Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni

21/11/2025

Guerra i Ucraina - Il “piano di pace” nasce zoppo

Un Trump in chiara difficoltà interna – ha dovuto rovesciare la sua posizione sulla libertà degli “Epstein files”, dicendosi ora d’accordo perché tanto “non ho nulla da temere” – prova a rilanciare la politica di “pace” internazionale, stavolta sull’Ucraina.

Secondo molti analisti non c’è alcuna contraddizione tra il Trump “pacifista” su Gaza e Kiev e quello “militarista” dell’attacco minacciato al Venezuela. Si tratta semplicemente di una “revisione strategica delle priorità”, che mette in secondo piano Europa e Medio Oriente mentre privilegia il fronte del Pacifico e l’America Latina (dove tra l’altro proprio la Cina ha sviluppato rapporti commerciali e industriali molto rilevanti).

Come per Gaza, si potrebbe dire, il “piano per l’Ucraina” fatto filtrare (o sfuggito per iniziativa di chi vuole farlo fallire?) sembra il riconoscimento delle posizioni sul campo. Quasi un “arrendetevi, siete circondati!” proveniente però da Washington, che gioca così la parte dell’amico comprensivo che non ti vuole vedere morto ma sa bene che altrimenti morirai.

I 28 punti resocontati dal sito di informazione Axios e confermati poi da diverse testate mainstream – che parlano anche di una mediazione del Qatar e della Turchia – parte in effetti dal “consiglio” di rinunciare completamente al Donbass (gli oblast di Donetsk, non ancora del tutto riconquistato da Mosca, e Lugansk), congelando di fatto la linea del fronte in quelli di Kherson e Zaporizhzhia.

Questioni territoriali a parte – ritenute dal Cremlino quasi secondarie – i punti principali riguardano le limitazioni alle dimensioni e alle armi a lungo raggio dell’esercito ucraino in cambio di “garanzie di sicurezza” statunitensi. Quali possano essere non viene detto. Come per tutti i “piani” di Trump la vaghezza regna sovrana, in modo da poter cambiare molto strada facendo.

Seguono la richiesta di re-introdurre il russo come lingua ammessa legalmente in Ucraina (ci sono ancora molti “russofoni” negli oblast non ripresi, ad Odessa e altrove), nonché di ripristinare i diritti della Chiesa ortodossa di rito russo, pesantemente repressa anche prima dell’inizio della guerra. 

Appare evidente che una bozza del genere sia “troppo” per il governo di Kiev e “troppo poco” per quello russo, che da 30 anni chiede invece “garanzie” sul fatto che la Nato resti fuori dall’Ucraina, interrompendo la quarantennale “espansione ad Est” dell’alleanza atlantica.

Contenuti vaghi a parte, si sa che Kiev aveva spedito ad Ankara il consigliere per la sicurezza nazionale ed ex ministro della difesa Rustem Umerov – peraltro musulmano, nato a Samarcanda, discendente dei Tatari di Crimea – per un incontro con Steve Witkoff, l’immobiliarista inviato di Trump anche a Gaza.

Ufficialmente per discutere – o più probabilmente conoscere – il progetto Usa, sollevare obiezioni, ecc. Non si sa cosa sia successo, però. Prima di incontrarlo, Witkoff si era intanto visto con l’inviato di Putin, Kirill Dmitriev.

Secondo le fonti consultate da Axios, Witkoff aveva pianificato di visitare Ankara mercoledì e tenere un incontro con Zelenskij e il ministro degli esteri locale, Hakan Fidan. Poi, invece, Zelenskij ha preferito fare un nuovo tour europeo per chiedere come sempre soldi e armi – mentre tutti gli esperti militari riconoscono che il primo problema di Kiev è ormai “la carenza di manodopera” o carne da cannone.

Fatto sta che l’incontro è stato annullato in attesa che Zelenskij tornasse ad Ankara con un altro piano elaborato con i partner europei. Il solito pacchetto che chiede la “resa della Russia” e che, dicono le stesse fonti statunitensi, “Mosca non accetterà mai”.

Il giro dell’oca diplomatico sembra perciò tornato al punto di partenza, con gli europei e la giunta di Kiev intenzionati a “proseguire la guerra fino all’ultimo ucraino”, nonostante la situazione interna si vada facendo ogni giorno più difficile per l’ormai prossimo crollo del fronte a Pokrovsk-Mirnograd e su altre direttrici, lo scandalo della corruzione sull’energia, i ministri che improvvisamente spariscono e vengono sostituiti senza spiegazioni (sono alcuni dei terminali della corruzione, ma anche molto vicini da sempre all’attore poi “capo di stato”), la diffusione della resistenza alla coscrizione fatta sequestrando persone per strada, e una generale stanchezza dopo quattro anni di guerra senza speranze.

E proprio qui la “il mistero” della posizione “intransigente” degli europei e del loro terminale ucraino. Qual è l’obiettivo razionale – potenzialmente raggiungibile – di una guerra ad oltranza?

Una volta escluso il “crollo della Russia” – come si pensava all’inizio, quando venivano radunate a Bruxelles pattuglie di “indipendentisti” che si proponevano di frammentare la Federazione come e peggio dell’URSS – non c’è più nulla che l’“Occidente collettivo” possa seriamente pensare di guadagnare. Certo, continuare a combattere logora anche Mosca, che deve concentrare risorse ingenti – finanziarie ed umane – che potrebbero essere utilmente investite per altri scopi.

Ma l’obbiettivo del “logoramento dei russi” ha un senso solo per chi, dopo averlo almeno parzialmente raggiunto, pensa di poter poi attaccare in condizioni di vantaggio almeno relativo.

Francia-Germania-Gran Bretagna ci sperano ancora. Ma difficilmente può sembrare una buona prospettiva per gli ucraini. In fondo, anche quella nuova guerra verrebbe combattuta in gran parte sulla loro testa e sulle loro case.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento