Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha sottolineato ieri la necessità di rilanciare il processo di pace siriano invitando Damasco a ritornare al tavolo delle trattative di Ginevra con un“atteggiamento più costruttivo”.
“L’unica soluzione per terminare questa crisi è attraverso una soluzione negoziata”
– ha affermato Ban Ki Moon – siamo determinati a riportare le due parti
al tavolo delle trattative qui a Ginevra”. Il Segretario Generale
dell’Onu ha rivelato di aver avuto una lunga conversazione telefonica
con Lakhdar Brahimi, inviato speciale di Onu e Lega araba per risolvere
la crisi in Siria. Secondo Ban Ki Moon, sia lui che Brahimi concordano
sull’importanza “che un terzo round della Conferenza di Pace di Ginevra
abbia luogo quanto prima”.
Agenda fitta di impegni ieri a Ginevra per il
Segretario Generale delle Organizzazioni delle Nazioni Unite. Tra gli
appuntamenti fissati anche quello con il Ministro degli Esteri russo
Sergei Lavarov. Tra i temi discussi la priorità è stata data alla crisi
ucraina, ma si è affrontato anche il dossier siriano. Ban Ki
Moon ha esortato tutte le “potenze che hanno influenza sul governo
[siriano, ndr] e sulle forze di opposizione ad esercitare la loro
influenza”. A partire già dal prossimo incontro di pace che il
Segretario dell’Onu progetta a breve, nonostante i due fallimenti
precedenti (22 gennaio e 10 febbraio). Troppa la distanza tra le due
parti: il regime di Damasco crede che la priorità sia quella di
combattere il “terrorismo” (l’opposizione), mentre una parte dei ribelli
rappresentata dalla Coalizione Nazionale siriana di Jarba pretende un
governo di transizione senza il Presidente Bashar al-Asad.
Ieri, però, mentre Ban Ki Moon esprimeva il suo desiderio di riunire le due parti in lotta, Mokhtar Lamani, direttore dell’ufficio di Damasco di Brahimi, ha dato le sue dimissione.
Una motivazione ufficiale al momento non è stata ancora fornita.
Tuttavia non desta stupore la sua scelta: Lamani non aveva nascosto
recentemente la sua forte delusione per il fallimento dei negoziati di
Ginevra e aveva criticato la tempistica. I tempi, secondo lui, non erano
ancora maturi per convocare un vertice di pace.
Ad alimentare il clima di tensione ci pensano le parole dell’assistente di Bashar al-Asad, Buthaina Shaaban, dagli schermi di al-Mayadeen. Shaaban ha accusato Israele di essere coinvolto nella guerra civile siriana.
Tel Aviv avrebbe infatti mandato truppe per rinforzare le forze ribelli
che combattono il regime di Damasco e di aver usato i convogli di armi
come scusa per attaccare i territori libanesi e siriani. La
collaboratrice di al-Asad ha invitato la Giordania a controllare il
flusso di ribelli diretto in Siria e ha chiesto all’Arabia Saudita di
smettere di finanziare l’opposizione.
Richieste che, al momento, resteranno inesaudite. Tuttavia
ieri il Gabinetto saudita ha ordinato il ritiro di tutti i combattenti
sauditi dalla Siria e ha promesso di processarli nel caso in cui abbiano
commesso crimini di guerra. Riyad teme che le armi che sta dando
cospicuamente ai miliziani ribelli impegnati in Siria possano ritorcersi
in futuro contro lo stesso regno wahabbita. La decisione di ieri
conferma quanto lo scorso mese il re saudita Abdallah aveva già
stabilito: andare a combattere nei paesi stranieri è un “crimine”. Resta
però da chiedersi come si possa prevenire questo fenomeno quando si
continuano a mandare armi e a finanziamenti a quella parte di ribelli
che di moderato hanno ben poco.
Dall’Aia, intanto, Sigrid Kaag, il diplomatico
olandese che guida la missione internazionale per lo smantellamento
dell’arsenale chimico siriano, ha detto all’Associated Press che
riuscirà a svolgere il suo compito nei termini fissati per giugno.
“Prevediamo molte azioni a marzo – ha dichiarato Kaag – ma ovviamente il
nostro messaggio è sempre quello di fare di più, di ottenere di più e
di farlo in modo sicuro”.
Ma se lentamente le armi chimiche stanno diminuendo,
continuano a mietere morte quelle tradizionali. Elicotteri siriani hanno
bombardato l’area ribella di Yabroud. Il regime di Damasco prova da
circa tre settimane a riprendere possesso della strategica cittadina
siriana a confine con il Libano. Secondo l’Osservatorio dei Diritti
umani, Ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione, le bombe a
barile avrebbero causato la morte di 15 ribelli.
Yabrud si trova nei pressi dell’autostrada che collega Damasco ad Homs ed è cruciale per il rifornimento dei gruppi d’opposizione. Hezbollah, schierato a fianco di al-Asad, sostiene che da questa cittadina partirebbero le autobombe che da un anno seminano morte e distruzioni in Libano nelle aree dove il “Partito di Dio” è forte. Secondo l’Agenzia di stampa siriana SANA, le truppe di Damasco avrebbero fatto in queste ore significativi progressi militari e sarebbero sul punto di conquistarla.
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