Riforme controcostituzionali e misure antisciopero indicano il segno del governo Renzi, in omaggio alla JP Morgan.
In un documento di ben 16 pagine che porta la data del 28 maggio 2013, la J.P. Morgan invitava i governi dell’Europa alle presa con i problemi del debito pubblico a “liberarsi delle proprie Costituzioni antifasciste”.
Alle pagine 12 e 13 del testo “bancario” si arriva alle Costituzioni dei paesi europei, con particolare riferimento alla loro origine e ai contenuti: “Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”.
Non solo. E’ proprio per “colpa” dei valori fondamentali inseriti nelle costituzioni, che - secondo Jp Morgan - non si riescono ad applicare le necessarie misure di austerity. “I sistemi politici e costituzionali del sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”.
E’ difficile non vedere il nesso tra l’impianto ideologico e l’indicazione politica di una delle maggiori banche d’affari (e di malaffari) del mondo e almeno un paio di provvedimenti ben presenti nell’agenda del governo Renzi.
Il primo è quello di depotenziare la Costituzione valutandola come uno dei “lacci e lacciuoli” che impediscono la libera azione delle forze della crescita. Non si capisce altrimenti la ragione di aver dato priorità alle riforme controcostituzionali su Senato, legge elettorale etc. piuttosto che su provvedimenti orientati a promuovere l’uscita dalla recessione e avviare una controtendenza sul piano della ripresa economica del paese.
“Nella Costituzione italiana – sottolinea ad esempio Emiliano Brancaccio – ci sono norme che vincolano la tutela della proprietà privata, che può essere espropriata per fini di pubblica utilità. Le istituzioni finanziarie sono spesso orientate a promuovere acquisizioni estere di capitali nazionali, e dunque hanno interesse a garantire che la proprietà del soggetto straniero che acquisisce sia tutelata”. Uno dei problemi che le multinazionali, i fondi di investimento e le banche straniere vedono come un ostacolo in questi questi vincoli costituzionali è che “il soggetto straniero che magari acquisisca a prezzi favorevoli capitale nazionale di Paesi in difficoltà non è totalmente tutelato, perché in seguito, in una fase politica successiva, potrebbe essere espropriato” dice ancora Brancaccio.
Dietro la parola magica ‘modernizzazione’, che compare spesso nel documento della Jp Morgan o nei pistolotti di Renzi, c'è dunque anche l’intento di “tutelare gli interessi di chi vuole venire a fare shopping a buon mercato in Italia e negli altri paesi periferici dell’Unione europea”.
Il secondo è un obiettivo dichiarato e praticato a più mani (non solo dal governo ma anche dalla Commissione di Garanzia sugli scioperi): mettere fuori gioco il diritto di sciopero e il ruolo negoziale dei sindacati. Quando Renzi dichiara al Financial Times che “la concertazione è finita” e la Commissione di Garanzia avanza la proposta-progetto di proibire gli scioperi durante il semestre europeo a guida italiana e l’Expo 2015, si comprende bene come si vogliano usare due eventi pensati per “dare prestigio all’Italia” come fattore scatenante e costitutivo di una nuova fase delle relazioni sindacali e democratiche nel paese. Una fase in cui “la licenza di protestare se vengono proposte modifiche dello status quo” (come dice la JP Morgan) viene drasticamente ridotta. Come sappiamo per esperienza, quando un provvedimento si annuncia come “temporale” ed “emergenziale”, diventa facile renderlo norma e non più eccezione, soprattutto se dura quasi dodici mesi sui sedici che riguardano i due eventi.
Riforme costituzionali e privatizzazione dell’economia, sono in realtà i due assi strategici su cui la borghesia europea aveva cominciato a martellare sull’Italia immediatamente dopo il Trattato di Maastricht, nel 1992.
La dissoluzione della vecchia classe politica con l’inchiesta su Tangentopoli e il primo governo dalle terapie shock (il governo Amato-Andreatta dello stesso anno) avevano iniziato a fare il lavoro sporco. Poi è arrivata una variabile impazzita – Berlusconi – che ha rinviato pro domo sua (e della frazione più arretrata del capitalismo nazionale) di almeno venti anni tutta l’operazione.
Tolto di mezzo un “Cavaliere dissonante”, oggi costretto a miti consigli e al patto con Renzi, spazzati via dal Pd e dalla Cgil i residui di cultura costituzionale ereditati dal Pci, adesso è Renzi, il Manchurian Candidate del capitale finanziario, a dettare ritmi, scelte e regole. Intorno a lui è stato costruito un gigantesco e vergognoso apparato di consenso, una sorta di partito unico, di giornale e telegiornale unico, che ne approva e sottolinea ogni strappo. E’ un rullo compressore al quale occorre mettere più sabbia possibile negli ingranaggi, dentro il Parlamento certo, ma soprattutto fuori.
Il documento della JP Morgan
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