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08/06/2015

La stampa di “sinistra” contro Mozgovoy: una prima risposta

Ci sembra doveroso prendere parola in merito al “trattamento” che due importanti organi di informazione italiana, l’Internazionale (“L’ultimo comandante”, n°1104, 29 maggio 2015, p. 23) e Il Manifesto (Simone Pieranni, “Mozgovoy, il fantasma di Lugansk”, 29 maggio 2015 ), hanno riservato alla morte del comandante della Brigata Prizrak, Alexei B. Mozgovoy (qui il suo manifesto politico), avvenuta il 23 maggio di quest’anno al seguito di un’imboscata sulla strada che collega la capitale della Repubblica Popolare di Lugansk ad Alcevsk (quartier generale della Brigata), e che è costata la vita anche ad altri 4 componenti della Brigata e ad alcuni civili.
 
Una strage che ci ha colpito profondamente, non solo perché Mozgovoy era al comando della brigata più progressista di tutta la Resistenza novorossa (l’unica ad ospitare al proprio interno un’unità apertamente comunista, la 404), ma anche per il fatto che alcuni di noi sono rientrati solo da poche settimane da una permanenza di quasi due mesi in Donbass, trascorsa per la maggior parte insieme alla Brigata Prizrak, mentre altri hanno potuto ricevere la calorosa ospitalità della Brigata nel corso della seconda carovana antifascista organizzata dalla Banda Bassotti da poco conclusasi.

In queste occasioni, abbiamo conosciuto e più volte incontrato Mozgovoy, così come altri comandanti militari e molti miliziani della Brigata, come riportato nel nostro sito e nella pagina FB, attraverso la pubblicazione dal Donbass di una dozzina di reportages scritti e fotografici.

La decisione di utilizzare questo fatto tragico per articolare e ribadire una presa di posizione politica liquidatoria sul corso della resistenza in Donbass e diffamatoria nei confronti di Mozgovoy, è stata un’operazione di pessimo gusto che qualifica di per sé gli autori dei due pezzi.

Lo è ancor di più perché quest’operazione è stata messa in piedi facendo ricorso alla retorica complottista, fornendo ai lettori italiani - purtroppo, a causa di una pessima informazione, poco informati sui fatti che stanno martoriando quelle terre - poco più che supposizioni nel migliore dei casi, o vere e proprie falsità nel peggiore, attraverso cui viene dipinto un ritratto sbrigativo e pieno di ombre di Mozgovoy e della Brigata Prizrak.

Un esempio per tutti è l’allusione al “gusto” che, secondo i due articoli, Mozgovoy avrebbe avuto per la giustizia sommaria. Il riferimento implicito è ad un solo processo popolare (ovvero in cui tutti i cittadini presenti in aula avevano diritto di voto) presieduto da Mozgovoy e da altri due ufficiali della Brigata, contro due stupratori, avvenuto lo scorso ottobre. Il verdetto votato a gran maggioranza fu la condanna a morte dei due imputati.

Questa è la notizia riportata da due media inglesi - notoriamente impegnati in vere e proprie campagne di disinformazione a sostegno della politica estera del proprio governo - la BBC e il Telegraph, e probabilmente, è proprio da queste due fonti che chi ha firmato i due articoli ha estrapolato l’informazione. Ciò che però le due testate inglesi - e di conseguenza anche i male informati giornalisti italiani - hanno dimenticato di riportare è che la condanna a morte non fu mai stata eseguita e le ultime notizie che si hanno dei due condannati per stupro, ci dicono che sono vivi e vegeti in una cella della prigione di Alcevsk.

Quell’udienza popolare, come era stato spiegato dallo stesso Mozgovoy, rappresentava infatti una fase processuale iniziale - una sorta di parallelo delle nostre udienze preliminari - in cui si doveva verificare, secondo un giudizio popolare, se c’erano prove a sufficienza per dimostrare la colpevolezza dei due accusati. Pratiche simili sono oggi sperimentate, ad esempio, anche in Rojava nei territori curdi controllati dalle YPG e YPJ.

Ma tentativi di inserire meccanismi di partecipazione popolare nella gestione della vita collettiva, nonostante il contesto bellico sia al contrario solito imporre una gerarchizzazione e burocratizzazione della quotidianità, non sembrano essere apprezzati da chi è evidentemente convinto che il sistema giudiziario liberale sia il migliore possibile - dimenticando probabilmente tutte le ingiustizie che si compiono ogni giorno nei tribunali del nostro paese.

Come testimoniato da questo episodio, in generale ci sembra che tutto l’impianto dei  due pezzi derivi da una conoscenza superficiale ed indiretta di quel quadrante politico-culturale che stride non poco con le granitiche certezze degli autori e, in particolare riguardo all’articolo di Pieranni su Il Manifesto, con il suo reiterato atteggiamento canzonatorio nei confronti di chi avrebbe preso un abbaglio riguardo al “profilo” dell’ex comandante, della Prizrak e della Resistenza novorossa in generale.

Dopotutto, come potersi schierare dalla parte di Mozgovoy, uno che - come ci ricorda puntuale Pieranni - avrebbe avuto “alcuni giu­dizi poco lusin­ghieri sulle donne”? Qui il riferimento va chiaramente alle affermazioni di Mozgovoy rilasciate nel corso del processo sopra menzionato e riportate sempre nei due articoli sopra linkati della BBC e del Telegraph, in cui il comandante della Prizrak avrebbe rimproverato le donne di Alcevsk perché assidue frequentatrici di bar e ristoranti.
In realtà, se l’autore non si fosse limitato a cliccare sui primissimi risultati di Google, avrebbe trovato un video pubblicato da Vice News in cui Mozgovoy spiega che quella frase era stata pronunciata in tono sarcastico per rispondere alla madre di uno dei due incriminati che si affannava a proclamare innocente suo figlio, accusando la vittima di essere una prostituta perché frequentatrice di bar e ristoranti.

L’articolo di Pieranni ci è sembrato un assemblaggio “malfatto” di informazioni tratte dalla rete attraverso sbrigative indagini in motori di ricerca, più che il tentativo di contestualizzare ciò che è avvenuto attraverso ricerche approfondite, interviste ai diretti interessati e ai testimoni indiretti, vaglio delle diverse fonti disponibili in rete. Uno strumento, quest’ultimo, che riconosciamo essere indispensabile e molto utile, ma che non può essere in nessun modo lo strumento principe, o unico, di chi vuole cercare di raccontare in modo professionale una situazione, definita da Pieranni stesso, “complessa”.

Ma l’approssimazione e la strumentalizzazione delle informazioni fornite nel pezzo non sembrano frutto, almeno non esclusivamente, di pressappochismo e dilettantismo. La nostra sensazione è che l’articolo in questione avesse in realtà un obiettivo diverso da quello suggerito dal titolo. L’attenzione dell’autore non sembra, infatti, tanto indirizzata a trarre un bilancio politico della figura di Mozgovy, quanto invece ad attaccare chiunque in Italia da tempo si occupi di Ucraina e sostenga la Resistenza del Donbass lontano da equilibrismi ed equidistanze improbabili.

L’accusa per chiunque si muova a sostegno della Resistenza delle Repubbliche popolari è quella di rossobrunismo o, in altre parole, di sostenere il progetto imperiale euroasiatico di Putin. Se da una parte, come testimoniato dai nostri articoli (leggi 01, 2 e 3), condividiamo con l’autore le preoccupazioni verso un fenomeno che riconosciamo molto pericoloso e a cui una certa sinistra sta prestando il fianco in modo ingiustificabile e inaccettabile, non possiamo, dall’altro lato, neppure accettare in silenzio che vengano messi sullo stesso piano della feccia rossobruna i molti comitati e le organizzazioni che stanno cercando tra mille difficoltà di costruire e sviluppare un movimento di solidarietà antimperialista e antifascista con la resistenza del Donbass, riconoscendo il ruolo che questa sta giocando nel contrastare i piani imperialisti della NATO.

Ci teniamo, comunque, a precisare che per noi qui non si tratta di mettere in discussione delle opinioni più o meno legittime dell’autore su cosa stia accadendo nell’ex-Ucraina orientale: ciò che per noi è inaccettabile è che lo faccia in occasione della morte di un popolarissimo comandante di una delle esperienze più “avanzate” a livello politico nel quadro della resistenza, con un bagaglio di conoscenze sconcertante per la sua superficialità e una altrettanto sconcertante distorsione dei fatti utile alle sue interpretazioni complessive - per di più bacchettando indistintamente chiunque supporti la resistenza ai battaglioni punitivi dei golpisti di Kiev.

Non ci prolunghiamo ulteriormente nel rispondere punto per punto a ciò che nei suoi vari pezzi ha sostenuto Pieranni perché crediamo che indirettamente l’abbiamo già fatto sul e dal campo per quasi due mesi, e lo continueremo a fare in maniera più articolata ed approfondita  lavorando sul materiale raccolto durante la nostra esperienza. Lo faremo ancora più spronati dal desolante panorama che - con poche eccezioni - la pubblicistica della sinistra “radicale” italiana offre sull’argomento e dagli insopportabili atteggiamenti di chi sembra riuscire a dare lezioni a tutti tranne che imparare dai propri tragici errori.

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