Un pezzo storicamente importante dell’economia locale è il settore fieristico: tra la gestione diretta degli eventi e l’ampio indotto determina molto nel tessuto produttivo e dei servizi. Dopotutto è la seconda fiera in Italia dopo quella di Milano, coordina altre fiere regionali e si è agganciata, nei limiti del possibile, al mercato internazionale (con una preferenza per la Cina).
Per questo ogni scossone, ogni perdita dell’azienda fieristica (a capitale misto pubblico e privato) è un buon punto di osservazione per le dinamiche di ristrutturazione non solo locali ma nazionali.
Per questo sottolineiamo che la sempre più accesa competizione con la fiera di Milano, in vista dell’Expo, raffigura quel processo di accentramento e di concentrazione che caratterizza in generale le situazioni di crisi ma nel nostro caso anche l’accentuarsi delle contraddizioni nel procedere della nuova divisione internazionale del lavoro nei nostri territori come conseguenza del processo costituente dell’Europolo.
Lo scippo del grande evento di “Linea Pelle” (che insieme a Cersaie, Eima è un pezzo di quel made in Italy tanto caro al renzismo) da parte dell’expo di Milano è un segnale importante che segue la perdita di altri grandi eventi come il SAIE e il Motor show.
Da una parte abbiamo chiaro che come sempre il padronato si sposta e si accentra dove meglio vede garantiti i propri profitti, e l’ambiente dell’Expo 2015 è stato ben preparato fino agli ultimi accordi sindacali che prevedono lavoro gratuito e schiavitù. In deroga ai contratti nazionali infatti, i sindacati complici hanno firmato accordi che abbatteranno pesantemente i livelli salariali di chi sarà impiegato in questo progetto megagalattico, e che immetteranno ulteriori forme di precarietà lavorative.
Dall’altra non possiamo sottovalutare che l’Expo 2015 farà ovviamente da apripista per tutte le esposizioni fieristiche, e non ha che il significato di preparare il Paese alla sua vocazione di manodopera e di servizi a basso costo nel nuovo costituente polo imperialista europeo. Per i lavoratori del settore e dell’indotto, non solo a Bologna, si prepara una nuova difficile stagione.
In questo contesto si staglia la rappresentazione del teatrino della politica locale, a partire dal Sindaco PD Virginio Merola, con prese di posizione campanilistiche ma senza strategie e impegni di sviluppo concreti; alla cose vere o che sembrano più vere sono delegati i vari manager rampanti interessati a come e per quali profitti utilizzare il futuro spazio metropolitano di Bologna.
È il caso di Andrea Segrè, presidente del Centro Agro Alimentare di Bologna e Oscar Farinetti (creatore e fondatore di Eataly e renziano doc) con il faraonico progetto di fare di Bologna una “Disneyworld del cibo”. Un progetto faraonico quello di F.I.CO. (Fabbrica Italiana Contadina), un nuovo polo d’eccellenza per l’agroalimentare, che vede il Comune regalare centinaia di ettari ai privati per la costruzione della struttura e dove si metterà in produzione un esercito di precari, mal pagati e poveri, che nelle idee dello stesso guru Farinetti dovrebbero campare con 500 euro al mese.
Ed è da gente come loro che vengono le “direttive” giuste o sbagliate sul posizionamento produttivo di una metropoli e di una regione, e nel caso di BolognaFiere quella di riposizionarsi come expo complementare alla “riscoperta vocazione” agro-alimentare-gastronomica bolognese.
Altro che biotecnologie e meccanica di precisione: tortellini, ragù e borlenghi nel futuro metropolitano? Certo che il futuro del nostro paese non si discosta molto dal mito del “giardino d’Europa” ora con un nuovo “angolo degustazione”.
Le politiche fatte di privatizzazioni, precarizzazione, condite con speculazioni sul territorio e sui lavoratori ormai sono cosa nota, è sempre più chiaro come la “politica” non abbia alcun ruolo vero di direzione di questi processi, ma solo quello di mero amministratore e regolatore (quando va bene) delle scelte imposte dal padronato, nello scenario che si sta ridisegnando con la macina della crisi e con le dinamiche imposte dall’Unione Europea.
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