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08/09/2017

Teorie della cospirazione: il coro politico-mediatico contro Moretti e la storia


Si è fatto un gran parlare, nelle scorse settimane, di Mario Moretti. Massimo dirigente delle Brigate Rosse, Moretti è in carcere da trentasei anni, attualmente in regime di semi libertà, malgrado la stagione della Lotta Armata sia conclusa da oltre trent’anni.

Come qualcuno certo ricorderà, fu lo stesso Moretti – insieme con Barbara Balzerani, Renato Curcio ed altri compagni – a dichiarare, all’inizio degli anni ’90, conclusa quell’esperienza e finite le Br. Ma, nonostante ciò, e quantunque le sue dichiarazioni abbiano sempre trovato riscontri oggettivi e non siano mai state smentite dalla prova dei fatti, su di lui, istituzioni e giornalisti che, evidentemente, difettano di libero pensiero; soprattutto ex dirtigenti Pci, livorosi e all’evidenza divorati da un bieco sentimento di vendetta, continuano ad accanirsi e a gettare discredito. Su di lui come su tutta quella Storia.

Forse perché Mario, come altri compagni, non si è mai pentito né dissociato. Alcuni lo hanno fatto – Franceschini, Morucci, Faranda, Peci, Savasta, ecc, per fare solo i nomi più noti – godendo così di sconti di pena molto sostanziosi. Lui no. Lui, “la sfinge” – per usare il ridicolo appellativo affibbiatogli, anni fa, dal dissociato Valerio Morucci e poi riutilizzato dal corifeo dei cospirazionisti, Sergio Flamigni, per scriverci l’ennesimo “libro” – continua tutti i giorni a fare dentro e fuori dall’istituto penitenziario milanese di Opera.

Ben strano destino, il suo, se si considera la vulgata, sostenuta null’altro che da ignoranza, disprezzo e malafede, secondo cui sarebbe stato al soldo dei Servizi di mezzo mondo, peraltro in eterna lotta fra loro: Sismi, Sisde, Cia, Mossad, Kgb, Stasi, con buona pace della logica. Con Moretti, di conseguenza, sarebbe stata infiltrata tutta l’organizzazione brigatista.

Ancora in carcere. Ben strana ricompensa, per un’opera che viene descritta come così “preziosa”...

D’altra parte, per i professionisti del complottismo – tra cui vale la pena ricordare il già menzionato Sergio Flamigni, ex deputato Pci; l’altro ex senatore comunista, Giovanni Pellegrino; il Pd Gero Grassi, ormai detto “l’ineffabile”; l’ex magistrato Ferdinando Imposimato; lo scrittore, Carlo D’Adamo; il “saggista” Paolo Cucchiarelli; la pubblicista Raffaella Fanelli – “le prove” non sono altro che un insignificante dettaglio.

Un grumo di sedicenti intellettuali di regime, autoproclamatisi detentori dell’autenticità della parola storica, che ha attaccato, tra l’altro, nei mesi scorsi, e continua tuttora ad attaccare, il libro pubblicato da DeriveApprodi: Brigate Rosse: dalle fabbriche alla “campagna di primavera”. Gli autori – gli storici Marco Clementi ed Elisa Santalena e l’ex Br-Ucc, Paolo Persichetti – vengono accusati di perseguire due scopi ben precisi: l’insabbiamento di quella “verità” che i brigatisti si ostinano a non confessare, e, conseguentemente, il depistaggio. Il tutto, per coprire, le supposte infiltrazioni delle Br, da parte dei Servizi, che, sempre secondo costoro, sarebbero “indiscutibili”, seppur indimostrabili e smentite dalla prova più inoppugnabile: quella dei fatti. D’altronde, come diceva Lenin «I fatti hanno la testa dura».

A loro, però, donne ed uomini di fede e di dogmi, la realtà interessa poco, specie se non porta vantaggi economici o di carriera. E allora, via libera alle insinuazioni, alle dietrologie, alle calunnie. Insinuazioni, dietrologie e calunnie che trovano paradossalmente la loro origine, proprio nel serissimo e minuzioso lavoro svolto dai tre coautori, in sede di ricostruzione storica degli eventi compresi tra la fine degli anni ’60 e la seconda metà degli anni ’80, e tendente a dimostrare, attraverso uno studio accurato delle fonti ed una severa metodologia storiografica, che dietro le Brigate Rosse c’erano solo le Brigate Rosse.

Una tesi che quella presunta élite politico-giornalistica non può in alcun modo tollerare, pena il discredito dello Stato e della propria attività, più o meno lucrosa. Per costoro, infatti, a destra come a sinistra, erano “tutti collusi”. Tutti intenti a tessere torbide trame con quelli che ci si ostina a considerare “apparati deviati” dello Stato – una parte dei Servizi Segreti – al fine di destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico.

Ognuno ha un complotto buono da sbandierare e utile a spiegare, come nel caso del Pci, il proprio fallimento politico. Doppi e tripli Stati si moltiplicano alla bisogna, con il solo scopo di ingannare i cittadini. Come se lo Stato, poi, non fosse un unico apparato amministrativo, che agisce su input di una classe dominante e dirigente...

Alla stregua dei bambini, i più arcigni complottisti – quelli provenienti dalle fila dell’ex Dc e dell’ex Pci: non a caso, i partiti del compromesso storico – ragionano per equivalenze ed assimilazioni puerili. Mai per differenze. Ossessivamente rosi da spirito di vendetta, pongono tutti, compagni e “camerati” sullo stesso piano storico e morale. Un allineamento forzoso che serve ad alimentare l’eco di quella “teoria della cospirazione continua” che racchiude in sé il germe di un morbo atavico: il vittimismo, da cui origina l’individuazione di un colpevole, qualunque esso sia, ed il suo conseguente annichilimento.

Appare ormai evidente, ragionando con procedimento deduttivo, che l’equiparazione tra lotta armata per il comunismo – con particolare riferimento a Brigate Rosse e Nuclei Armati Proletari – e terrorismo nero (i cui rapporti con Servizi, Stato, mafia e massoneria sono al contrario abbondantemente provati) faccia molto comodo al ceto politico, di ieri e di oggi.

Dobbiamo constatare con rammarico, ma con altrettanta coscienza e mancanza di rassegnazione, che, malgrado siano passati quarant’anni circa da quei fatti, c’è ancora tanta paura nello Stato. Tanta da non consentire neanche di trattare quegli avvenimenti come materia di studio, sulla quale dibattere ponderatamente in ambito storico-politico. Eppure un simile passaggio farebbe bene al paese, lo farebbe crescere come collettività e farebbe chiarezza nella sua stessa coscienza democratica.

Ma si ha paura. Si ha paura che quella Storia, solo ad evocarla, restituisca un senso al dissenso sociale, minacciando l’ordine costituito.

Perciò, come si diceva, via libera alle dietrologie, alle calunnie e alla macchina del fango da azionare, mediaticamente, sulle Br e specificamente su Moretti. Così, le Brigate Rosse ed Ordine Nuovo non sarebbero stati poi dissimili: infiltrate ed eterodirette. Ma noi rifiutiamo questi infamanti e strumentali parallelismi. Come li rifiutarono Giorgio Bocca, Rossana Rossanda o Sergio Zavoli, che riconobbero a Mario Moretti l’onestà intellettuale sempre emersa dalle sue parole e dichiarazioni.

E’ dura, comunque, anche per un dietrologo senza scrupoli, descrivere Moretti come Freda, Fioravanti o Giannettini. Dopo tutto, i vari Giannettini, Freda, Ventura, Delle Chiaie, Signorelli – tutti neofascisti, all’occorrenza stragisti, per i quali il legame con Servizi e talvolta mafia è comprovato – il carcere, o lo hanno visto poco o lo hanno evitato del tutto, perché fatti fuggire all’estero, oppure grazie ad assoluzioni rocambolesche, a dispetto delle prove giudiziarie e della logica.

Persino gli ex Nar Fioravanti e Mambro sono fuori da molti anni, benché condannati per la strage di Bologna e altri numerosi omicidi. Moretti no. Moretti resta dietro le sbarre. Trentasei anni e ancora non è finita. Trentasei anni e ancora non basta.

Per Mario e per gli altri compagni ancora in galera, a scontare pene risalenti ad un periodo ormai da ritenersi concluso, noi chiediamo la libertà. Perché uno Stato che fonda il suo potere sulla punizione e sul carcere è uno Stato che ha paura. È uno Stato repressivo.

È uno Stato che nulla ha di democratico.

E allora a Mario e a tutti i compagni che, inseguendo il sogno comunista di un mondo più giusto e libero, hanno messo in gioco e a rischio le proprie esistenze, pagando un prezzo altissimo per le loro scelte, con anni di galera, torture, dolorose solitudini e, nei casi estremi, con la morte; a tutti coloro che, quel debito di libertà, lo hanno scontato senza pentimenti e/o dissociazioni, o ancora lo stanno scontando come Mario; a loro va questo mio umile omaggio. Una modestissima ma appassionata elegia per dei sognatori, ma anche contro gli abusi di uno Stato il cui unico compito altro non è se non l’esecuzione di un “Contratto” la cui stipula ed il cui profitto portano in calce la firma, lorda di sangue antico, della classe dominante.

ELEGIA PER LA DESTITUZIONE DI STATO

Lo Stato
che pascolando ha governato
con bombe e stragi
carceri e manganello
presente e passato
Lo Stato
alla cui mensa imbandita
si son seduti affamati
fascismo mafia
chiesa e corona unita
Lo Stato liberale
che ha regnato
condannando a morte
operai e braccianti
studenti e militanti
All’impronta giustiziati
da cani in divisa
sguinzagliati
su strade orde
urlanti
legittimi diritti
Lo Stato
che ha coartato
con piani americani
cultura indollarata
dottrina Truman/Domino
di fobia comunista
prono agli interessi
dell’egemonia
bianca e classista
Lo Stato
che in deroga ad ogni principio
costituzionalmente sancito
ha esercitato il potere
introducendo e implementando
legislazioni eccezionali
Riccardo e Margherita
uccisi dai maiali
riposano su guanciali
di petali vermigli
Carlo Alberto
di sterco
i suoi giacigli
Lo Stato
che ha firmato assegni
senza coperture
ad esecuzioni e torture
Lacrime di compagni
nelle patrie galere
Lo Stato
che nel nome simulacro
di una democrazia vantata
ha mentito e smentito
ai propri cittadini
sui mezzi i metodi
i moventi i fini
Lo Stato
che genuflesso
sull’altare insanguinato
del profitto
produce guerra razzismo
e fame in affitto
Mare salato
di stupro e di morte
donne uccise
per il fallo di dio
Uomo maschio
patria e famiglia
prete pedofilo
e fanciullo alla griglia
Quello Stato
è destituito di ogni autorità
Quello Stato
non può ciarlare
di Democrazia Diritto
Giustizia e Morale
Non può comminare pene
nè governare
Non nel mio nome
Il nome eterno
della Rossa Libertà

Fonte

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