I soldi ci sarebbero, e tanti. Il problema è andare a prenderli dove stanno e redistribuirli sulla base delle esigenze della collettività. Un obiettivo di buon senso che però incontra ostacoli feroci quando si pronuncia la parola/tabù “patrimoniale” ossia una tassazione sui grandi patrimoni.
Secondo la Banca d’Italia, la ricchezza privata in Italia nel 2022 (ultima rilevazione disponibile) era pari a 10.421 miliardi di euro, in flessione dell’1,7% rispetto all’anno precedente in termini nominali. Ma tenendo conto dell’inflazione, la perdita reale si aggrava, raggiungendo il 12,5%. Il rapporto tra ricchezza netta e reddito lordo disponibile è sceso da 8,7 a 8,1, tornando così ai livelli registrati nel lontano 2005, prima della grande crisi del 2008/2011.
In termini di composizione, il patrimonio privato è concentrato sulla proprietà immobiliare, che costituisce circa il 54% del totale. Il resto è costituito da attività finanziarie, mentre solo una piccola quota è costituita da beni durevoli non immobiliari.
La torta, costituita dalla ricchezza privata, è cambiata nel periodo preso in esame dalla Banca d’Italia, con il patrimonio abitativo che è diminuito dal 55,0% al 54,7%, mentre quello finanziario è cresciuto dal 32,8% al 44,3%. Le altre attività non finanziarie sono diminuite dal 14,2% al 10,6%.
Questa è la composizione dominante della ricchezza privata.
Le proprietà immobiliari rappresentano di gran lunga la quota più importante della ricchezza reale privata. L’Italia ha uno dei tassi di proprietà dell’abitazione più alti d’Europa (circa il 72%). Ma poi ci sono le altre proprietà immobiliari come le case per le vacanze, le case-vacanza con affitti brevi, gli appartamenti dati in affitto, i terreni, ecc. Un patrimonio che contribuisce a rendere il portafoglio immobiliare delle famiglie italiane molto consistente.
I cosiddetti beni durevoli come automobili, gioielli, opere d’arte, ecc. hanno un peso relativamente minore nella composizione totale della ricchezza privata.
Poi ci sono le attività finanziarie che costituiscono circa il 40% della ricchezza privata ma che, secondo il CorrierEconomia del 24 novembre, è cresciuta fino a quasi 6mila miliardi.
In queste attività finanziarie ci sono i conti correnti, libretti di risparmio, depositi a termine, nonostante i rendimenti molto bassi o nulli che rappresentano 1/3 della ricchezza finanziaria.
Poi ci sono i Titoli di Stato (BOT, BTP, CCT.) considerati un investimento relativamente sicuro, la cui proprietà è sia diretta che attraverso fondi comuni.
Un peso più ridotto ce l’hanno i capitali di rischio come azioni e quote di fondi, partecipazioni azionarie dirette (molto basse rispetto alla media internazionale), le quote di fondi di investimento. Ancora non paragonabili ai livelli di altri paesi europei, ci sono le assicurazioni e i fondi pensione, in crescita, ma ancora bassi.
La maggior parte del denaro detenuto dalle famiglie nelle banche, pari a circa 1.138 miliardi di euro, si concentra nei conti con saldi che vanno dai 50.000 ai 250.000 euro. Questa fascia però, pur rappresentando solo il 6,9% del numero totale dei conti, raccoglie ben il 43,5% della liquidità complessiva.
I conti con meno di 12.500 euro sono la maggioranza assoluta, con il 77,05%. Ma nonostante questa predominanza numerica, raccolgono solo l’11,4% della liquidità totale, pari a circa 129,87 miliardi di euro. Sono i conti con importi compresi tra i 250.000 e i 500.000 euro a raggiungere una media molto elevata, pari a 325.928 euro, mentre quelli che superano il mezzo milione di euro presentano una media di 906.992 euro.
Il valore reale dei conti correnti delle famiglie è calato rispetto al 2018, se analizzato in termini di potere d’acquisto, ma questo ha indubbiamente un impatto significativamente diverso se si hanno “al pizzo” meno di 12.500 euro o 906mila.
La concentrazione di questa ricchezza privata è altissima ed è cresciuta notevolmente negli ultimi quindici anni, facendo aumentare contestualmente anche le disuguaglianze sociali.
Tassare seriamente i patrimoni immobiliari e finanziari più elevati, non solo porterebbe soldi alle casse pubbliche per finanziare il welfare e migliori contratti per sanitari, vigili del fuoco, insegnanti, etc, ma sarebbe anche un fattore di “redistribuzione della ricchezza” – come vediamo abbondante ma molto concentrata nel nostro paese – che invece i vari governi (non solo quello della Meloni) mistificano e manipolano sempre con la “distribuzione del reddito” attraverso la leva fiscale.
Il problema è che anche questa mistificazione dal tono rassicurante alla fine si piega alla logica di una riorganizzazione fiscale che continua a privilegiare i più ricchi e i loro patrimoni.
Questi ultimi poi difendono sempre ferocemente i propri privilegi, come del resto ha spiegato molto bene Karl Marx. Ma nel nostro paese dispongono della singolare capacità di cooptare in questa difesa anche quelli che di tali privilegi non godono affatto (i proprietari della sola casa di abitazione o i correntisti bancari con pochi spicci), facendoli spesso sentire dalla stessa parte della loro barricata anche quando nessuno li minaccia.
Si fanno forti di questa capacità di manipolazione anche attraverso le forze politiche di destra che la alimentano o di quelle di “sinistra” che la denunciano con una eccessiva timidezza, alla fine dei conti del tutto inefficace.
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