Un piccolo giro sui siti di analisti militari occidentali chiarisce che c’è qualche problema, per gli Stati Uniti, nell’attaccare il Venezuela. Quanto meno sul “come”.
Il dispiegamento di una flotta militare importante, che comprende anche la portaerei Gerald Ford, ha fatto pensare a molti che l’invasione fosse vicina, anche se oltre ad attacchi contro piccole imbarcazioni – dichiarate di “narcotrafficanti”, ma senza produrre alcuna prova in proposito – finora non si è visto altro. Dichiarazioni bellicose, certo, tante mezze frasi di Trump (“ho deciso, ma non posso dire cosa”) e altrettante mezze marce indietro (“potrei parlare con Maduro”), come se però ci fosse qualche problema non detto.
Alla fine è stata la CNN a rompere gli indugi facendo parlare le solite “fonti riservate”: “gli USA non hanno le risorse militari per lanciare un’operazione seria contro il Venezuela”. Naturalmente si tratta di dare un contenuto chiaro alla formula “operazione seria”.
L’ipotesi che viene scartata con più sicurezza è quella dell’invasione classica, in stile Panama, Grenada, Afghanistan, ecc. In fondo, fanno notare gli esperti, il Venezuela è un paese parecchio diverso e, negli ultimi anni, assai meno “scalabile” di quanto appariva in passato. E se il Pentagono, dopo 20 anni, ha dovuto mollare la presa e scappare persino dall’arretratissimo Afghanistan, vuol dire che il limite operativo è vicino.
I cambiamenti principali sono indicati con precisione.
L’opposizione interna è molto frammentata. I media di casa nostra parlano molto, e a sproposito, della neo-premio Nobel “per la pace” (!) nonché amica personale del Segretario di Stato Marco Rubio, Corina Machado, che un giorno sì e l’altro pure chiede un intervento militare contro il proprio paese promettendo contratti favolosi per chi lo farà. Ma il suo seguito “popolare” è inconsistente, tanto è vero che persino il quotidiano dei vescovi italiani – l’Avvenire – la dà per nascosta all’interno dell’ambasciata Usa di Caracas. Non proprio un esempio di “capo-popolo” in grado di garantire la sovranità del Paese...
Accanto e fuori da questa componente golpista esiste però un’altra opposizione – anche questa di destra – ma che partecipa alle elezioni. E perde piuttosto nettamente (il sistema elettorale venezuelano è tecnicamente il meno manipolabile del mondo).
In sostanza, nonostante un forte astensionismo, praticamente uguale a quello che si registra in Italia, la popolazione si riconosce nel sistema socialista bolivariano, che negli ultimi due decenni ha rovesciato la tradizionale politica di rapina nord-americana, arrivando anche a garantire una produzione alimentare interna autosufficiente, istruzione di massa, sanità pubblica gratuita, ecc.
I risultati sociali vengono confermati, per esempio, dal trader petrolifero croato Alex Krainer, che ha lavorato a lungo a Caracas ai tempi in cui i suoi dipendenti erano quasi tutti analfabeti e la popolazione faceva la fame sotto un regime dittatoriale filo-Usa (Hugo Chavez divenne famoso per essere stato il primo ufficiale a rifiutarsi di aprile il fuoco su una manifestazione di protesta; di lì la popolarità che poi gli fece vincere le elezioni presidenziali).
L’economia – che i nostri media continuano a descrivere come “a pezzi” – dimostra una dinamica di crescita che l’Europa si sogna: è cresciuta infatti dell’8,7% su base annua nel terzo trimestre del 2025, accelerando rispetto a una crescita del 6,7% nel trimestre precedente, secondo i dati della banca centrale. Il PIL pro capite era di circa $3.100 nel 2018 e ha raggiunto $3.666 nel 2022; quasi il 20% in più in quattro anni.
I problemi ovviamente non mancano, specie perché la principale risorsa – il petrolio, di cui il paese ha la maggiori riserve accertate sul pianeta – è commercialmente limitata dalle sanzioni occidentali. Ma nonostante questo il miglioramento è evidente e “avvertito” dalla popolazione.
Sul piano strettamente militare, l’esercito venezuelano è tutt’altro che disponibile al tradimento. I vari tentativi fatti finora – compreso quello di “comprare” il pilota dell’aereo presidenziale per poter comodamente rapire Maduro – sono falliti in modo clamoroso.
Anche diversi tentativi di infiltrazione di truppe mercenarie – l’ultima nel 2020, durante la prima presidenza Trump – per arrivare ad un golpe sanguinoso sono finiti con sconfitte quasi ridicole e tutti i mercenari catturati. L’ipotesi di un “golpe interno” è, diciamo così, alquanto labile.
Il terzo motivo addotto dalla CNN riguarda il regime trumpiano, in realtà. Un’invasione del Venezuela senza garanzie di “golpe” interno e rivolta popolare diventerebbe presto un nuovo Vietnam (il paese è ricoperto di foreste), con tutti i problemi di costi e perdite che si possono facilmente immaginare.
Oltretutto è risaputo – e rivendicato dai diretti interessati – che Russia, Cina e Iran hanno venduto sistemi d’arma avanzati al Venezuela, droni compresi, e quindi anche la superiorità tecnologica indubitabile della flotta statunitense non sarebbe tale da evitare risposte “dolorose” e finanziariamente costose.
Una prospettiva che l’elettorato “Maga” non può tollerare per un presidente che si era presentato come garante della fine di “inutili guerre costose” addebitate (non senza ragione) ai soli “dem”.
Questo non vuol dire, ovviamente, che le navi e i 15.000 uomini a bordo siano stati inviati solo per “fare pressione” e convincere Maduro e il PSUV a lasciare il potere. Se un’invasione è “militarmente sconsigliabile” ci sono però molte altre possibilità di uso della forza militare.
La vigilanza antimperialista deve quindi essere altissima e sempre pronta a manifestarsi nelle piazze. Non è una fase che si avvia verso la “pace”, checché si dica nei Tg. Un imperialismo in piena crisi di egemonia, tanto da veder cresce al proprio interno le istanze “socialiste” persino nelle metropoli più avanzate, come New York e Seattle, è una bestia malata capace di tutto. Meno che di operare scelte ragionevoli...
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