Dentro Syriza in molti starebbero in queste ore sperando che il partito si piazzi in testa alle elezioni di domenica, ma che al tempo stesso torni all’opposizione per prendere fiato dopo il fallimento dell’esecutivo con Anel, l’accettazione del Terzo Memorandum – il più pesante finora imposto ad Atene dalla troika – e la spaccatura nel partito. Il prossimo governo infatti sarà chiamato ad applicare e gestire misure pesantissime e il cui impatto sull’opinione pubblica ellenica potrebbe causare forti danni ad un partito uscito zoppicante e malandato dalla vittoria del 25 gennaio a causa della sua incapacità di prevedere e lavorare ad uno scenario di rottura con l’Unione Europea e l’Euro nel caso in cui i negoziati con gli squali di Bruxelles e Francoforte non fossero andati a buon fine. Ma nonostante la massiccia vittoria dei ‘no’ nel referendum convocato a inizio luglio dallo stesso governo, il primo ministro e il suo entourage non se la sono sentita di tentare la spallata nei confronti dell’Unione Europea e di mettere in atto il ‘piano B’ che pure alcuni think tank di Syriza avevano approntato. Un piano che forse si sarebbe rivelato illusorio e che cozza con l’ancora dilagante europeismo della base elettorale e di molta parte della dirigenza stessa di Syriza, convinta nonostante l’evidenza che si possano tenere insieme lotta all’austerità e alla schiavitù del debito con permanenza all’interno della gabbia del blocco imperialista europeo. Col risultato che alle elezioni anticipate di domenica l’ex sinistra radicale arriva spompata, in crisi di credibilità e identità, incerta sul da farsi. Se dovesse vincere la sfida sembra impossibile che possa contare sulla maggioranza assoluta, e stando ai dati diffusi dai vari istituti demoscopici difficilmente riuscirebbe a sommare i seggi necessari anche se si alleasse con i socialisti del Pasok-Dimar e con i liberali di To Potami. L’unico modo per dare un governo al paese e non essere linciati per sottrarsi alle proprie responsabilità sarebbe quello di formare una grande coalizione che includa anche la destra, quella Nea Dimokratia che non a caso chiede di formare un governo alla tedesca “per salvare la Grecia”.
L’ultimo sondaggio risale a ieri pomeriggio, diffuso dall’istituto E Voice: Syriza ottiene il 29% delle intenzioni di voto, ND il 25.4%, Alba Dorata il 7.2%, i centristi di To Potami il 5.1%; dietro i comunisti del KKe e il Pasok al 5%, Unità Popolare al 4.2%, i Greci Indipendenti al 3.1, appena sopra la soglia di sbarramento. Un’altra rilevazione, realizzata da Prorata, dà Syriza al 28% e Nea Dimokratia al 24. Un buon vantaggio, ma non sufficiente a scampare l’ipotesi della ‘grande coalizione’ che potrebbe rappresentare la morte politica dell’ex sinistra radicale in cerca di ossigeno. La direzione di Syriza è spaventata soprattutto dalla disillusione di alcuni settori della società la cui mobilitazione a gennaio aveva determinato l’exploit elettorale del partito di Tsipras; molti ex elettori del 25 gennaio questa volta resteranno a casa, alcuni voteranno più a sinistra e alcuni invece sceglieranno di tornare a votare i ‘partiti del sistema’ scottati dalle promesse non mantenute di Syriza. Tutti i sondaggi rilevano un alto tasso di indecisi e una tendenza al rialzo dell’astensione e delle schede nulle e bianche.
Per la prima volta negli ultimi mesi, oltretutto, due sondaggi hanno pronosticato la vittoria di Nea Dimokratia su Syriza. Secondo la rilevazione realizzata da Pulse e diffuso dalla rete televisiva Action 24, Nd otterrebbe il 27.5 contro il 27 di Tsipras; rapporti di forza simili a vantaggio di Vangelis Meimarakis – 27.1 contro 26.3 – sono stati pronosticati anche da Data RC per il quotidiano Peloponneso. La legge elettorale ellenica garantisce un premio di maggioranza di 50 seggi al partito più votato, non importa se si tratta di milioni di voti o anche solo di una preferenza in più rispetto al secondo classificato. Per cercare di convincere gli indecisi Tsipras va ripetendo che quella di luglio è stata una ‘ritirata strategica’ e che nei prossimi quattro anni il suo partito applicherà integralmente il programma di Salonicco. Ma è assai improbabile che settori consistenti dell’opinione pubblica ellenica possano essere credere alle promesse di una forza politica rivelatasi poco determinata come la Syriza nella versione 2.0, oltretutto condizionata a destra da alleanze obbligate con partiti esplicitamente filo-troika.
In questo quadro le sinistre anti-euro – Unità Popolare e Partito Comunista – caricano a testa bassa contro Syriza, Tsipras e l’Unione Europea. La nuova coalizione di sinistra radicale fondata e guidata dall’ex ministro Panagiotis Lafazanis, dall’ex presidente del parlamento Zoe Konstantopoulou e sostenuta anche dall’icona della sinistra ellenica, l’ex partigiano Manolis Glezos oltre che da un pezzo consistente dell’ex gioventù di Syriza, ha chiuso ieri la sua campagna elettorale con una manifestazione realizzata in Piazza Omonia, ad Atene. Molti giovani, ma partecipazione non proprio esaltante al comizio, nel corso del quale Konstantopoulou ha puntato il dito contro il voltafaccia di Alexis Tsipras: «C’è chi ha deciso in modo tardivo di passare il Rubicone, di coalizzarsi con i tiranni del popolo, che hanno tradito sogni e speranze, con coloro che consegnano le prossime generazioni al Minotauro del memorandum di austerità» ha accusato l’ex esponente di Syriza facendo ricorso a una buona dose di richiami mitologici.
Fondamentalmente Unità Popolare afferma di voler recuperare lo spirito e il programma della Syriza degli anni del conflitto, degli scioperi generali, delle piazze piene di manifestanti, della battaglia contro l’austerità e il debito, per il recupero della sovranità popolare. Anche a costo di prepararsi a rompere con l’Unione Europea e ad uscire dall’Eurozona. Continui i richiami da parte della nuova formazione al grande risultato conseguito nel referendum popolare del 5 luglio, tradito pochi giorni dopo dal ‘realismo’ del governo Tsipras-Kammenos. Si tratta ora, affermano i dirigenti di Laikì Enotita, di trasformare quel 61% di oxi all’austerità e alla tracotanza di Bruxelles e Berlino in programma di lotta e di organizzazione sociale e popolare. Una posizione che deve fare i conti con la composizione della nuova coalizione, al cui interno ci sono forze esplicitamente comuniste e anticapitaliste (la Corrente di Sinistra, la Red Link, l’ex Tendenza Comunista di Syriza e alcuni collettivi provenienti da Antarsya) ma anche di derivazione socialista, eco socialista, libertaria, sovranista oltre a organizzazioni e movimenti sociali e territoriali che hanno deciso di rompere con la subalternità dimostrata da Tsipras.
Manolis Glezos, in alcuni dei suoi interventi, ha perorato la causa del voto per Unità Popolare – nelle cui liste è candidato – ma anche per il Partito Comunista che invece accusa la formazione di Lafazanis di costituire un sostanziale imbroglio per impedire l’ascesa del KKE e di essere corresponsabile delle ambiguità e delle scelte che hanno portato al disastro di luglio. Di fatto il messaggio che i comunisti mandano all’elettorato deluso di Syriza è “Li avete provati. Ora la soluzione va cercata nel rovesciamento del sistema sostenendo il KKE”.
“Ci rivolgiamo a quanti fra voi in questi anni hanno avuto fiducia nei vari governi, monocolore o di coalizione che fossero, di gestione del sistema, governi di "centro-destra", "centro-sinistra" e "di sinistra", e hanno visto susseguirsi un memorandum dietro l'altro. In queste elezioni, non concedete ai partiti che hanno firmato i tagli a salari e pensioni, i peggioramenti nei rapporti lavorativi, l'aumento delle tasse, la riduzione dei sostegni a welfare e sanità e delle risorse per l'istruzione, la bancarotta dei piccoli contadini e dei lavoratori autonomi, il diritto di dire che il popolo ha acconsentito, ha votato il suo massacro e che è d'accordo sull'inevitabilità del memorandum permanente” ha scritto a fine agosto il Comitato Centrale del partito in un appello al voto.
“Ci rivolgiamo a quelli di voi che negli anni passati hanno lottato contro il memorandum, che credevano che votando NO al recente referendum li avrebbero fermati e che oggi vedono SYRIZA portarne un terzo, anche peggiore. (…) Ha utilizzato le diverse tendenze e "piattaforme", il suo presunto pluralismo democratico, alimentando illusioni in ogni direzione, per la sua "sinistra" come per la sua "destra". Ha trasformato i militanti attivi in spettatori passivi di ogni incombente confronto elettorale”.
E ancora: “Ora avete una prova tangibile e inconfutabile che dimostra come nessun governo possa seguire una linea politica a vantaggio del popolo dentro la cornice dell'UE e della strada a senso unico del capitalismo. Il capitalismo e le sue unioni internazionali, come l'UE, non possono cambiare natura a seguito di trattative, referendum e presunti governi di sinistra. Qualsiasi governo operi sul terreno dell'economia capitalista è tenuto ad osservarne le immutabili leggi antipopolari, che esigono il sangue del popolo al fine di rafforzare la competitività, la redditività e gli investimenti del capitale. (…) Il KKE è stato l'unico partito ad aver presentato in parlamento un progetto di legge per l'abolizione del memorandum e delle leggi applicative, che non è stato mai portato in discussione o in votazione, cosa per cui tutti i parlamentari di SYRIZA, compresi quelli che ora se ne sono divisi, e il presidente del parlamento sono responsabili”.
L’appello del KKE comprende un esplicito affondo nei confronti dei diretti concorrenti di Unità Popolare: “Non bisogna fidarsi del partito che si è diviso da SYRIZA con il nome di "Unità Popolare" e della sua cooperazione con gli altri fuoriusciti da SYRIZA, come il Piano B, che fungono da ammortizzatori. Hanno finora giocato una parte fondamentale nell'inganno del popolo della sinistra radicale, e continuano a farlo oggi. Si tratta di un'imitazione di SYRIZA che sortirà lo stesso esito. (…) Hanno sostenuto, come membri del parlamento, tutti i passi preliminari al nuovo memorandum (l'accordo del 20 febbraio, la proposta Tsipras di 47 pagine, ecc). Sono rimasti in silenzio quando Tsipras affermava che la posizione della Grecia nell'UE e nella NATO non è negoziabile, quando giurava fedeltà al capitalismo, alla Federazione degli industriali greci, nelle varie sedi del capitale internazionale. E oggi, si presentano come chi è stato "ingannato" (…). "Unità Popolare" è al 100% un partito sistemico, come i partiti sistemici di sinistra che esistono in Europa e che sono responsabili dell'assimilazione del movimento operaio nel sistema. Il loro sostegno al sistema imperialista e al capitale è celato dietro la retorica anti-memorandum”.
E’ evidente che non esiste alcuno spazio di collaborazione, almeno in questo quadro, tra due forze molto diverse nella concezione della società e della battaglia politica ma che sostengono fondamentalmente una lotta contro lo stesso nemico. Dopo le elezioni di domenica nel parlamento di Atene – sempre che Unità Popolare superi lo sbarramento del 3% - i deputati favorevoli all’uscita di Atene dall’Eurozona e dalla Nato e alla rottura con l’Unione Europea potrebbero sfiorare il 10%.
Una buona base dalla quale partire, a condizione però di riuscire a mettere da parte reciproci settarismi, ostilità storiche e differenze oggettive per concentrarsi sugli elementi di analisi e di battaglia comuni che indubbiamente non mancano.
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