Una strage
che ci ha colpito profondamente, non solo perché Mozgovoy era al comando
della brigata più progressista di tutta la Resistenza novorossa
(l’unica ad ospitare al proprio interno un’unità apertamente comunista,
la 404), ma anche per il fatto che alcuni di noi sono rientrati solo da
poche settimane da una permanenza di quasi due mesi in Donbass,
trascorsa per la maggior parte insieme alla Brigata Prizrak, mentre
altri hanno potuto ricevere la calorosa ospitalità della Brigata nel
corso della seconda carovana antifascista organizzata dalla Banda
Bassotti da poco conclusasi.
In queste occasioni, abbiamo conosciuto e
più volte incontrato Mozgovoy, così come altri comandanti militari e
molti miliziani della Brigata, come riportato nel nostro sito e nella pagina FB, attraverso la pubblicazione dal Donbass di una dozzina di reportages scritti e fotografici.
La decisione di utilizzare questo fatto
tragico per articolare e ribadire una presa di posizione politica
liquidatoria sul corso della resistenza in Donbass e diffamatoria nei
confronti di Mozgovoy, è stata un’operazione di pessimo gusto che
qualifica di per sé gli autori dei due pezzi.
Lo è ancor di più perché
quest’operazione è stata messa in piedi facendo ricorso alla retorica
complottista, fornendo ai lettori italiani - purtroppo, a causa di una
pessima informazione, poco informati sui fatti che stanno martoriando
quelle terre - poco più che supposizioni nel migliore dei casi, o vere e
proprie falsità nel peggiore, attraverso cui viene dipinto un ritratto sbrigativo e pieno di ombre di Mozgovoy e della Brigata Prizrak.
Un esempio per tutti è l’allusione al
“gusto” che, secondo i due articoli, Mozgovoy avrebbe avuto per la
giustizia sommaria. Il riferimento implicito è ad un solo processo
popolare (ovvero in cui tutti i cittadini presenti in aula avevano
diritto di voto) presieduto da Mozgovoy e da altri due ufficiali della
Brigata, contro due stupratori, avvenuto lo scorso ottobre. Il verdetto
votato a gran maggioranza fu la condanna a morte dei due imputati.
Questa è la notizia riportata da due
media inglesi - notoriamente impegnati in vere e proprie campagne di
disinformazione a sostegno della politica estera del proprio governo -
la BBC e il Telegraph,
e probabilmente, è proprio da queste due fonti che chi ha firmato i due
articoli ha estrapolato l’informazione. Ciò che però le due testate
inglesi - e di conseguenza anche i male informati giornalisti italiani -
hanno dimenticato di riportare è che la condanna a morte non
fu mai stata eseguita e le ultime notizie che si hanno dei due
condannati per stupro, ci dicono che sono vivi e vegeti in una cella
della prigione di Alcevsk.
Quell’udienza popolare, come era stato spiegato dallo stesso Mozgovoy,
rappresentava infatti una fase processuale iniziale - una sorta di
parallelo delle nostre udienze preliminari - in cui si doveva verificare,
secondo un giudizio popolare, se c’erano prove a sufficienza per
dimostrare la colpevolezza dei due accusati. Pratiche simili sono oggi
sperimentate, ad esempio, anche in Rojava nei territori curdi
controllati dalle YPG e YPJ.
Ma tentativi di inserire meccanismi di
partecipazione popolare nella gestione della vita collettiva, nonostante
il contesto bellico sia al contrario solito imporre una
gerarchizzazione e burocratizzazione della quotidianità, non sembrano
essere apprezzati da chi è evidentemente convinto che il sistema
giudiziario liberale sia il migliore possibile - dimenticando
probabilmente tutte le ingiustizie che si compiono ogni giorno nei
tribunali del nostro paese.
Come testimoniato da questo episodio, in
generale ci sembra che tutto l’impianto dei due pezzi derivi da una
conoscenza superficiale ed indiretta di quel quadrante
politico-culturale che stride non poco con le granitiche certezze degli
autori e, in particolare riguardo all’articolo di Pieranni su Il Manifesto, con
il suo reiterato atteggiamento canzonatorio nei confronti di chi
avrebbe preso un abbaglio riguardo al “profilo” dell’ex comandante,
della Prizrak e della Resistenza novorossa in generale.
Dopotutto, come potersi schierare dalla parte di Mozgovoy, uno che - come ci ricorda puntuale Pieranni - avrebbe
avuto “alcuni giudizi poco lusinghieri sulle donne”? Qui il
riferimento va chiaramente alle affermazioni di Mozgovoy rilasciate nel
corso del processo sopra menzionato e riportate sempre nei due articoli
sopra linkati della BBC e del Telegraph, in cui il comandante della Prizrak avrebbe rimproverato le donne di Alcevsk perché assidue frequentatrici di bar e ristoranti.
In realtà, se l’autore non si fosse limitato a cliccare sui primissimi risultati di Google, avrebbe trovato un video
pubblicato da Vice News in cui Mozgovoy spiega che quella frase era
stata pronunciata in tono sarcastico per rispondere alla madre di uno
dei due incriminati che si affannava a proclamare innocente suo figlio,
accusando la vittima di essere una prostituta perché frequentatrice di
bar e ristoranti.
L’articolo di Pieranni ci è sembrato un
assemblaggio “malfatto” di informazioni tratte dalla rete attraverso
sbrigative indagini in motori di ricerca, più che il tentativo di
contestualizzare ciò che è avvenuto attraverso ricerche approfondite,
interviste ai diretti interessati e ai testimoni indiretti, vaglio delle
diverse fonti disponibili in rete. Uno strumento, quest’ultimo, che
riconosciamo essere indispensabile e molto utile, ma che non può essere
in nessun modo lo strumento principe, o unico, di chi vuole cercare di
raccontare in modo professionale una situazione, definita da Pieranni
stesso, “complessa”.
Ma l’approssimazione e la
strumentalizzazione delle informazioni fornite nel pezzo non sembrano
frutto, almeno non esclusivamente, di pressappochismo e dilettantismo.
La nostra sensazione è che l’articolo in questione avesse in realtà un
obiettivo diverso da quello suggerito dal titolo. L’attenzione
dell’autore non sembra, infatti, tanto indirizzata a trarre un bilancio
politico della figura di Mozgovy, quanto invece ad attaccare chiunque in
Italia da tempo si occupi di Ucraina e sostenga la Resistenza del
Donbass lontano da equilibrismi ed equidistanze improbabili.
L’accusa per chiunque si muova a
sostegno della Resistenza delle Repubbliche popolari è quella di
rossobrunismo o, in altre parole, di sostenere il progetto imperiale
euroasiatico di Putin. Se da una parte, come testimoniato dai nostri
articoli (leggi 0, 1, 2 e 3),
condividiamo con l’autore le preoccupazioni verso un fenomeno che
riconosciamo molto pericoloso e a cui una certa sinistra sta prestando
il fianco in modo ingiustificabile e inaccettabile, non possiamo,
dall’altro lato, neppure accettare in silenzio che vengano messi sullo
stesso piano della feccia rossobruna i molti comitati e le
organizzazioni che stanno cercando tra mille difficoltà di costruire e
sviluppare un movimento di solidarietà antimperialista e antifascista con la resistenza del Donbass, riconoscendo il ruolo che questa sta giocando nel contrastare i piani imperialisti della NATO.
Ci teniamo, comunque, a precisare che
per noi qui non si tratta di mettere in discussione delle opinioni più o
meno legittime dell’autore su cosa stia accadendo nell’ex-Ucraina
orientale: ciò che per noi è inaccettabile è che lo faccia in occasione
della morte di un popolarissimo comandante di una delle esperienze più
“avanzate” a livello politico nel quadro della resistenza, con un
bagaglio di conoscenze sconcertante per la sua superficialità e una
altrettanto sconcertante distorsione dei fatti utile alle sue
interpretazioni complessive - per di più bacchettando indistintamente
chiunque supporti la resistenza ai battaglioni punitivi dei golpisti di
Kiev.
Non ci prolunghiamo ulteriormente nel
rispondere punto per punto a ciò che nei suoi vari pezzi ha sostenuto
Pieranni perché crediamo che indirettamente l’abbiamo già fatto sul e dal
campo per quasi due mesi, e lo continueremo a fare in maniera più
articolata ed approfondita lavorando sul materiale raccolto durante la
nostra esperienza. Lo faremo ancora più spronati dal desolante panorama
che - con poche eccezioni - la pubblicistica della sinistra “radicale”
italiana offre sull’argomento e dagli insopportabili atteggiamenti di
chi sembra riuscire a dare lezioni a tutti tranne che imparare dai
propri tragici errori.
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