Premettiamo un passaggio: lontana da noi
qualsiasi sfumatura di livore verso Alexis Tsipras e Syriza. E tanto
più lontanta da noi la tentazione di dire che “l’avevamo detto” rispetto
a quanto è accaduto. L’Italia, e l’Europa, pullulano infatti di
fenomeni, sensitivi della previsione politica sui singoli passaggi che
riguardano gli eventi greci. Anche perchè tanto più la chiaroveggenza,
ad eventi conclusi, sembra essere caratteristica delle sinistre e dei
movimenti in Europa tanto più la paralisi politica nell’iniziativa
contro il neoliberismo è talmente palese da assumere, forza della
stagnazione, sfumature barocche.
Va detto con chiarezza: una condanna morale del comportamento di Syriza è un esercizio ridicolo.
La Grecia è, come ogni situazione eccezionale, un battello ubriaco,
quello dove, secondo le parole di Rimbaud che rendono l’omonima poesia
un testo politico, “imputridisce tutto un Leviatano”. Un battello
ubriaco dove il governo sfugge, la rotta scivola via, le tempeste
incalzano. Lo ricordiamo per suggerire che la politica è quello che è
anche per i suoi stessi attori principali: una dimensione spesso oscura,
incontrollabile e indisciplinatamente animale. La Grecia non sfugge a
queste regole meglio quindi evitare di applicare qui esercizi della
morale, la distribuzione delle ragioni e dei torti, la descrizione degli
errori fatti. Fatta poi da un paese, come il nostro, dove le destre
(palesi o reali) spadroneggiano da decenni, questa applicazione suona
tantomeno ridicola.
Tsipras si è quindi trovato in
mano, con le ultime elezioni, una vittoriosa sconfitta. Passiamo alla
parte vittoriosa della sconfitta. Da far invidia a dieci anni di
centrosinistra italiano. Syriza è andata alle urne, di fatto,
portando in dote il secco rovesciamento della vittoria elettorale di
gennaio e del referendum di luglio. Con partito e sindacati spaccati,
con vistosi arretramenti, se non sconfitte palesi, su ogni centrimetro
della vita politica greca: amministrazione, banche, economia, rapporti
di forza con l’Ue e l’eurozona. Nonostante questo l’alleanza Syriza-Anel
è stata riconfermata, con l’espulsione degli elementi critici,
confluiti nella sconfitta Unità Popolare, tutti da sinistra. La forte
astensione ha compensato la fuga da Syriza per cui, a conti fatti, tutto
è rimasto invariato. Il resto del paese è rimasto grato a Tsipras per
aver mantenuto aperti i bancomat dopo la fase acuta della crisi. Quanto
ai disillusi, si vedrà. Per meno di quanto accaduto in Grecia,
l’appoggio alla finanziaria neoliberista di Prodi e Padoa Schioppa (che
pretendeva di arginare, da destra, la montante marea che portò a Lehman
Brothers), la sinistra arcobanaleno italiana si dissolse mentre il PD
finì all’opposizione. Mantenendo quel piano di sovranità, che la Grecia
oggi non può esercitare, poi dissoltosi anche in Italia tra Berlusconi,
Monti e Renzi. Insomma Syriza e Tsipras, assieme ad Anel, sono
rimasti, senza cadere in mare, sul battello greco nonostante l’evidente
deriva che ha preso. Nonostante le tempeste dell’estate che
hanno evidenziato una palese giravolta, negli intenti di governo,
rispetto ai programmi con i quali si erano fatti eleggere (per non
parlare della vicenda del referendum).
Si tratta di tatticismo
vittorioso che è frutto di una sconfitta strategica. Oggi Syriza non
persegue alcuna lotta all’austerità, alcuna politica di rovesciamento
del liberismo. Sta esattamente al contrario della propria ragione
costitutiva. In politica si chiama sconfitta secca, il resto è
adattamento. Oggi sta praticando solo la politica di riduzione
del danno rispetto alle direttive di Eurozona, Bce e FMI (se
quest’ultimo vorrà entrare nella partita della vigilanza degli accordi
di luglio 2015). La campagna elettorale, non a caso, è stata quindi
condotta secondo criteri ambigui: tutte le parole d’ordine che potevano
rimandare alla logica della riduzione del danno (“tra 4 anni una Grecia
più forte” si sposa nella logica dei programmi di “aiuti” che in quella
di contenimento delle misure dell’“Europa”) ma che potevano anche
essere intese in termini anti-austerità sono state usate.
Il punto è che Tsipras ha
firmato accordi che prevedono che la Grecia diventi un laboratorio
neo-liberista dal punto di vista amministrativo, legislativo,
finanziario e dello “sviluppo sostenibile”. Ha firmato una road map di
passaggio delle risorse – dal pubblico al privato e dalla Grecia
all’”Europa” – di considerevoli dimensioni (50 miliardi di
privatizzazioni) con la pistola puntata alla testa delle risorse
finanziarie, e monetarie, in mano alla Banca Centrale Europea. Se
le rispetta, tra quattro anni di pubblico in Grecia non ci sarà nemmeno il
Partenone, con miriadi di disoccupati a giro come masse di zombie. Se non le rispetta si trova fallito, isolato e senza alternative.
Gli aeroporti, guarda caso, stanno già finendo in mani tedesche, le
banche saranno tutte ristrutturate dalle Bce e persino l’istituto di
statistica vedrà la sua stagione di commissariamento. Se c’è qualcosa di
vittorioso nella domenica di Tsipras c’è anche il forte, permanente
acre sapore della sconfitta che l’accompagna. La sovranità di Tsipiras
somiglia, secondo come la si guarda, a quella del Re Borbone ai tempi di
fra Diavolo: giusto uno spazio per piantare una bandiera.
Nei prossimi mesi il governo
Tsipras confida su due elementi, per diluire, al massimo possibile, la
sconfitta politica di quest’anno. Il primo è legato alla questione del
taglio del debito greco proposto dal FMI. Elemento di contrasto
con Ue e Bce, che deve fare gli interessi della banche tedesche e
francesi e di non si sa quanti hedge fund che hanno speculato sui
prestiti Bce alla Grecia, che per adesso non ne vogliono sapere. Tsipras
giocherà su questo contrasto c’è da giurarlo: ne va della sua
sopravvivenza. Altro elemento su cui il nuovo governo greco confida è il calendario elettorale: in autunno si vota in Portogallo e in Spagna.
Di sicuro la vittoria di Syriza ha fatto bene a Podemos, evitando di
isolarla in Europa, ora bisogna vedere chi vincerà in questi paesi e con
quali prospettive. Di sicuro tanto più Syriza rimarrà isolata tanto più
sarà costretta a una politica di riduzione del danno e basta. Qui o
sarà l’Europa a rompere l’assedio della Grecia o a quest’ultima rimarrà
solo la resa ad essere l’unica possibile riduzione del danno. L’autunno
dello scontento sociale greco sarà quindi un banco di prova importante
per il governo.
Non bisogna però prendersela con
i greci. Da un quarto di secolo la cosiddetta sinistra europea non ha
strumenti contro il liberismo. Non ha un lavoro politico articolato,
complesso e visibile a tutti in termini continentali. Non ha strumenti
forti di pressione politica europea. Ogni paese è lasciato ai
propri problemi interni di fronte a dispositivi tecnologici e
amministrativi – la borsa come la governance europea – di enorme
complessità e potenza materiale. Oltretutto la sinistra europea afferra
quell’oggetto che gli è oscuro, chiamato economia, convinta che con
qualche diritto in più e un po' di soldi stampati dalla Bce le cose si
accomodano. Eppure è il declino dell’economia europea, inteso come
meccanismo di produzione e di allocazione di risorse a livello
continentale, ciò che è alimentato dal liberismo. Ed è qualcosa che non
si supera con qualche mozione al parlamento europeo e con qualche misura
di Draghi. E nemmeno con la proposizione di un pacchetto di diritti che
si presuppone indipendente dal tipo di economia che lo eroga. Davvero
non si è capita la crisi dell’economia in Europa dall’ultimo quarto di
secolo ad oggi. Spesso si dimentica anche che razza di dispositivo
abbiamo davanti: pretendere di battere il neoliberismo con le armi
dell’oggi è come se la Spagna volesse riprendersi Cuba, persa nella
guerra del 1898, senza rendersi conto di quali evoluzioni tecnologiche e
militari hanno avuto gli Usa da allora ad oggi. Ma il vero problema è
che le armi dell’oggi presuppongono un arsenale ancora più scarso
domani. La vicenda della vittoriosa sconfitta di Tsipras, in materia,
qualcosa ci fa intravedere. Se si vogliono leggere i fenomeni. Se no,
tra un post su Facebook, un giro di mail imbelvito contro il traditore
Tsipras, una serie di link sui diritti da fantascienza che l’Europa
dovrebbe approvare “solo se l’opinione pubblica si facesse sentire”,
oppure una marcia scalzi e solidali tutto passa fino all’arrivo
dell’inverno.
Redazione, 21 settembre 2015
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