Sembra ieri. E lo era: il 6 marzo 2014. Quando l'allora premier
libico Ali Zeidan, alla Farnesina, alla sontuosa (40 delegazioni) Conferenza Internazionale sulla Libia, dialogava, fra gran sorrisi, con la ministra degli Esteri, Federica Mogherini.
Sic transit gloria mundi: in pochi giorni Zeidan è diventato un fuggitivo di lusso, e ovviamente, intoccabile.
Dapprima il “parlamento” di Tripoli che lo sfiducia dopo che i suoi
“rivoluzionari” riescono a far partire una “loro” petroliera sotto il
naso del “governo”; poi i “magistrati libici” che, indagando sulle sue
ruberie, gli impongono di non lasciare il Paese. Ma Zeidan – il
“nostro” Uomo a Tripoli – viola la sua personale no-fly-zone e scappa in
Europa. Certamente, con il suo carico di ricchezze e – soprattutto – di
segreti sui nostrani politici che ha tenuto (e/o che lo hanno tenuto) a
busta paga e che, per questo, non spenderanno una parola per la sua
estradizione.
Fossimo un paese civile, lo scandalo di questo dittatorello, tenuto su anche dalla nostra “classe dirigente” farebbe tremare i Palazzi del
potere. Ma non ne parla nessuno. Nemmeno tra i cascami di quella che fu
l’”estrema sinistra” oggi impegnati ad organizzare un’altra oscena manifestazione in difesa dell’imperialismo italiano.
Zeidan? Gli avevamo dedicato un articolo nell’ottobre di un anno fa. Lo
ripubblichiamo nella speranza che, almeno adesso, qualcuno si ricordi
che per questo gangster il nostro Paese ha fatto una guerra.
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