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18/11/2025

Crollo dell’Ucraina, militare e interno. Ma Zelensky si accorda per nuovi caccia

La questione ucraina sembra stia arrivando alla sua fine, possiamo dire così, “naturale”. Sin dall’inizio in molti hanno sottolineato come Kiev avrebbe ottenuto molto di più con una pace immediata, collocata dentro una nuova architettura di sicurezza internazionale che tenesse conto anche dei timori della Russia, piuttosto che dissanguandosi in una guerra senza prospettive.

La decisione è stata invece quella di farsi usare dall’imperialismo occidentale come carne da cannone per indebolire la Russia, magari costringendola anche a ritirarsi dalla proiezione verso altri scenari. Ma ora, a tre anni e mezzo dal diretto intervento russo, i nodi stanno venendo al pettine, sia sul lato dello scadimento della vita politica interna, sia su quello delle capacità militari.

Facciamo il quadro della situazione, a partire dall’ultima questione. Pokrovsk è nei fatti caduta in mano russa, e Mirnograd seguità a breve dato che si trova accerchiata dalle truppe di Mosca. Le cui forze armate stanno avanzando velocemente anche in altre zone delle regioni di Donetsk, Dnipropetrovsk e Zaporizhia. Una disfatta che esprime il netto crollo delle capacità militari ucraine.

La realtà è che a inizio novembre Kiev avrebbe potuto ancora salvare parte dei suoi uomini chiusi nella sacca di Pokrovsk, ma ha preferito optare per la difesa fino all’ultimo uomo. Ora, la Russia approfitta del duro colpo subito dalle forze ucraine, anche dal punto di vista del morale, per avanzare velocemente in altri settori, e scompaginare ulteriormente le linee di difesa del nemico.

Su Analisi Difesa si può leggere una vera e propria sentenza di condanna rispetto all’atteggiamento dei vertici ucraini, ma anche di quelli europei: entrambi sembrano “prigionieri della loro narrazione propagandistica, basata su un mix di bugie e illusioni che quando si rivelano tali vengono ignorate, privandosi quindi della possibilità di cogliere quella realtà con cui le truppe di Kiev devono fare invece i conti tutti i giorni in modo sempre più drammatico sui campi di battaglia”.

Sugli europei torneremo, ma ora passiamo all’altro fronte, quello della politica interna. La crisi aperta con l’indagine dalle agenzie anti-corruzione NABU e SAPO sta colpendo pesantemente il governo e il “cerchio magico” di Zelensky. Mindich, stretto collaboratore del presidente ucraino, è latitante, ma ha lasciato dietro i propri sanitari fatti d’oro.

Il fatto che Mindich sia scappato proprio al momento giusto, come avevamo già scritto, palesa che qualcuno deve aver fatto una soffiata, Oleksandr Klymenko, capo della procura anti-corruzione, ha deciso di mettere sotto inchiesta il suo vice, Andriy Synyuk, accusato di aver messo in guardia l’amico di Zelensky passando per il suo avvocato, Oleksiy Meniv.

Ora, inoltre, la faglia nel gruppo dirigente del presidente ucraino si apre ulteriormente con la fuga dell’ex ministro della Difesa tra il 2023 e il 2025, Rustem Umerov. Dopo essere venuto a sapere di essere coinvolto nell’indagine in corso, Umerov sarebbe fuggito in Turchia e sarebbe ora diretto verso gli Stati Uniti. Lì dovrebbe testimoniare sulla corruzione del regime di Kiev.

Dopo anni di partiti messi al bando e corruzione sistemica, dopo che Zelensky ha usato la guerra e la legge marziale per forzare il quadro politico ucraino e costruirsi un fortino di potere e soldi sulla distruzione del proprio paese, ora la realtà di uno dei sistemi più corrotti e anti-democratici viene a galla. E, dunque, anche la complicità e il silenzio dei suoi alleati europei.

Emblematico del cambio degli umori è sia la maggior schiettezza rispetto alla situazione sul campo da parte di strenui difensori della causa ucraina, come Federico Fubini. Sia titoli come quello fatto da Maurizio Belpietro per il suo articolo apparso su La Verità: “Gli amici di Zelensky si fanno i water d’oro coi nostri soldi”.

In questo senso, la testa del presidente ucraino potrebbe essere messa sul piatto per avvicinarsi a una soluzione del dossier sulla guerra in Est Europa. È l’ipotesi che delinea, ad esempio, Stefano Feltri, sul suo sito “Appunti”. Del resto, il Cremlino ha sempre detto che non riconosce Zelensky, il cui mandato è scaduto da tempo. Una nuova figura alla guida dell’Ucraina, espressione di un cambio di strategia, potrebbe aprire un concreto dialogo verso un cessate il fuoco.

Per far sì che questo accada, ad accettarlo non dovrebbe essere solo l’opinione pubblica ucraina, comunque stanchissima e spesso al buio a causa degli attacchi russi sulle infrastrutture energetiche. Dovrebbero essere anche i leader europei. È su questo lato della questione che si collegano sia le sorti di Zelensky, sia il tema dei water d’oro pagati coi nostri soldi.

Il presidente ucraino si è da poco recato a Parigi, per incontrare l’omologo francese Emmanuel Macron e firmare un’intesa per l’acquisto di 100 Rafale. Una lettera d’intenti simile era già stata firmata con Stoccolma per altri 150 caccia svedesi, i Gripen. Ma la realtà è che i due paesi non dispongono immediatamente di questi mezzi, né l’Ucraina dei piloti addestrati per pilotarli. Di cosa si parla, allora?

Si parla del fatto che Washington non vuole vendere i propri F-35 a Kiev. Negli States sono più interessati ad accordi con l’Arabia Saudita, forse, e comunque guardano con maggiore interesse strategico al settore Indo-Pacifico. Sono la UE e le capitali dei suoi stati, così come Londra, che hanno legato alla vittoria contro Mosca l’affermazione dell’Europa come protagonista della competizione globale, e allo stesso tempo la legittimazione del riarmo e della transizione verso un’economia di guerra.

Macron cerca di affermarsi come un gigante sullo scenario globale, mentre promette mezzi di cui non dispone e che forse potranno essere prodotti nei prossimi 10 anni. Sempre che l’Ucraina possa pagarli: si parla di oltre 10 miliardi più i costi di armi, manutenzione, addestramento, e così via. Spese irraggiungibili per le condizioni delle casse di Kiev, che esprimono la situazione di un paese fallito.

È stata la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ad affermare che “l’entità del deficit di finanziamento dell’Ucraina è significativa”, come riporta un documento visionato dall’Agenzia France Presse. Solo per il prossimo anno l’Ucraina avrà bisogno di oltre 70 miliardi di euro, e dovranno essere proprio i paesi UE a coprirne la maggior parte, se non vogliono far crollare il loro alleato.

Giustamente, però, alcune voci – quella di Belpietro ne è un esempio – cominciano a mettere in dubbio questi esborsi. Se questi finiscono nelle mani dei corrotti amici di Zelensky, perché si dovrebbe continuare a finanziare Kiev? La UE non ha i fondi a bilancio per reggere i conti ucraini, ma non può abbandonarla senza abbandonare le proprie velleità di potenza. E Zelensky rappresenta il sacrificio dell’Ucraina sull’altare della costruzione di una UE armata.

Servirebbe una classe dirigente spregiudicata, capace di fare delle scelte impopolari, difficili, ma utili. E la UE questa classe dirigente non ce l’ha. Gli europei si trovano davanti alla contraddizione per cui hanno puntato tutto su un cavallo zoppo. E non è un caso che Umerov sia andato negli Stati Uniti per denunciare il sistema di potere di Zelensky. Domani l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff si incontrerà col presidente dell’Ucraina in Turchia, e vedremo con quale atteggiamento.

Se il comico ucraino non verrà abbandonato per tempo, UE e Londra si potrebbero ritrovare con uno scandalo tra le mani, e col crollo dell’Ucraina apparecchiato dal loro stesso alleato, e facilitato anche dai padroni dall’altra parte dell’Atlantico. Un altro colpo mortale a un’Europa che punta a uscire dalla propria condizione di vassallaggio.

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