01/09/2015
Il gas egiziano. Uno scossone alla geografia energetica che preoccupa Israele
La scoperta realizzata dall’Eni nelle acque dell’Egitto del più grande giacimento di gas del Mediterraneo, sembra destinata a rivoluzionare la geografia dell’area a maggiore rischio di tensioni e guerra. Il giacimento nell’offshore egiziano, denominato Zohr, ha un potenziale di 850 miliardi di metri cubi di gas (equivalente a 5,5 miliardi di barili di petrolio) e potrà garantire il fabbisogno di gas naturale dell’Egitto, per molti decenni. Secondo i dati relativi al 2013, l’Egitto ha un livello di consumo di gas pari a 46 miliardi di metri cubi l’anno. Le nuove estrazioni faranno aumentare di un terzo le riserve del Cairo che entro cinque anni raggiungerà la piena autosufficienza. Il giacimento ha un’estensione di un centinaio di chilometri quadrati e rappresenta quindi un bacino energetico con rilevanza mondiale. Secondo le prime informazioni, tra l’altro, il pozzo presenta ulteriore potenziale a maggiore profondità.
Ma se il bacino di gas nelle acque territoriali rappresenta una svolta per l’Egitto del generale Al Sisi, questa scoperta rafforza anche gli interessi dell’Eni sia nel paese che nell’area. Sono infatti già numerose le scoperte di petrolio e gas nelle aree del Sinai, del Delta del Nilo e del Deserto occidentale effettuate dalla multinazionale italiana che hanno reso l’Eni il primo operatore internazionale nel settore degli idrocarburi in Egitto. E’ stato lo stesso amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi a recarsi di persona al Cairo per informare il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi e illustrare i dettagli della scoperta al primo ministro Ibrahim Mahlab e al ministro del Petrolio Sherif Ismail. “Negli ultimi 7 anni abbiamo scoperto 10 miliardi di barili di risorse e 300 milioni negli ultimi sei mesi, confermando così la posizione di Eni al top dell'industria” – scrive Descalzi in una nota – «Questa scoperta assume un valore ancora maggiore poiché fatta in Egitto, paese strategico per Eni, dove possono essere sfruttate importanti sinergie con le istallazioni esistenti permettendoci una rapida messa in produzione”.
Anche Renzi si è affrettato a far sapere al generale Al Sisi che lo sfruttamento comune del giacimento Zohr non può che rafforzare la collaborazione tra Italia ed Egitto. In tal senso la bomba esplosa contro gli uffici dell’Eni a Tripoli ha già fatto capire che la “vicinanza” italiana al regime egiziano non risulta affatto gradita alle milizie libiche affiliate al network dei Fratelli Musulmani perseguitati e massacrati proprio da Al Sisi.
Ma la scoperta di giacimenti di gas nei fondali del Mediterraneo, tra l’altro, da tempo vede una impetuosa crescita di perforazioni e conseguenti tensioni tra i paesi rivieraschi che intendono appropriarsi della proprietà o dei diritti di estrazione. In particolare in questi anni si è segnalato l’attivismo di Israele che ha cercato con ogni mezzo di mettere le mani sui giacimenti off shore di gas nelle acque del Mediterraneo, utilizzando le forniture – o le possibili forniture future – come strumento di pressione sulla Giordania e, appunto, sull’Egitto.
Va nel cuore del problema l’analisi che avanza oggi Michele Giorgio su Il manifesto, quando sottolinea come: “In un attimo è cambiato lo scenario strategico ed energetico emerso in questi ultimi anni nel Mediterraneo orientale. Israele, sicuro di avere le riserve di gas più consistenti, credeva di poter valere la sua legge e di dettare il livello dei prezzi. Non solo. Tel Aviv, sullo sfruttamento e la protezione del gas, ha anche imbastito una serie di alleanze, in particolare con Cipro, che contemplano pattugliamenti della Marina militare israeliana in aree sensibili, a contatto ravvicinato con unità da guerra turche. Potrebbe cambiare tutto o quasi”.
Analogamente, anche Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore coglie lo “scossone” che può derivarne sulle relazioni nella regione, in particolare quelle tra Israele e gli altri paesi alle prese con crescenti fabbisogni energetici. “L'Egitto era pronto a impegnarsi con un contratto da 15 miliardi di dollari per una fornitura quindicennale di gas israeliano. Incerti se metterlo sul mercato o conservare per il proprio futuro industriale Leviathan, il giacimento scoperto da qualche anno, gli israeliani hanno perso un'opportunità. Leviathan ha riserve per 680 miliardi di metri cubi, il 40% meno di Zohr. L'Egitto non ha più bisogno del gas israeliano” scrive oggi Tramballi.
Nel Mediterraneo orientale da tempo sono cresciuti contenziosi sulle Zone Economiche Esclusive nel mare dei vari paesi rivieraschi. E’ il caso del giacimento Aphrodite, situato nella Zona Economica Esclusiva cipriota, che ha rivelato la presenza di più di 128 miliardi di metri cubi di gas naturale suscitando appetiti e tensioni con la Turchia. La multinazionale francese Total progetta di iniziare i lavori nelle acque del Mediterraneo orientale entro il 2015, mentre a ottobre scorso un consorzio composto dall’Eni e dalla società sudcoreana Kogas ha già iniziato il perforamento di un’altra sezione del fondale marino. Ci sono poi le tensioni sul giacimento Leviathan che Israele rivendica per sé ma sul quale accampa diritti anche il Libano. Il Leviathan avrebbe un potenziale di 623 miliardi di metri cubi di gas e, prima della scoperta del giacimento nelle acque egiziane, risultava essere la maggiore scoperta di ‘offshore’ dell’ultimo decennio. A complicare le cose, oltre le rivendicazioni del Libano, c’è il contrasto interno tra l’Autorità Antitrust israeliana e le compagnie Noble Energy (statunitense) e Delek Energy (israeliana), un contrasto che potrebbe portare allo scorporo del giacimento in due parti: il Leviathan e il Tamar.
Infine c’è l’annosa vicenda del gas nelle acque palestinesi di Gaza. Nel 1999 l’allora presidente palestinese Yasser Arafat con un contratto affidò lo sfruttamento del giacimento a un consorzio composto dalla compagnia privata Consolidated Contractors International Company (di proprietà delle famiglie libanesi Sabbagh e Khoury), alla British Gas Group e al Fondo per gli Investimenti Palestinesi. Il consorzio eseguì la perforazione di due pozzi – Gaza Marine 1 e Gaza Marine 2 – ma da allora non sono mai stati sfruttati. Secondo Tel Aviv non esistendo ufficialmente uno Stato palestinese ed acque territoriali palestinesi, il gas di Gaza deve essere commercializzato da compagnie israeliane. L’agenzia Nena News ricorda poi che a complicare le cose è stato anche un “intervento” del pessimo ex premier britannico Tony Blair, in qualità di inviato del «Quartetto per il Medio Oriente» (Usa, Russia, Onu e Ue).
Grazie alla sua “mediazione” e alla debolezza dell’Anp, i tre quarti degli introiti del gas sono stati tolti ai palestinesi e il giacimento di fatto è stato messo sotto il controllo Israele. Hamas, vincitore delle elezioni del 2006, però ha bloccato l’accordo definendolo un furto. L’anno successivo Israele ha annunciato che il gas non può essere estratto, almeno sino a quando Hamas sarà al potere.
La scoperta dell’enorme giacimento di gas egiziano, dunque non potrà che scuotere come un albero la geografia energetica nell’area mediterranea, ridisegnando equilibri e rapporti di forza in una regione già ad alto rischio di tensioni e guerra.
Fonte
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento