere in discussione i principi fondamentali del capitalismo”.⁶⁷
Invece, l’enfasi della modernizzazione ecologica socialista è su “la ricostruzione socialista delle relazioni sociali insieme a una trasformazione ecologica fondamentale dei metodi di produzione esistenti dell’umanità”. In questo, “l’obiettivo finale è la realizzazione del comunismo, che comporta la liberazione sia dell’umanità che della natura”.⁶⁸
Natura e Umanità liberate
Ci sono giunti solo frammenti dal perduto dramma di Eschilo, Prometeo Liberato, sulla liberazione di Prometeo dalle sue catene.⁶⁹ Percy Bysshe Shelley, nella sua opera omonima scritta all’inizio del diciannovesimo secolo, conclude il suo poema epico con la riunificazione di Prometeo con la natura. Mary Shelley osservò nelle sue note sul poema: “Quando il benefattore dell’uomo è liberato, la Natura riacquista la bellezza della sua era primordiale”. Come scrisse l’ecosocialista Walt Sheasby: “Difficilmente potrebbe esserci un’immagine più dinamica della celebrazione romantica [rivoluzionaria] della natura e della libertà come intrecciate”.⁷⁰
La manipolazione della Guerra Fredda dell’antico mito greco di Prometeo, appropriandosi fuori contesto della citazione di Eschilo fatta da Marx nella prefazione alla sua dissertazione, fu uno strumento usato per denigrare il marxismo, caratterizzandolo come una filosofia di strumentalismo, estremo produttivismo e anti-umanesimo. Ciò che è stato definito “ecosocialismo di prima fase” trasformò il mito della guerra fredda di un Prometeismo strumentalista e meccanicistico, presumibilmente insito nel materialismo storico classico, in un’accusa di anti-ambientalismo, ignorando o minimizzando la stessa critica ecologica di Marx.
L’ecosocialismo di seconda fase ha dimostrato che questa caratterizzazione del marxismo classico come un Prometeismo strumentalista e meccanicistico era falsa sotto ogni aspetto – sia per quanto riguarda l’antico mito prometeico greco, sia per la relazione del materialismo storico classico con l’ambiente. Nel frattempo, la teoria della modernizzazione ecologica capitalista, nella sua polemica contro l’ambientalismo radicale e l’ecomarxismo, abbracciava essa stessa apertamente un Prometeismo strumentalista/meccanicistico come simbolo della propria visione.
La piena ironia era evidente nella riemersione, in ambienti socialdemocratici, di un ecomodernismo di sinistra sotto la falsa bandiera del marxismo prometeico, sostenendo erroneamente che per il marxismo classico l’obiettivo fosse semplicemente la crescita economica, piuttosto che lo sviluppo umano sostenibile.⁷¹
Il mondo invertito e alienato dell’ecomodernismo capitalista, con il suo meccanicistico “Prometeismo”, è una fuga dalla possibilità di un ecomodernismo socialista e di un Prometeismo umanista-ecologico rivoluzionario. L’ecologismo modernista capitalista, con la sua versione distorta e meccanicistica del mito di Prometeo, cerca invano di cambiare le forze produttive mantenendo intatte le esistenti relazioni sociali di accumulazione ed espropriazione della natura.
Al contrario, l’ecomodernismo socialista, o Prometeismo umanista-ecologico, così come sviluppato oggi nell’ecomarxismo cinese, in linea con le tradizioni umanistico-ambientali della Cina, rappresenta una posizione rivoluzionaria. Qui l’obiettivo è cambiare le relazioni sociali, produttive e ambientali in modo tale che la società acquisitiva sia abbandonata e sia la natura che l’umanità siano liberate e in reciproca armonia – come previsto, in modi diversi, da pensatori umanistici come Laozi, Eschilo, Epicuro, Shelley e Marx.
Come afferma Marx nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844, il comunismo è al tempo stesso “l’unità perfetta nell’essenza dell’uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il naturalismo realizzato dell’uomo e l’umanesimo realizzato della natura”.⁷²
Note
1. ↩ Quando il “Prometeismo” è criticato dagli ecosocialisti in Occidente, ciò che invariabilmente si intende è il prometismo meccanicistico, prodotto dell’ideologia modernista e ecomodernista della Guerra Fredda, senza alcun rapporto diretto con il mito antico di Prometeo, che non riguardava l’industrializzazione.
2. ↩ Aesch., PV, 965–975; Karl Marx e Frederick Engels, Opere Complete (New York: International Publishers, 1975), vol. 1, 29–31; John Bellamy Foster, “Marx e l’ambiente,” Monthly Review 47, n. 3 (luglio-agosto 1995), 108–123; Walt Sheasby, “Anti-Prometheus, Post-Marx: il Reale e il Mito nella Teoria Verde,” Organization and Environment 12, n. 1 (marzo 1999): 5–44.
3. ↩ Xi Jinping, citato in “Green Waters and Green Mountains,” China Media Project, 16 aprile 2021, chinamediaproject.org; Xi Jinping, The Governance of China, vol. 3 (Pechino: Foreign Languages Press, 2014), 419–420; Chen Yiwen, “La dialettica dell’ecologia e della civiltà ecologica,” Monthly Review 76, n. 11 (aprile 2025): 35–36; Xi Jinping, Selected Readings From the Works of Xi Jinping, vol. 1 (Pechino: Foreign Languages Press, 2024), 51.
4. ↩ Va notato che alcuni marxisti hanno impiegato la nozione di Prometeismo in relazione a Marx nel senso originale di umanesimo, illuminismo e creatività, piuttosto che come strumentalismo e iperindustrialismo come nell’ideologia della Guerra Fredda. Vedi, per esempio, Hal Draper, “Il principio dell’auto-emancipazione in Marx ed Engels,” The Socialist Register (Londra: Merlin, 1971), 81–109.
5. ↩ Ted Benton, “Marxismo e limiti naturali,” New Left Review 178 (novembre-dicembre 1989), 82; John P. Clark, “Il corpo inorganico di Marx,” Environmental Ethics 11, n. 3 (autunno 1989): 258.
6. ↩ Marx ed Engels, Opere Complete, vol. 5, 141.
7. ↩ Marx leggeva Eschilo ogni anno in greco originale e lo considerava il suo poeta antico preferito. Ciò riguardava non solo Prometeo Incatenato, ma anche il giovane Marx e la sua fascinazione per Epicuro, che paragonava a Prometeo. Karl Marx, “Confessioni,” in Late Marx and the Russian Road, a cura di Teodor Shanin (How Xi Sparked China’s Electricity RevolutionNew York: Monthly Review Press, 1983), 140; Paul Lafargue, “Ricordi di Marx,” in Reminiscences of Marx and Engels, a cura dell’Institute of Marxism-Leninism (Mosca: Foreign Languages Press, senza data), 74.
8. ↩ Peter Gay, The Enlightenment (New York: Alfred A. Knopf, 1966), vol. 1, 102–103.
9. ↩ Marx ed Engels, Opere Complete, vol. 1, 30–31, 374–375. Sebbene gli editori delle Opere Complete affermino correttamente che l’immagine è destinata a rappresentare Prometeo legato alla stampa, alcuni interpreti hanno tendenza a vederla come Marx barbuto in veste di Prometeo, poiché all’epoca era direttore della Rheinische Zeitung.
10. ↩ Marx fu un forte critico dell’introduzione da parte di Proudhon di un prometismo meccanicistico. Vedi John Bellamy Foster, Marx’s Ecology (New York: Monthly Review Press, 2000), 126–133. Sulle pubblicazioni di sinistra finanziate dalla CIA, vedi Frances Stoner Saunders, The Cultural Cold War: The CIA and the Congress for Cultural Freedom in the Early Cold War (New York: Routledge, 2016).
11. ↩ John Bellamy Foster, Breaking the Bonds of Fate: Epicurus and Marx (New York: Monthly Review Press, 2025), 52–63.
12. ↩ Franz Mehring, Karl Marx (Ann Arbor: University of Michigan Press, 1979), 31.
13. ↩ Edmund Wilson, To the Finland Station (Garden City, New York: Doubleday, 1940), 111–119.
14. ↩ Robert C. Tucker, Philosophy and Myth in Karl Marx (Cambridge: Cambridge University Press, 1961), 77–78, 81.
15, ↩ Lewis Feuer, Marx and the Intellectuals (Garden City, New York: Doubleday, 1969), 9–10, 29; Daniel Bell, The Cultural Contradictions of Capitalism (New York: Basic Books, 1976, 1996), 160.
16. ↩ Daniel Bell, The Coming of Post-Industrial Society (New York: Basic Books, 1973), 463–466.
17. ↩ Anthony Giddens, A Contemporary Critique of Historical Materialism, vHow Xi Sparked China’s Electricity Revolutionol. 1 (Berkeley: University of California Press, 1981), 59–60.
18. ↩ Anche molti di coloro che rimasero simpatizzanti del materialismo storico in questo periodo videro Marx come incline a una crudele strumentalizzazione della natura. Vedi Stanley Aronowitz, The Crisis in Historical Materialism (Londra: Palgrave MacMillan, 1990).
19. ↩ John Bellamy Foster, prefazione a Paul Burkett, Marx and Nature (Chicago: Haymarket, 1999), viii–x.
20. ↩ Foster, “Marx e l’ambiente”; Burkett, Marx and Nature.
21.↩ Foster, Marx’s Ecology, 141–177; Paul Burkett, “La visione marxista dello sviluppo umano sostenibile,” Monthly Review 57, n. 5 (ottobre 2005): 34–62.
22.↩ Vedi John Bellamy Foster e Paul Burkett, Marx and the Earth (Boston: Brill, 2016), 3–4, 10–11; “The Metabolic Rift: A Selected Bibliography,” MR Online, 16 ottobre 2013.
23.↩ Aesch., PV, 975; Marx ed Engels, Opere Complete, vol. 1, 30.
24.↩ Rachel Carson, Lost Woods (Boston: Beacon Press, 1998), 210.
25.↩ Vedi John Bellamy Foster, The Return of Nature (New York: Monthly Review Press, 2020), 502–526.
26.↩ Riley E. Dunlap, “A Brief History of the Environment and Technology Section,” Environment, Technology, and Society, ASA Section Newsletter, n. 100 (inverno 2001): 1, 4–5, envirosoc.org/Newsletters/Winter2001.pdf.
27.↩ William R. Catton, Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Change (Urbana: University of Illinois Press, 1982); William R. Catton e Riley E. Dunlap, “Environmental Sociology: A New Paradigm,” American Sociologist 13, n. 1 (1978), 41–49; Riley E. Dunlap e William R. Catton, “Struggling with Human Exemptionalism: The Rise, Decline, and Revitalization of Environmental Sociology,” American Sociologist 25 (1994): 5–30.
28.↩ Julian Simon, The Ultimate Resource (Princeton: Princeton University Press, 1981), 346.
29. ↩ Robert Solow, “The Economics of Resources or the Resources of Economics,” American Economic Review 64, n. 2 (1974): 11. Solow considerò anche il caso opposto, dove la sostituibilità era limitata. Tuttavia, il nucleo del suo argomento enfatizzava livelli molto alti di sostituibilità. Si riferiva così alla nozione di “[William] Nordhaus sull’inevitabilità di una ‘backstop technology’”, in cui “a un certo costo minimo, la produzione può essere liberata completamente dalle risorse esauribili”—una visione che Solow non How Xi Sparked China’s Electricity Revolutionconsiderava assurda, ma piuttosto più vicina alla verità rispetto all’opposto.
30. ↩ Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William BehrHow Xi Sparked China’s Electricity Revolutionens III, The Limits to Growth (New York: Universe Books, 1972); Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows e Jørgen Randers, Beyond the Limits (White River Junction, Vermont: Chelsea Green Publishing, 1995).
31. ↩ Sulla prominenza dell’ecologia radicale e dell’ecologia neo-marxista, vedi Parte I del “Special Issue on the Environment and the Treadmill of Production in Environmental Sociology,” Organization and Environment 17, n. 3 (settembre 2004), e Parte II, Organization and Environment 18, n. 1 (marzo 2005).
32. ↩ Tra coloro associati al secondo stadio dell’ecosocialismo figurano l’autore presente, Richard York, Brett Clark e, successivamente, Hannah Holleman.
33. ↩ Arthur P. J. Mol e Gert Spaargaren, “From Additions and Withdrawals to Environmental Flows: Reframing Debates in the Environmental Social Sciences,” Organization and Environment 18, n. 1 (marzo 2005): 91–107.
34. ↩ Gert Spaargaren e Arthur P. J. Mol, “Sociology, Environment, and Modernity,” Society and Natural Resources 5 (1992): 325–326; Gert Spaargaren, The Ecological Modernization of Production and Consumption, tesi di dottorato, University of Wageningen, Paesi Bassi, 1997, 65–66, edepot.wur.nl/138382; Arthur P. J. Mol e Gert Spaargaren, “Ecological Modernisation Theory in Debate: A Review,” Environmental Politics 9 (2000): 22–23.
35. ↩ Gallup, “Environment,” news.gallup.com/poll/1615/environment.aspx.
36. ↩ Spaargaren, The Ecological Modernization of Production and Consumption, 9–11.
37. ↩ Edward Shils, Political Development in the New States (Londra: Mouton & Co., 1965), 7–10.
38. ↩ Arthur P. J. Mol, “Ecological Modernisation and Institutional Reflexivity: Environmental Reform in the Late Modern Age,” Environmental Politics 5 (1996): 302–323; Spaargaren, The Ecological Modernization of Production and Consumption, 20–22; vedi anche John Bellamy Foster, “The Planetary Rift and the New Human Exemptionalism: A Political-Economic Critique of Ecological Modernization Theory,” Organization and Environment 25, n. 3 (2012): 219–220.
39. ↩ Arthur P. J. Mol, The Refinement of Production: Ecological Modernisation Theory and the Chemical Industry (Utrecht, Paesi Bassi: International Books, 1995), 41–42; Arthur P. J. Mol e Martin Jänicke, “The Origins and Theoretical Foundations of Ecological Modernisation Theory,” in The Ecological Modernization Reader, a cura di Arthur P. JHow Xi Sparked China’s Electricity Revolution. Mol, David Sonnenfeld e Gert Spaargaren (Londra: Routledge, 2009), 24.
40. ↩ Maarten Hajer, “Ecological Modernisation as Cultural Politics,” in Risk, Environment, and Modernity: Towards a New Ecology, a cura di Scott Lash, Bronislaw Szerszynski e Brian Wynne (Londra: Sage, 1996), 252.
41. ↩ Michael Shellenberger e Ted Nordhaus, “The Death of Environmentalism” (2004); Ted Nordhaus e Michael Shellenberger, Break Through: From the Death of Environmentalism to the Politics of Possibility (Boston: Houghton Mifflin Harcourt, 2007).
42. ↩ John Asafu-Adjaye et al., An Ecomodernist Manifesto, aprile 2015, ecomodernism.org.
43. ↩ Martin Lewis, Green Delusions: An Environmentalist Critique of Radical Environmentalism (Durham, North Carolina: Duke University Press, 1992), 7, 15.
44. ↩ Patrick Brown, “Defending Economic Productivity and Capitalism for Climate Adaptation and Mitigation,” Breakthrough Institute, 16 settembre 2024, thebreakthrough.org; Patrick Brown, “Forget Adapting to Climate Change: We Must First Adapt to the Climate We Have,” Breakthrough Institute, 17 luglio 2024.
45. ↩ Ted Nordhaus e Alex Smith, “The Problem with Alice Waters and the ‘Slow Food’ Movement,” Jacobin, 3 dicembre 2021.
46. ↩ Vedi, ad esempio, William B. Meyer, The Progressive Environmental Prometheans: Left-Wing Heralds of a ‘Good Anthropocene’ (Londra: Palgrave Macmillan, 2016).
47. ↩ Matt Huber e Leigh Phillips, “Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism,” Jacobin, 9 marzo 2024; Leigh Phillips, Austerity Ecology and the Collapse-Porn Addicts: A Defense of Growth, Progress, Industry and Stuff (Winchester, UK: Zero Books, 2015), 217–234. I profili degli autori si trovano sul sito del Breakthrough Institute; vedi Huber: thebreakthrough.org/people/matt-huber; Phillips: thebreakthrough.org/people/leigh-phillips. Phillips contribuisce regolarmente con articoli al Breakthrough Institute e alla pubblicazione Compact Magazine, oltre che a Jacobin.
48. ↩ Phillips, Austerity Ecology and the Collapse-Porn Addicts, 59, 255, 259.
49. ↩ Phillips, Austerity Ecology and the Collapse-Porn Addicts, 63, 89, 263.
5’. ↩ Vedi i profili di Huber e Phillips sul sito del Breakthrough Institute.
51. ↩ Huber e Phillips, “Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism”; Leigh Phillips, “Hurrah for 8 Billion Humans,” Compact Magazine, 2 dicembre 2022; Leigh Phillips e Michal Rozworski, The People’s Republic of Walmart: How the World’s Biggest Corporations are Laying the Foundation for Socialism (Londra: Verso, 2019).
52. ↩ Matthew T. Huber, Climate Change as Class War (Londra: Verso, 2022), 159, 201–204.
53. ↩ Huber e Phillips, “Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism”; Phillips, “Hurrah for 8 Billion Humans.”
54. ↩ Cristen Hemingway Jaynes, “‘Ticking Time Bomb’ of Ocean Acidification Has Already Crossed Planetary Boundary, Threatening Marine Ecosystems Study,” EcoWatch, 9 giugno 2025.
55. ↩ Karl Marx e Frederick Engels, Il Manifesto del Partito Comunista (New York: Monthly Review Press, 1964), 54.
56. ↩ Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (Londra: Unwin Hyman, 1930), 13–17.
57. ↩ David S. Landes, The Unbound Prometheus: Technological Change and Industrial Development in Western Europe from 1750 to the Present (Cambridge: Cambridge University Press, 1969).
58. ↩ Sulla nozione di dominio della natura e le sue complessità, vedi William Leiss, The Domination of Nature (Boston: Beacon Press, 1972).
59. ↩ Enrique Dussel, “Eurocentrism and Modernity (Introduction to the Frankfurt Lectures),” boundary 2 20, n. 3 (autunno 1993): 65.
60. ↩ Sulla teoria marxista del divario metabolico (metabolic rift), vedi John Bellamy Foster, Capitalism in the Anthropocene (New York: Monthly Review Press, 2022), 41–61; John Bellamy Foster e Brett Clark, The Robbery of Nature: Capitalism and the Ecological Rift (New York: Monthly Review Press, 2020), 12–34.
61. ↩ Vedi Joseph Needham, Within the Four Seas: The Dialogue of East and West (Toronto: University of Toronto Press, 1969), 69, 91–93, 106; Samir Amin, Eurocentrism (New York: Monthly Review Press, 2009), 13, 109, 115, 121, 143–146, 212–213; Foster, Breaking the Bonds of Fate, 25–26.
62. ↩ Chen, “The Dialectics of Ecology and Ecological Civilization,” 36.
63. ↩ Xi Jinping, Selected Readings, vol. 1, 51, 638.
64. ↩ Daniel M. Berman e John T. O’Connor, Who Owns the Sun?: People, Politics, and the Struggle for a Solar Economy (White River Junction, Vermont: Chelsea Green Publishing, 1996).
65. ↩ Debby Cao, “Why Is China, and Not the US, the Leader in Solar Power?,” SolarCtrl, 24 aprile 2024; Danny Kennedy, “U.S. Petrostate Versus China’s Electrostate,” Climate and Capital Media, 23 gennaio 2025; Nassos Stylianou et al., “How Xi Sparked China’s Electricity Revolution,” Financial Times, 12 maggio 2025; Laurie Myllyvirta, “Clean Energy Just Put China’s CO2 Emissions into Reverse for the First Time,” Carbon Brief, 15 maggio 2025; Yaotong Cai et al., “Unveiling Spatiotemporal Tree Cover Patterns in China: The First 30m Annual Tree Cover Mapping from 1985 to 2023,” ISPRS Journal of Photogrammetry and Remote Sensing 216 (ottobre 2024): 240–258.
66. ↩ Xi, Selected Readings, vol. 1, 23.
67. ↩ Chen Yiwen, “Marxist Ecology in China: From Marx’s Ecology to Socialist Eco-Civilization Theory,” Monthly Review 76, n. 5 (ottobre 2024): 41–42.
68. ↩ Chen, “Marxist Ecology in China,” 40.
69. ↩ Carey Jobe, “Aeschylus’ Prometheus Unbound: Rebuilding a Lost Masterpiece,” Antigone, 10 febbraio 2024, antigonejournal.com.
70. ↩ Mary Shelley, “Notes on ‘Prometheus Unbound,’” in Percy Bysshe Shelley, The Complete Poetical Works (Oxford: Oxford University Press, 1914), 268; Sheasby, “Anti-Prometheus, Post-Marx,” 18.
71. ↩ Huber e Phillips, “Kohei Saito’s ‘Start from Scratch’ Degrowth Communism.”
72. ↩ Karl Marx, Early Writings (Londra: Penguin, 1974), 349–350.
Fonte

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