di Antonio Rei
Il bullo di Pontassieve ci prende in giro in molti modi, ma noi ci
facciamo caso solo quando lo fa nella maniera più spudorata e plateale.
Lui, si sa, quando c'è un problema scappa da telecamere e microfoni, ma
dove sente che c'è una vittoria nell'aria si fionda. Ultimo esempio, il
volo di Stato per andare sul centrale di Flushing Meadows ad
occhieggiare da ganzo durante la finale Vinci-Pennetta. La rabbia che
una scena simile procura è giustificata - Renzi ha usato i nostri soldi
per essere lì mentre aveva altri impegni istituzionali e, tanto per
dirne una, sta stracciando la Costituzione - ma sarebbe il caso di
riservare un po' d'indignazione anche agli scempi di politica economica
portati avanti nell'indifferenza generale.
E' notizia recente che
nella legge di Stabilità 2015 non ci sarà alcuna riforma delle
pensioni. Curioso, visto che nei mesi scorsi sia Renzi sia il ministro
Poletti, sia il Presidente Inps Boeri avevano annunciato in pompa magna
un intervento importante per correggere la legge Fornero aumentando la
flessibilità in uscita.
Il Premier aveva colto l'occasione anche per dare sfoggio della sua
retorica da Libro Cuore: "Se una donna a 61, 62 o 63 anni vuole andare
in pensione due o tre anni prima rinunciando a 20-30-40 euro per godersi
il nipotino anziché dover pagare 600 euro la babysitter - aveva detto
non più tardi dello scorso maggio -, bisognerà trovare le modalità per
cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna
di andarsi a godere il nipotino. Le normative del passato sono
intervenute in modo troppo rigido".
Le babysitter possono tirare
un sospiro di sollievo: non solo la Fornero rimane com'è, ma dall'anno
prossimo serviranno addirittura quattro mesi in più per andare in
pensione, a causa dell'adeguamento alle aspettative di vita. Con buona
pace non solo delle nonne, ma anche dei lavoratori giovani, che
continueranno a vedersi bloccare l'accesso al mondo del lavoro dalla
masnada di over-60 ancora impiegati.
Si può obiettare che i
numeri sull'occupazione stanno migliorando comunque, ma bisogna stare
attenti agli inganni. Oltre agli errori marchiani del ministero del
Lavoro - che prima diffonde un dato sui nuovi contratti a tempo
indeterminato e poi si corregge, dimezzandolo - è bene ricordare che
nella quasi totalità dei casi stiamo parlando di conversioni di
contratti a termine volte a sfruttare la decontribuzione triennale
garantita a chi stabilizza i lavoratori. A ben vedere, a luglio i nuovi
contratti di lavoro a tempo indeterminato attivati ammontano a 137.826,
mentre le cessazioni sono 137.779: in sostanza, i nuovi posti di lavoro
sono 47, questa è la differenza tra le attivazioni e le cessazioni. Non
esattamente un'impennata, senza contare che, dopo la mattanza
dell'articolo 18, il tempo indeterminato si è trasformato in precarietà
illimitata e che dal 2016 le aziende non avranno più alcun incentivo ad
assumere.
Una misura davvero efficace per rilanciare il lavoro e
i consumi sarebbe un intervento deciso sul cuneo fiscale, ma purtroppo
questo governo ha giudicato insufficiente il ritorno elettorale che
avrebbe ottenuto con un intervento molto tecnico e difficile da spiegare
a noi poveri scemi. Per questo ha preferito spostare le risorse a
disposizione sull'abolizione dei prelievi fiscali sulla prima casa.
Una mossa berlusconiana quante altre mai, perché punta alla pancia
della gente, che vede nelle tasse sulla proprietà la più odiosa delle
ingiustizie. L'esecutivo non tiene conto invece di considerazioni
economiche elementari: primo, abbassare le tasse sul reddito avrebbe
ripercussioni sul Pil e sull'occupazione molto maggiori; secondo, la
cancellazione dei prelievi sulla prima casa è una misura socialmente
iniqua, perché garantisce risparmi più consistenti alle fasce
socioeconomiche più alte.
Terzo, mentre l'imposta sulla proprietà immobiliare esiste in ogni
paese d'Europa, con la sua abolizione i mancati introiti dei Comuni
vedranno o un aumento delle imposte generali (addizionali), che
pagheranno anche coloro che la casa nemmeno possono comprarla, oppure
servirà un intervento di finanziamento del governo ai Comuni (altra
balla renziana) che inciderebbe per 4 miliardi di Euro sulla fiscalità
generale, ovvero su tutti noi, proprietari di case e no.
Quindi,
ciò che esce dalla porta della propaganda rientra dalla finestra della
realtà. Con tanti saluti a qualsiasi velleità di redistribuzione del
reddito o di sostegno ai poveri (a proposito, Renzi aveva promesso anche
un intervento in favore dei cosiddetti "incapienti": qualcuno ne ha più
sentito parlare?).
Il punto da chiarire con più vigore è che
queste considerazioni sulle scelte del governo non hanno colore
politico. Sono dati di fatto, come dimostra l'origine bipartisan delle
critiche contro l'abolizione della Tasi sulla prima casa, arrivate non
solo dalla Cgil, ma anche dai tecnici dell'Unione europea, da
Confindustria, da Assonime e dal centro di ricerche Nomisma.
Quest'ultimo centro di ricerca ha prodotto un'analisi di particolare
efficacia: quella che il governo sta allestendo "non è una manovra che
ridistribuisce e non è una manovra che attiva, cioè che stimola
l’economia - ha detto Luca Dondi, consigliere delegato di Nomisma, in
un'intervista al Fatto - conti alla mano, per oltre i due terzi delle famiglie italiane lo
sgravio (derivante dalla cancellazione delle tasse sulla prima casa,
cdr) sarà in media di 17 euro al mese. Difficilmente ci saranno maggiori
transazioni immobiliari e maggiori spese per i consumi. Sarebbe meglio
privilegiare le due famiglie su 10 che vivono in affitto e hanno
disponibilità economiche contenute".
Già, ma poi chi glielo spiega alle
nonne ricche?
Fonte
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