Si è aperto il G20 di Johannesburg, momento culmine di un anno diplomatico sudafricano molto attivo. Eppure, ancora una volta risulta chiaro che questo tipo di forum abbia ormai perso ogni valore concreto, in un mondo nuovamente caratterizzato dal confronto tra aree che esprimono interessi contrastanti. Donald Trump, in particolare, sta ponendo la pietra tombale sul “sistema delle regole” tra Stati formalmente trattati alla pari.
Il tycoon ha infatti deciso di disertare i lavori. Se anche Xi Jinping e Vladimir Putin non presenzieranno agli eventi di Johannesburg, tuttavia Cina e Russia hanno inviato delle delegazioni di alto livello. Al contrario, i delegati stelle-e-strisce presenti non saranno neanche coinvolti nelle attività del G20.
Trump e il presidente Cyril Ramaphosa sono protagonisti di uno confronto diplomatico che ormai dura da tempo. The Donald accusa il paese africano di “perseguitare le comunità bianche”, ribaltando la realtà che ha caratterizzato il paese fino a pochi decenni fa. Dietro a questo tema c’è però anche lo scontro riguardante le accuse sudafricane a Israele promosse alla Corte Internazionale di Giustizia.
In una lettera inviata a inizio settimana, Washington trae le conseguenze della propria assenza: potrebbe astenersi dall’adozione di una nota congiunta al termine del summit. Ciò metterebbe in discussione la legittimità (per quanto il G20 sia un assemblea informale) di tale dichiarazione, che per il Sud Africa rappresenta l’atto finale di oltre 120 incontri di natura economica promossi dal paese nel suo anno di presidenza del G20.
Per questo, il presidente Ramaphosa ha esortato gli altri rappresentanti a non cedere: “senza gli Stati Uniti l’intero processo del G20 procede. Non ci lasceremo intimidire”. A sostenere questa presa di posizione c’è anche la Germania, e ciò è un ulteriore segnale di come la UE abbia disperatamente bisogno di consessi come questo per affermare un profilo internazionale altrimenti inesistente.
Perché, in effetti, gli USA stanno trattando una pace ucraina senza ucraini e senza europei, ed è stato Trump a siglare l’intesa con Pechino che ha momentaneamente stabilizzato il mercato delle terre rare. Bruxelles, come sempre, è rimasta al palo muovendosi nel consolidato solco dell’alleanza con Washington – che nel frattempo la scaricava – senza capacità diplomatiche e senza uno straccio di strategia.
Ieri von der Leyen e Costa, dopo aver sentito telefonicamente Zelensky, si sono incontrati con Giorgia Meloni, proprio per parlare di Ucraina, sperando nella prima ministra italiana per fare da intermediaria con Trump, e anche per elaborare una contromossa, vagliandola ufficiosamente con gli altri partecipanti, affinché la UE non venga definitivamente marginalizzata.
Costa ha invitato i leader europei a confrontarsi immediatamente sul tema, e anche a partecipare a un incontro sull’Ucraina a margine del vertice UE-Unione Africana in Luanda, che si terrà il 24 e 25 novembre. Stamattina i vertici di Bruxelles si sono incontrati con Macron. Ma ci troviamo al solito di fronte a una UE che è più un vincolo alle alternative, piuttosto che un soggetto capace di una visione strategica.
Ad ogni modo, i dossier sul tavolo non troveranno un’intesa facile. Le sessioni principali avranno tre focus: la crescita economica sostenibile, i disastri naturali e la transizione energetica, fino al capitolo dedicato proprio al tema dei minerali critici, nonché all’intelligenza artificiale.
Si tratta di questioni in cui, mentre si frammenta il mercato mondiale e tutte le camere di compensazione perdono di peso (compreso il G20), è difficile pensare che si vada oltre parole e promesse. Va inoltre sottolineato il fatto che l’unico paese che ha fatto una proposta dirompente in ambito di IA è stata la Cina, con un’ipotesi di governance internazionale delineata alla World AI Conference (WAIC) 2025, tenutasi a Shanghai dal 26 al 28 luglio.
A Johannesburg, invece, vorrebbe essere protagonista Giorgia Meloni col suo “Piano Mattei” per l’Africa. Inserendolo peraltro in maniera ancora più chiara dentro la cornice delle mire di Bruxelles, orientata a proiettare le sue ambizioni verso il continente africano per raggiungere una maggiore autonomia strategica. L’idea è quella di usare il G20 per promuovere una nuova architettura finanziaria che consenta una maggiore influenza europea sull’Africa.
Non molti mesi fa era stata posta sul piatto l’idea di riconvertire circa 235 milioni di euro di debito africano in progetti del Piano Mattei. Una “trappola del debito” giusto un poco differente, cui si aggiungerebbero altre iniziative. Dall’altro lato, Bruxelles è ben contenta se questi accordi trovassero una controparte nella gestione dei flussi migratori, esternalizzando i confini in zone dove le pratiche e i diritti umani sono non solo più opachi, ma lontani dai riflettori.
Per le capitali europee l’incontro di Johannesburg potrebbe forse essere utile per rinsaldare alcuni rapporti stabiliti in passato, ma il G20 non ha più le funzioni che poteva avere in un altra fase storica. Rimane il fatto che il protagonismo dei paesi del Sud Globale mette in evidenza proprio lo sviluppo di un mondo multipolare.
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