Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

01/09/2016

Brasile. Con l’Impeachment destra e Usa impongono le regole dello “Stato minimo”

Dopo tre giorni di estenuanti arringhe e catilinarie, il Senato ha legalizzato il progetto che le “eccellenze” della Casa Bianca avevano definito nel 2010 e che poi si è reso concreto, nel 2015, con l’Impeachment dell’ex-presidente della Camera dei Deputati, Eduardo Cunha, contro la presidentessa Dilma Roussef. Un vero colpo di stato di palazzo che conclude una fase politica, eroica e importante, che Lula e il PT hanno inaugurato nel 2003.

E’ finita la “telenovela” che la “TVGlobo” ha lanciato nel 2015, usando tutti gli argomenti del mercato per portare a termine il palinsesto, mentre per la scenografia, i registi globali della “Rua do Horto Botanico” (1) hanno usato gli elementi più visibili della borghesia brasiliana americanizzata, associati al fondamentalismo delle sette evangeliche “Made in USA” e ai nuovi colonnelli delle oligarchie dell’agro-business.

Una “telenovela” che è stata capace di registrare altissimi indici negativi (-64%) nei confronti della presidentessa Dilma Roussef e di quasi tutti i suoi membri di governo, nonostante i ministri chiave (Finanza, Economia, Agricoltura, Energia e Banco Centrale) stessero tutti nelle mani di autentici “Chicago Boys” (2) i quali, in realtà, hanno accelerato l’implosione del secondo governo di Dilma con l’introduzione dei programmi liberisti, con le rigide misure di austerità, più volte maledette e stramaledette dai lavoratori brasiliani e dalla classe media, gli unici che negli ultimi tre anni hanno dovuto pagare il peso del cosiddetto “ajuste fiscal” (nuovi aumenti di tasse e tariffe) e che nel futuro saranno le vittime predestinate del governo golpista di Michel Temer.

L’impeachment e gli obbiettivi strategici della Casa Bianca

Il “link” che unisce l’impeachment agli obbiettivi strategici della Casa Bianca non è certamente la semplice accusa di anti-petismo con cui i rappresentanti del Fronte Brasile Popolare, legati al PT, hanno cercato di mobilitare il “Povão”, cioè le tre grandi categorie sociali della povertà brasiliana: i disoccupati (13,5%), i lavoratori con contratto in nero (38%) e gli abitanti delle favelas (64%) delle megalopoli (SãoPaulo, Rio de Janeiro, Belo Horizonte, Porto Alegre, Salvador e Recife). Infatti, sia Lula sia Dilma hanno sempre salvaguardato i rapporti con gli USA sulle questioni puramente strategiche, quali per esempio: il centro aereospaziale di Alcantara, la rete radar per il controllo della frontiera amazzonica, l’accordo di cooperazione militare con il Comando Sud del Pentagono, gli accordi di cooperazione tra le Intelligenza CIA /ABIN (3) e DEA/Polizia Federale, gli accordi sulla “non produzione del sottomarino nucleare” e la “non-evoluzione” degli studi sulla fissione nucleare nell’ambito dell’ampliamento della centrale nucleare Angra-1 e la riattivazione dei progetti per le centrali Angra2 e 3.

Comunque, questo “link” è saltato quando il “neo-desenvolvimento lulista” (nuovo sviluppo lanciato nel 2003 dal governo Lula) avrebbe dovuto abbassare la testa per favorire il “american industry & technology look” cioè le multinazionali e i conglomerati statunitensi, che il lulismo ha combattuto non certo per vocazione militante anti-imperialista, ma perché questa era l’unica maniera per garantire uno spazio commerciale nel continente sudamericano e africano a quello che gli economisti André Singer(4) e Armando Boito Jr (5) hanno definito “capitalismo nazionale brasiliano”.

Infatti, il rapporto del Brasile con gli Stati Uniti si è definitivamente incrinato quando il governo lulista, nel 2004, ricapitalizzò la Banca per lo Sviluppo Industriale (BNDES) per concedere prestiti ai progetti di reindustrializzazione del capitalismo nazionale, offrendo speciali tassi d’interessi ribassati dal 12,7% fino al 5,5% e del 7,2% per il finanziamento della produzione destinata all’esportazione. Nello stesso tempo il BNDES finanziava dal 60% fino all’85% i progetti che le grandi industrie, pubbliche e private, dell’ingegneria e quelle energetiche, realizzavano all’estero.

In questo modo, visto che anche i governi argentini di Nestor e di Cristina Kircknner avevano messo in campo una serie di misure protettive per le industrie argentine, dal 2005 il 50% dell’export del Brasile e il 35% di quello argentino cominciò a essere direzionato nei paesi dell’Alba, in particolare verso il Venezuela. In questo modo il governo bolivariano di Hugo Chávez poteva, finalmente, sostituire il flusso d’importazioni gestite dalle imprese statunitensi con quelle brasiliane, argentine e cinesi. Nello stesso tempo le imprese di ingegneria brasiliane, in particolare la privata Oderbrecht e la pubblica Petrobrás, sbancavano le grandi imprese yankees vincendo le principali gare di appalto in Equador, Bolivia, Uruguay, Venezuela, Angola, Botswana, Mozambico, Nigeria e via dicendo.

Comunque, i progetti brasiliani che hanno provocato una crisi di nervi senza precedenti nella Sala Ovale della Casa Bianca furono

a) la costruzione del porto commerciale a Cuba;

b) l’inizio degli studi di prospezione della Petrobrás per l’identificazione di giacimenti di petrolio e gas nella crosta geologica di Cuba;

c) gli accordi che la Petrobrás fece con la PDVSA del Venezuela sul trasferimento di tecnologia per lo sfruttamento dei fondali bituminosi nella regione amazzonica dell’Orinoco;

d) la progettazione e la costruzione di un oleodotto per trasportare il petrolio estratto nella “Bacia Amazonica del Orinoco Inferior” (Area di prospezione del Basso Orinoco venezuelano) fino al nuovo porto petrolifero del nordest brasiliano nello stato di Pernambuco.

Se poi consideriamo che, a partire del 2006, gli impresari brasiliani, grazie ai finanziamenti quasi illimitati del BNDES, avevano iniziato a penetrare anche nel Perù, dove gli USA erano in pratica egemoni dal punto di vista commerciale e militare con la presenza di otto basi miliari, per la Casa Bianca la presenza politica e commerciale del Brasile lulista fu considerata “…del tutto ingombrante”.

Per questo, per fermare l’espansionismo brasiliano – che alcuni analisti trozkisti, erroneamente definirono “sub-imperialismo regionale” – la soluzione implicava l’affossamento del”neo-desenvolvimento lulista”. Infatti, come diceva l’antico ambasciatore statunitense Vernon Walters, ovvero la mente del colpo di stato del 1964 ”…dove va il Brasile, andrà anche l’America Latina, di modo che ogni azione sulla congiuntura brasiliana poi si rifletterà anche su quella sudamericana…”. Di conseguenza, dopo il colpo di stato in Brasile del '64 vennero a catena quello dell’Uruguay, dell’Argentina, del Cile e della Bolivia!

Per questo l’accerchiamento finale del Venezuela bolivariano doveva essere preceduto dal rafforzamento della presenza militare degli USA in Perù, Paraguay e Colombia e dallo scardinamento della struttura commerciale argentina; e soprattutto quella brasiliana che sarebbe divenuta possibile solo con la sconfitta del kirchennerismo argentino e del lulismo brasiliano.

Il ritorno del liberismo

L’attacco degli USA al Brasile, in termini politici regionali cominciò con l’impeachment contro il presidente del Paraguay, Fernando Lugo, reo di aver negato uno sconto di 200 milioni di dollari alla multinazionale statunitense Rio Tinto e di aver messo in discussione la presenza dei 1500 “marines” nei progetti dell’USAID nel nord del Paraguay e lungo la frontiera con il Brasile.

Invece, in termini di visione geostrategica continentale, con la perdita della base operativa di Manta in Ecuador, da sempre rivendicata da Rafael Correa, l’attacco sovversivo promosso dalla Casa Bianca contro il governo del PT brasiliano cominciò nel 2006, quando il Pentagono tracciò nell’America Latina una linea di attacco nei confronti del Venezuela. Questa aveva il suo epicentro direttivo nel Perù e i bracci operativi nelle basi della DEA in Colombia. Uno schema bellico che però prevedeva, prima di tutto, di disarticolare politicamente i governi progressisti del Paraguay e dell’Argentina, per poi sferrare l’attacco al governo di Dilma Roussef, isolando definitivamente il Venezuela bolivariano del presidente Maduro.

Per questo in Brasile l’attacco mediatico della “TVGlobo” divenne strategico per l’imperialismo, poiché sviluppava due argomenti capaci di manipolare all’unisono differenti settori della società brasiliana per creare in questi un profondo senso di disillusione e rabbia con il PT e soprattutto nei confronti di Dilma. Infatti con molta arte grafica e una dose di grande professionalità, la“TVGlobo” riusciva a presentare:

a) l’anti-petismo come sinonimo di lotta al comunismo infiltratosi nelle file del PT, in particolare con Dilma, storicamente conosciuta come un’ex-guerrigliera comunista, anche se poi fu recuperata dalla logica socialdemocratica del PDT e poi del PT lulista;

b) la denuncia dell’incapacità dei governi di Dilma di gestire la crisi economica e di averla fatta esplodere con l’introduzione dell’austerità fiscale e degli aumenti delle tariffe pubbliche.

Un argomento che la “telenovela” della “TVGlobo” ha trasformato in una critica interclassista, che durante un anno ha conquistato le “Dona Maria” delle favelas brasiliane, fino alle artefatte “Senhora Dulcineia” dei quartieri dei nuovi ricchi. In questo modo il successo delle preferenze elettorali di Dilma nel 2010 (64%) è sceso fino a un misero 8%, nel mese di aprile del 2016.

Cioè, senza il grande lavoro di “sensibilizzazione mediatica” realizzato dalla “TVGlobo”, il progetto di destabilizzazione del governo lulista di Dilma Roussef disegnato dalle “eccellenze” della Casa Bianca non avrebbe incontrato tanti fattori in suo favore. Lo stesso si può affermare per l’Argentina, dove senza l’interferenza del gruppo mediatico “Clarim” il liberista Maurizio Macri non sarebbe stato eletto. Ugualmente in Paraguay senza gli scoop scandalistici e, soprattutto falsi del gruppo mediatico “ABC Color” il “Partido Colorado” non avrebbe potuto giustificare la richiesta di impeachment nei confronti del presidente Fernando Lugo.

Il nuovo Stato liberista brasiliano
Purtroppo quell'82% di brasiliani che dissero sì all’impeachment e quel 40% di “Povão”, che non è voluto scendere in piazza contro i golpisti, nei prossimi giorni capirà l’errore che ha commesso, giacché le stesse misure di austerità fiscale introdotte dai ministri “Chicago Boys” di Dilma saranno mantenute e, certamente, ampliate dall’attuale governo del golpista Michel Temer.

Inoltre, quella parte di “Povão” che oggi sopravvive con gli assegni dei cosiddetti "progetti di solidarietà nazionale” dei governi lulisti – e che il 20 luglio e poi il 16 agosto è rimasto in chiuso in casa o nelle chiese dei pastori evangelici, facendo finta di non aver ascoltato la convocazione per lo sciopero generale che João Pedro Stedile dell’MST lanciò contro il colpo di stato – certamente questa parte di “Povão”, sarà quella che il governo di Michel Temer "premierà" tagliando il 75% dei progetti di assistenza sociale.

Ma anche i commercianti e i piccoli industriali che hanno creduto nella falsa fedeltà alla Costituzione degli uomini del PMDB e, soprattutto del PSDB, capiranno l’errore commesso, poiché con il nuovo governo il Brasile tornerà a essere inquadrato nella sfera della dipendenza degli Stati Uniti. Il che in pratica comporterà un taglio all’attività dell’industria nazionale con il ritorno delle importazioni con l’innegabile aumento di disoccupati e l’abbassamento delle vendite nel commercio.

Ma sarà nel settore energetico che il governo golpista realizzerà privatizzazioni scandalose come quelle che il presidente Fernando Henrique Cardoso (FHC) fece negli anni novanta, quando realizzò la vendita del poderoso gruppo minerario statale “Vale do Rio Doce” per soli 1,8 miliardi di dollari, nonostante le sole imprese per l’estrazione di oro, ferro, bauxite, uranio e altri minerali rari valessero quasi undici miliardi di dollari!

Oggi, è l’attuale ministro degli esteri del golpista Temer, Josè Serra, – anche lui del PSDB – che ha già promesso a Barak Obama la privatizzazione del Pre-Sal”. Vale a dire le venticinque aree dell’Off-Shore atlantico che la Petrobrás ha già preparato per pompare due milioni di barili al giorno fino al 2080!

A questo punto la maggior parte dei brasiliani sentirà nella pelle e nel portafoglio il peso di questo governo liberista. Una situazione che obbligherà il PT a rivedere la sua concezione interclassista, scegliendo di diventare un partito dell’ordine insieme al PSDB e al PMDB oppure appoggiare la logica della sinistra classista insieme alle altre forze del movimento popolare. Chissà se la decadenza del movimento sindacale, il settarismo della sinistra e, soprattutto, l’inconcludenza della classe politica “progressista” non determineranno la presa di coscienza rivoluzionaria da parte di quel nazionalismo che si sta formando nelle Forze Armate, …chissà!

NOTE:

1 – Rua do Horto Botanico è la strada del quartiere Horto Botanico di Rio de Janeiro, dove funziona la “Direção dos Projetos Estrategicos” (Direzione dei Progetti Strategici) della “TVGlobo” e dove sono tracciate le linee di attuazione dei segmenti informativi del gruppo “Rede Globo” (Organizzazione Globo), di proprietà della famiglia Marinho, vale a dire la “TV Globo”, la “Radio Globo”, l’agenzia “Globo News”, i giornali “O Globo” e “Extra”.

2 – Chicago Boys: è la terminologia che cominciò a essere usata nel 1974, quando dopo il colpo di stato in Chile i ministeri legati al mercato furono consegnati a individui legati alla scuola degli economisti liberisti di Chicago, da cui il nomignolo “Chicago Boys”.

3 – ABIN: è la sigla della centrale dei servizi segreti brasiliani civili. Infatti le tre armi delle Forze Armate – come ai tempi della dittatura – continuano ad avere un proprio “servizio di informazioni riservate”, formato da: informazioni generali, spionaggio interno, spionaggio esterno, controspionaggio e intelligenza. Tra i servizi segreti militari e l’ABIN esiste una discreta collaborazione, ma non eccellente, poiché nelle Forze Armate esiste una grande tendenza nazionalista che da una grande importanza alla difesa della sovranità. Invece il personale impegnato nell’ABIN – in gran parte reclutato nella Polizia Federale -, è perfettamente integrato nel concetto di ubbidienza alla CIA e quindi agli orientamenti politici espressi dalle “eccellenze” della Casa Bianca.

4 –André Singer: teorico del “neo-desenvolvimentismo lulista”, professore titolare del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di São Paulo e autore dell’analisi “Lulismo e alleanze di classe all’interno della crisi capitalista 2014/16,” realizzato per il Cenedic (Centro de Estudos dos Direitos da Cidadania).

5 – Armando Boito Jr: professore titolare dell’Università di Campinas “Unicamp” dello stato di São Paulo, nel 2015 presentò in un seminario realizzato nell’Università Federale di Paraiba (UFPB) il testo analitico “ Cisi del Brasile e l’offensiva restauratrice del capitale internazionale”, in cui era analizzata la nuova struttura del capitalismo brasiliano e delle rispettive vertenti sociali (borghesia nazionale, borghesia americanizzata, classe media alta, nuova classe media bassa etnica), nuove oligarchie dell’agro-business, multinazionali e conglomerati finanziari.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento