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19/09/2015

"Un sindacato non deve rinunciare mai all'internazionalismo": Intervista con Pierpaolo Leonardi

La Federazione Sindacale Mondiale e la Confederazione Generale dei sindacati di Siria, il 13 e 14 settembre scorso, hanno convocato una conferenza sindacale internazionale in solidarietà con il popolo siriano. Nonostante la guerra in corso nel paese, oltre 200 sindacalisti, provenienti da ogni parte del mondo e in rappresentanza di  milioni di lavoratori, hanno partecipato alla conferenza tenutasi a Damasco. La maggior parte dei sindacalisti proveniva dal mondo arabo, ma con una nutrita presenza dal resto del mondo – per l’Europa erano presenti, oltre all’Italia, la Francia, il Portogallo, Cipro, Grecia, Donbass (Ucraina) e Russia.
Significative le delegazioni sindacali della Turchia, dell’Iraq, dell’Egitto, della Libia paesi nei quali l'attività sindacale è tutt’altro che facile e molto spesso illegale o pericolosa.

Dall'Italia hanno partecipato due membri del Dipartimento Internazionale USB Cinzia Della Porta e Pierpaolo Leonardi, quest'ultimo anche in rappresentanza ufficiale della TUI PS&A, la categoria mondiale dei servizi pubblici della FSM, di cui è segretario generale. A Pierpaolo Leonardi abbiamo rivolto alcune domande.

Siete tornati da pochi giorni dalla Siria. Un luogo piuttosto pericoloso per tenere una conferenza sindacale. Come si sono conciliati i lavori di 200 delegati provenienti da molti paesi con la situazione di guerra tutta intorno a voi?

La conferenza si è tenuta in un complesso alberghiero, riaperto per l'occasione, a meno di venti km da Damasco in una situazione piuttosto protetta. Ci si arrivava solo attraverso la strada che collega Beirut a Damasco che è costellata di check point, tant'è che sia all'andata che al ritorno abbiamo impiegato, per fare 130 km, circa cinque ore. La conferenza comunque aveva ottenuto il patrocinio del presidente Bashar al Assad e questo ha fatto si che ci fosse un livello di sicurezza piuttosto elevato, anche se di tanto in tanto si sentivano tuonare i cannoni e dall'impatto acustico si direbbe fossero piuttosto vicini. Eravamo quindi in un posto 'sicuro' ma gli interventi ci hanno descritto un paese in cui i numeri di perdite umane ed economiche sono enormi: 5000 lavoratori hanno perso la vita, sono state distrutte 4000 scuole e 50.000 industrie hanno interrotto la produzione, le perdite economiche sono di 400 miliardi nel settore elettrico e altrettanti nel settore industriale pubblico, per riportare alcuni dati.

Che idea avete ricavato della situazione in Siria. Siamo ormai alla fine dei giochi oppure si intravede la possibilità che non si ripetano gli scenari di “regime change” libici e iracheni?
La situazione è senz'altro drammatica. Per quanto l'esercito Siriano metta tutta la propria capacità di mobilitazione il fronte è ormai molto ampio e difficile da tenere se non intervengono fatti nuovi come ad esempio l'intervento russo contro il Daesh. Fino ad ora, è ormai acclarato anche dalle dichiarazioni recentemente uscite sul Washington Post, gli Stati Uniti hanno limitato al minimo le loro sortite per contenere l'avanzata delle forze dello Stato Islamico, analogamente la cosiddetta coalizione non ha in alcun modo seriamente contrastato il Daesh nella speranza che comunque quest'ultimo si sarebbe accollato il lavoro sporco di far fuori le forze regolari della Repubblica Araba di Siria per poter poi procedere alla normalizzazione imperialista a cui puntano, senza nemmeno troppi giri di parole, gli USA e l'UE.

Quale valutazione danno i sindacati siriani sulla situazione del loro paese? 

Abbiamo letto che alcuni hanno criticato la decisione di chi fugge dal paese.
Il sindacato Siriano, General Federation of Trade Union, che ha ospitato la conferenza con grande capacità nonostante una situazione non certo facile, mantiene una consistente rete organizzata in tutto il Paese, le sue perdite sono state importanti ma continua a battersi per sostenere gli sforzi del governo nel respingere l'assalto del Daesh in nome e per conto dell'imperialismo statunitense che rimane il primo nemico dei siriani. Ovviamente chi fugge nella gran parte lo fa dai teatri di guerra, in particolare dalle città conquistate direttamente dal Daesh, ma c'è anche un pezzo di "aristocrazia operaia" di laureati, di tecnici specializzati che, pur vivendo in regioni sostanzialmente sicure come Damasco, scelgono di andare in Europa o comunque dove è per loro possibile vendere la propria professionalità. Su questo è stata espressa una certa comprensione, vista la drammaticità della situazione, ma anche un certo disappunto. E' giusto dare più enfasi a chi resiste e difende il proprio paese, molti interventi hanno sottolineato la forza e il coraggio dei lavoratori e del popolo siriano che, insieme, all'esercito e alle forze istituzionali lottano contro questa terribile aggressione. Hanno anche messo in evidenza che l'apertura, da parte dell'Europa, ai rifugiati ha l'obiettivo di creare una nuova forza lavoro in condizioni di maggiore sfruttamento e di arricchirsi di energie umane nuove.

Quanto è complicato o pericoloso fare attività sindacale in Medio Oriente? Avete discusso con i sindacalisti che agiscono in un'area così difficile per il lavoro sindacale?
Abbiamo incrociato sindacalisti provenienti da alcuni dei luoghi più disparati e pericolosi del pianeta, dalla Palestina all'Irak, al Donbass, alla Libia, alla Turchia ecc. In tutti abbiamo rilevato una grande determinazione ad andare avanti nel loro difficile lavoro di organizzare la classe sui propri bisogni nonostante non sempre questo sia possibile farlo come facciamo noi che operiamo in quella parte del mondo che sta dalla parte del grilletto piuttosto che della canna del fucile. Si legge anche la difficoltà, in particolare nel mondo arabo, di unificare lotte ed esperienze, basta dire che l'Irak era rappresentata da due folte delegazioni sedute a qualche decina di metri di distanza l'una dall'altra. Una espressione del mondo laico e progressista, l'altra del mondo religioso, ambedue affiliate al WFTU

Nel vostro resoconto affermate che c'è ancora poca consapevolezza sul ruolo nefasto giocato dall'Unione Europea nella guerra in Siria. E' così?
I nemici principali sono l'imperialismo statunitense e i suoi alleati. Su questo non esistono dubbi ne tentennamenti. Il ruolo dell'Unione Europea è emerso in maniera forte, sono emersi nella valutazione del fenomeno delle migrazioni, ma solo noi europei, in particolare noi, i greci, i ciprioti e i portoghesi abbiamo sottolineato il ruolo imperialista dell'Unione Europea. Temo che ai primi di ottobre, quando Hollande e Cameron avvieranno la loro campagna sulla Siria come già avvenuto in Libia, la percezione della funzione storica del polo imperialista europeo sia destinata a cambiare molto rapidamente.

Avete in programma di mandare una delegazione alla conferenza convocata dai sindacati a Lugansk, cioè in un altro teatro di guerra. Sulla base di quale valutazione l'Usb sta mettendo in campo queste missioni internazionali in zone così rischiose?

Abbiamo conosciuto i compagni del sindacato di Lugansk a Kathmandu durante i lavori del congresso mondiale del sindacato internazionale dei servizi pubblici (TUI PS&A) in cui sono stato eletto segretario generale della categoria mondiale. In quell'occasione hanno deciso di aderire formalmente alla TUI PS& A e quindi alla Federazione Sindacale Mondiale. I compagni hanno più volte sostenuto l'esigenza di far vivere la solidarietà internazionalista nel loro Paese e noi non ci siamo tirati indietro. Una nostra delegazione andrà quindi a Lugansk nelle prossime settimane, non appena risolti alcuni complicati problemi burocratici sulla concessione dei visti di transito da parte dell'ambasciata Russa, a rappresentare tutta la Federazione Sindacale Mondiale e i novanta milioni di lavoratori iscritti. Una importante responsabilità ma anche l'orgoglio di non rinunciare mai, anche in situazioni difficili, all'internazionalismo e alla solidarietà.

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