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16/09/2015

Pensioni e Tasi: le balle del bullo

di Antonio Rei

Il bullo di Pontassieve ci prende in giro in molti modi, ma noi ci facciamo caso solo quando lo fa nella maniera più spudorata e plateale. Lui, si sa, quando c'è un problema scappa da telecamere e microfoni, ma dove sente che c'è una vittoria nell'aria si fionda. Ultimo esempio, il volo di Stato per andare sul centrale di Flushing Meadows ad occhieggiare da ganzo durante la finale Vinci-Pennetta. La rabbia che una scena simile procura è giustificata - Renzi ha usato i nostri soldi per essere lì mentre aveva altri impegni istituzionali e, tanto per dirne una, sta stracciando la Costituzione - ma sarebbe il caso di riservare un po' d'indignazione anche agli scempi di politica economica portati avanti nell'indifferenza generale.

E' notizia recente che nella legge di Stabilità 2015 non ci sarà alcuna riforma delle pensioni. Curioso, visto che nei mesi scorsi sia Renzi sia il ministro Poletti, sia il Presidente Inps Boeri avevano annunciato in pompa magna un intervento importante per correggere la legge Fornero aumentando la flessibilità in uscita.

Il Premier aveva colto l'occasione anche per dare sfoggio della sua retorica da Libro Cuore: "Se una donna a 61, 62 o 63 anni vuole andare in pensione due o tre anni prima rinunciando a 20-30-40 euro per godersi il nipotino anziché dover pagare 600 euro la babysitter - aveva detto non più tardi dello scorso maggio -, bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna di andarsi a godere il nipotino. Le normative del passato sono intervenute in modo troppo rigido".

Le babysitter possono tirare un sospiro di sollievo: non solo la Fornero rimane com'è, ma dall'anno prossimo serviranno addirittura quattro mesi in più per andare in pensione, a causa dell'adeguamento alle aspettative di vita. Con buona pace non solo delle nonne, ma anche dei lavoratori giovani, che continueranno a vedersi bloccare l'accesso al mondo del lavoro dalla masnada di over-60 ancora impiegati.

Si può obiettare che i numeri sull'occupazione stanno migliorando comunque, ma bisogna stare attenti agli inganni. Oltre agli errori marchiani del ministero del Lavoro - che prima diffonde un dato sui nuovi contratti a tempo indeterminato e poi si corregge, dimezzandolo - è bene ricordare che nella quasi totalità dei casi stiamo parlando di conversioni di contratti a termine volte a sfruttare la decontribuzione triennale garantita a chi stabilizza i lavoratori. A ben vedere, a luglio i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato attivati ammontano a 137.826, mentre le cessazioni sono 137.779: in sostanza, i nuovi posti di lavoro sono 47, questa è la differenza tra le attivazioni e le cessazioni. Non esattamente un'impennata, senza contare che, dopo la mattanza dell'articolo 18, il tempo indeterminato si è trasformato in precarietà illimitata e che dal 2016 le aziende non avranno più alcun incentivo ad assumere.

Una misura davvero efficace per rilanciare il lavoro e i consumi sarebbe un intervento deciso sul cuneo fiscale, ma purtroppo questo governo ha giudicato insufficiente il ritorno elettorale che avrebbe ottenuto con un intervento molto tecnico e difficile da spiegare a noi poveri scemi. Per questo ha preferito spostare le risorse a disposizione sull'abolizione dei prelievi fiscali sulla prima casa.

Una mossa berlusconiana quante altre mai, perché punta alla pancia della gente, che vede nelle tasse sulla proprietà la più odiosa delle ingiustizie. L'esecutivo non tiene conto invece di considerazioni economiche elementari: primo, abbassare le tasse sul reddito avrebbe ripercussioni sul Pil e sull'occupazione molto maggiori; secondo, la cancellazione dei prelievi sulla prima casa è una misura socialmente iniqua, perché garantisce risparmi più consistenti alle fasce socioeconomiche più alte.
Terzo, mentre l'imposta sulla proprietà immobiliare esiste in ogni paese d'Europa, con la sua abolizione i mancati introiti dei Comuni vedranno o un aumento delle imposte generali (addizionali), che pagheranno anche coloro che la casa nemmeno possono comprarla, oppure servirà un intervento di finanziamento del governo ai Comuni (altra balla renziana) che inciderebbe per 4 miliardi di Euro sulla fiscalità generale, ovvero su tutti noi, proprietari di case e no.

Quindi, ciò che esce dalla porta della propaganda rientra dalla finestra della realtà. Con tanti saluti a qualsiasi velleità di redistribuzione del reddito o di sostegno ai poveri (a proposito, Renzi aveva promesso anche un intervento in favore dei cosiddetti "incapienti": qualcuno ne ha più sentito parlare?).

Il punto da chiarire con più vigore è che queste considerazioni sulle scelte del governo non hanno colore politico. Sono dati di fatto, come dimostra l'origine bipartisan delle critiche contro l'abolizione della Tasi sulla prima casa, arrivate non solo dalla Cgil, ma anche dai tecnici dell'Unione europea, da Confindustria, da Assonime e dal centro di ricerche Nomisma. Quest'ultimo centro di ricerca ha prodotto un'analisi di particolare efficacia: quella che il governo sta allestendo "non è una manovra che ridistribuisce e non è una manovra che attiva, cioè che stimola l’economia - ha detto Luca Dondi, consigliere delegato di Nomisma, in un'intervista al Fatto - conti alla mano, per oltre i due terzi delle famiglie italiane lo sgravio (derivante dalla cancellazione delle tasse sulla prima casa, cdr) sarà in media di 17 euro al mese. Difficilmente ci saranno maggiori transazioni immobiliari e maggiori spese per i consumi. Sarebbe meglio privilegiare le due famiglie su 10 che vivono in affitto e hanno disponibilità economiche contenute".

Già, ma poi chi glielo spiega alle nonne ricche?

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