Cominciamo da una cosa: qui non stiamo più parlando di ondate di migranti alla ricerca di lavoro o, comunque, di una migliore speranza di vita.
Qui stiamo parlando di una marea di disperati che scappa da pericoli immediati di morte, al punto di affrontare viaggi con concrete possibilità di lasciarci la pelle e si tratta di ondate di centinaia di migliaia di persone destinate ad aumentare. E stiamo parlando di qualcosa destinato a durare per molti anni: il Pentagono stima venti anni in crescendo, per milioni di esseri umani.
Non vi affliggerò con banali questioni di ordine etico che (figuriamoci!) non interessano i più. D’altra parte, se uno non ha empatia umana non se la può dare. E quindi, bando ai buonismi ed alle considerazioni morali ed andiamo al sodo: che si fa? Anzi: cosa conviene fare?
La soluzione auspicata dai branchi di umanoidi (non i profughi: quelli sono umani, parlo del liquame populista europeo) è quella di resistere con la forza all’“invasione”: fermare i treni, blocco navale, blindare le frontiere, sparare sui barconi… sino a quando questi non si stancano ed il fenomeno si arresta. Poi tornassero a casa loro e si grattassero le rogne da soli, a noi non interessa.
E’ una soluzione praticabile e conveniente? Facciamo un po’ di conti su quanto costi in denaro questo apparato di frontiere blindate. O pensate che navi da guerra in pattugliamento permanente, posti di blocco alle frontiere, rastrellamenti di polizia eccetera eccetera, si facciano con i fichi secchi? Mancano molti dati certi e le stime sono approssimative, ma basti pensare che la portaerei Garibaldi, impiegata nelle operazioni in Libia nel 2011, solo per la navigazione, al netto dai bombardamenti, aveva un costo di 130.000 euro al giorno, mentre il costo di navigazione della nuova ammiraglia, la Conte di Cavour, è di 400.000 euro al giorno. Certo queste sono le unità più importanti della nostra marina, che hanno un costo molto elevato, ed allora vediamo le unità di stazza inferiore sempre per un giorno di navigazione: Maestrale 60.000 euro, San Marco 45.000, una corvetta qualsiasi 20.000, un pattugliatore fra 12 e 15.000 euro.
Per l’operazione “Mare Nostrum” venne stimato un costo di 200.000 euro al giorno solo per la navigazione, cui sommare il costo di volo di elicotteri e ricognitori. Per quell'operazione di pattugliamento limitato alle acque del canale di Sicilia, venne stanziato un costo complessivo di 190 milioni di Euro.
Ma, bisogna tener conto delle dimensioni molto cresciute del fenomeno, che esigono sia maglie più strette che periodi più lunghi e tratti di mare più ampi: si può anche bloccare il canale di Sicilia, ma se poi i barconi spuntano (via Turchia e Grecia) dal canale d’Otranto non abbiamo concluso niente. E potrebbero esserci rotte più avventurose. Così come, se il periodo classico degli sbarchi è maggio-ottobre, in condizioni disperate non possiamo escludere che si “allunghi” ad aprile e almeno parte di novembre. Dunque, stimare un costo almeno due volte e mezzo dell’operazione Mare Nostrum è una cautissima approssimazione per difetto.
Peraltro, un uso intensivo di questo genere, ovviamente, fa crescere i costi di manutenzione della flotta ed anche questi non sono costi leggeri. Ma c’è di più: per un pattugliamento di queste proporzioni è molto dubbio che le unità navali a disposizione bastino ed è realistico pensare che si renda indispensabile approntarne qualcuna nuova con costi molto salati. Potrebbero partecipare alle operazioni anche le marine militari di Spagna e Francia, che però hanno le loro gatte da pelare. E sin qui abbiamo parlato della tenuta dei confini marittimi.
Ma anche i confini di terra hanno costi che non scherzano, perché, se è vero che non ci sono i costi della navigazione, è vero che occorrerebbe moltiplicare i posti di blocco anche su quei passaggi minori e normalmente poco custoditi o non custoditi affatto, poi, tenuto conto delle dimensioni numeriche del fenomeno e della immancabile presenza della malavita, bisogna mettere in conto i rischi di “sfondamento”, per cui occorrerebbe rafforzare sia con uomini che opere i valichi ed organizzare anche qui un pattugliamento aereo con elicotteri. E siamo sicuri che gli organi di polizia abbiano uomini a sufficienza per farlo? Forse si imporrebbero un bel po’ di assunzioni in più.
Allora, per l’Italia, direi che un costo di 1 miliardo o un miliardo e mezzo di Euro all’anno è una stima super prudenziale.
Insomma, facciamo pure la Festung Europa ma siamo sicuri che ci costi meno che accogliere e sfamare questa gente? Quanti profughi potremmo accogliere in un anno con 1 miliardo di euro? Senza contare che una parte, comunque, ce la farebbe a passare ed ingrossare le fila dei clandestini, il che, poi, significa altre spese di polizia per il contrasto alla clandestinità.
Quindi, almeno sul piano dei costi, non pare che la proposta sia granché praticabile. Ma non è solo questo.
Ovviamente, anche a sparare sui barconi o a far sbarcare i profughi e fucilarli sulle spiagge (si sa, i colpi di fucile costano meno di quelli di cannone: un’idea per Salvini), è difficile pensare che il fenomeno si esaurisca: se qualcuno corre pericoli di vita immediato è ovvio che tenti il tutto per tutto per sottrarsi a quella situazione e, se gli si chiudono cento strade cercherà la centunesima o cercherà di sfondare una delle cento uscite. E qui il rischio maggiore è quello di fornire a malavita e terroristi immensi serbatoi di reclutamento, dai quali attingere: alcuni di quelli che oggi non accogliamo come profughi ce li ritroveremo come terroristi o killer di mafia. Certo una limitatissima minoranza, comunque molti di più di quelli oggi in circolazione. Altri costituiranno orde di disperati, nelle quali, però, potranno formarsi le legioni di chissà quali e quanti Califfati, Boko Haram, stati-mafia eccetera eccetera. Agli inizi questo costituirà una minaccia ai rifornimenti petroliferi, ma dopo ai suoi confini la Festung Europa vedrà crescere confinanti sempre più minacciosi.
Siamo più forti militarmente? Può darsi e può darsi che quando questi verranno a sciami cadranno come mosche, ma state tranquilli che neanche noi ce la passeremo bene.
La scelta della Festung Europa è la premessa del peggiore disastro futuro (e non parliamo di un futuro lontano secoli, ma forse solo di dieci-quindici anni).
Dunque questa soluzione non sembra la cosa più intelligente da fare (lo segnalo vivacemente ai miei amici Beppe Grillo e Roberto Casaleggio perché ci pensino un po’ su).
La seconda soluzione è quella di aprire le porte, far entrare tutti e concentrali in tanti campi di accoglienza (ecco, si, di concentramento), anche perché, se gli concediamo lo status di rifugiato politico, stanti così le normative, non potrebbero neppure lavorare. Anche questa è una soluzione insostenibile: senza nessun filtro, moltiplicheremmo gli accessi e mescolati ai profughi entrerebbero molti altri che profughi non sono e che poi, una volta arrivati, finirebbero ad ingrossare la clandestinità. Costi alti (meno della Festung Europa ma pur sempre crescenti), situazioni ingestibili e per tenere centinaia di migliaia di esseri umani in condizioni disumane: dalla padella della guerra alla brace del campo di concentramento.
Dunque, anche la soluzione buonista-ingenua è un disastro.
Direi che la cosa va messa su tre piani diversi: immediato, breve periodo, medio periodo.
Nell’immediato l’unica soluzione seria l’ha trovata (sapeste quanto mi costa scriverlo!) la Merkel: accoglierli ma con qualche filtro, riformare le leggi sull’asilo politico e metterli a lavorare (devo dire che questa volta la Germania sta dando una lezione di civiltà a tutti). Insomma trasformare il problema in risorsa. Certo, saranno pagati meno degli altri e questo è una forma di sfruttamento capitalistico (speriamo contenuta in termini non schiavistici), ma nell’immediato è la soluzione che può mantenersi in equilibrio e possiamo dare per scontato che la maggioranza dei profughi accetterebbe di slancio.
Poi c’è il breve periodo: e la cosa da fare è far cessare lo stato di guerra da cui questi scappano. Come? Ne parleremo più diffusamente, per ora limitiamoci a dire che sarebbe necessario convocare al più presto una conferenza internazionale per ridefinire gli equilibri ed i confini nell’area Me-na, con tutti gli stati della zona e con le otto maggiori potenze mondiali (Usa, Cina, Russia, India, Ue, Brasile, Giappone, Sud Africa), sotto l’egida dell’Onu. Trovare una soluzione di pace ed imporla (se è il caso anche con la forza).
Sul medio periodo, pensare ad un “piano Marshall” per l’Africa ed i paesi devastati dalle ultime guerre, che faccia decollare il continente e prevenga il formarsi di condizioni esplosive di povertà che riproporrebbero moltiplicato il problema di oggi. Ma anche di questo riparleremo.
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