di Giorgia Grifoni
Non ce l’ha fatta a
passare, al Congresso Usa, la fatidica mozione contro l’accordo con
l’Iran. La battaglia condotta dal Partito repubblicano si è fermata
venerdì scorso, quando i membri della casa dei Rappresentanti non sono
riusciti a superare il quorum di 60 voti necessario per bloccare
l’intesa raggiunta lo scorso luglio: solo 58, con il partito democratico
quasi compatto intorno al presidente che ha gentilmente donato 42 dei
suoi voti in favore dell’intesa. Il giorno prima era stato il Senato a
dare la sua benedizione all’accordo. Il prossimo 17 settembre ci sarà la
votazione finale, ma la strada sembra già spianata per la ratifica: un
grande successo per l’amministrazione Usa che, secondo l’analista
geopolitico Nima Baheli è “indicativo di come Obama, Kerry e tutto il
Partito democratico abbiano investito nella riuscita di questo accordo.
Un accordo che può essere visto sia come un fatto epocale dopo 35-36
anni di contrasto Stati Uniti-Iran, sia come uno dei tanti operati di
Obama che potrebbero passare alla storia. Inoltre, l’accordo rappresenta
un trampolino di lancio per il prossimo presidente, in particolare per
il candidato democratico che potrebbe essere Hilary Clinton”.
La votazione del 17 settembre sarà l’ultima sulla mozione presentata dai Repubblicani. Quale sarà il passo successivo?
Da voci di persone dentro ai vari giochi, si dice che gli Stati Uniti
abbiano investito veramente molto a livello di impegno e di immagine
per i propri partner europei spronandoli ad andare in Iran a
incontrare le autorità iraniane. E’ in quest’ottica che si deve leggere
la visita di Gentiloni, dei francesi e prossimamente della Merkel.
L’idea è che adesso ci siano da fare semplicemente incontri, magari
anche dei memoranda d’intesa e che da qui a fine anno, forse
gennaio – febbraio, le sanzioni possano essere tolte e si possa
ricominciare a fare affari con l’Iran, che è un paese di 80 milioni di
persone con un reddito medio abbastanza buono: insomma, un buon mercato
per le imprese europee.
Come potrebbe, un’eventuale ratifica dell’accordo, modificare
lo scenario internazionale, in particolare laddove – Siria, Yemen, Iraq
– gli iraniani, come anche gli americani e i loro alleati sono più
impegnati?
Personalmente penso che lo scenario Siria, rispetto allo scenario
Iraq/Yemen siano un po’ differenti. In tutti e tre gli scenari si dice
che l’Iran abbia il suo ruolo importante. L’Iraq penso sia prioritario
sia per gli americani sia per gli iraniani per gli stessi interessi a
lungo termine, ovvero cercare di farne uno stato unitario e mantenerlo
tale. Un’ipotetica ratifica dell’accordo dovrebbe portare a una maggiore
stabilizzazione, al rigetto dell’Isis dai confini iracheni. Nello Yemen
reputo che l’Iran non sia un quadrante così importante, per cui in
qualche maniera lo Yemen potrebbe essere sacrificato nell’ottica
dell’accordo fatto e questo si evince dal fatto che gli Stati Uniti
hanno dato un appoggio abbastanza forte all’Arabia Saudita nell’attacco
allo Yemen. Discorso differente invece per la Siria, dove l’Iran reputa
la presenza di un governo amichevole e alleato una priorità e in cui in
questi anni ha investito grosse somme, sia per i quantitativi di armi,
sia per l’impegno politico, economico e militare. In questa prospettiva,
in tandem con i russi l’Iran dovrebbe cercare di arrivare a una sorta
di accordo, di pacificazione e, secondo me, l’attuale impegno russo che
varie testate hanno ricordato va in questa direzione.
Come bisogna interpretare l’ostilità verso Washington che
continua ad arrivare da una parte dell’Iran, cioè dall’ayatollah
Khamenei?
Si tratta di una strategia negoziale per far capire comunque agli
Stati Uniti che l’Iran non sta elemosinando l’accordo: se l’accordo si
fa bene, se l’accordo non si fa va bene lo stesso. Il fatto stesso che
Hassan Rouhani e la leadership iraniana abbiano sottoscritto questo
accordo indica che c’è stato il beneplacito della Guida Suprema. Quindi,
le dichiarazioni che ogni tanto possono venire da Khamenei o da persone
del suo entourage per me sono strategie negoziali e basta. Escludo che
nel breve termine si apra un’ambasciata americana in Iran, ma penso
comunque che la Guida Suprema voglia in questo momento una
normalizzazione dei rapporti economici dell’Iran con l’Occidente.
In giugno il parlamento iraniano si riuniva per approvare un
disegno di legge che vietava l’ingresso ai tecnici stranieri nei siti
militari iraniani. La questione era diventata un braccio di ferro nelle
ultime fasi del negoziato,ma alla fine l’avevano spuntata gli Stati
Uniti. Cosa può, il parlamento iraniano, contro l’accordo?
Il parlamento iraniano aveva ratificato dei limiti. Nell’ambito
dell’accordo, comunque, i funzionari dell’Aiea non possono andare
direttamente nei siti, ma devono dare un preavviso al governo iraniano e
chiedere l’autorizzazione per entrare, con margini temporali che vanno
dai 24 ai 60 giorni. Questo è un risultato positivo sia dello staff
negoziale iraniano come anche delle direttive che in qualche maniera il
parlamento iraniano aveva dato. E, come hanno dichiarato sia lo staff
negoziatore iraniano che Obama, non ci sono state dei veri vinti né dei
veri vincitori, ma si è soltanto cercato di venire incontro l’uno alle
esigenze dell’altro. All’interno del parlamento iraniano ci sono varie
frange che possono essere in qualche maniera critiche di questo accordo,
perché sostengono che l’Iran abbia accettato un’ingerenza delle potenze
straniere in politica energetica ed estera: però, allo stato attuale,
sono minoritarie. Inoltre, se non nelle parole ma quantomeno nei fatti,
la Guida Suprema supporta l’accordo e se ci dovessero essere dei
problemi, questi non verranno certo dal parlamento iraniano ma tutt’al
più dal Congresso americano.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento