Così la stampa del gennaio 2015 dava notizia dello scandalo delle strutture di “accoglienza”: “Quasi trecento rom sono ospitati in condizioni disumane all’interno di una struttura gestita dalla cooperativa sociale “InOpera” a Roma, in un edificio posto vicino al Grande raccordo anulare. Ironicamente il centro si chiama “Best House”, casa migliore, anche se l’alloggio offerto alle persone sgombrate dai campi è tragico. 288 persone di etnia rom, metà bambini, vivono in un edificio degradato, un capannone industriale riadattato, con stanze senza finestre dove dimorano sette persone in media. I bagni sono in comune e non sono praticamente mai puliti, con wc senza chiavi, docce senza protezione e porte sfondate”. (1)
A quanto si legge, nella “Best house” non si poteva cucinare, dopo le 23,00 non si poteva uscire e a nessuno era consentito ricevere visite. “Chi non rispetta le regole è fuori; lo è anche chi denuncia cosa accade all’interno. L’edificio è blindato per evitare di far trapelare al di fuori la condizione di vita di nuclei stipati in “loculi” di 12 mq dove non si respira e l’unica luce che si vede è quella prodotta dai neon” così come fu accertato dal presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Luigi Manconi.
Ma solo nel 2014 questa specie di lager “era costato circa 2,8 milioni di euro, pari a una spesa di 650 euro al mese per ogni ospite, mentre per una singola famiglia, dalla nascita del centro, il Comune aveva speso oltre 150 mila euro. Il 93% delle risorse è stato usato per la sola gestione della struttura mentre nulla è stato destinato all’inclusione sociale. Dei quasi 3 milioni di euro non un centesimo è andato ai rom” (2).
La struttura era nata nell’estate 2012 con una determinazione a firma del dirigente comunale Angelo Scozzafava, implicato nello scandalo Mafia capitale come uno dei referenti di Buzzi e Carminati e accusato di associazione mafiosa e corruzione aggravata (3). Buzzi, lo ricordiamo, in una delle intercettazioni che dettero via l’inchiesta parlava dei rom e degli immigrati come delle “galline dalle uova d’oro”, un affare più lucroso dello spaccio di droga.
Nel giugno del 2015 l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha chiesto al Comune di Roma una giustificazione circa i reiterati affidamenti diretti di breve durata alla cooperativa “InOpera” nonché circa la mancanza di una opportuna pubblicazione a livello comunitario degli stessi affidamenti, contravvenendo così al principio di trasparenza». L’ANAC parlava di «un pressoché generalizzato ricorso a procedure sottratte all’evidenza pubblica, in alcuni casi addirittura spregiudicato: un lucido escamotage verso un percorso di distorsioni anche di carattere corruttivo» (4).
Ma non basta: nel febbraio 2016 vengono chiuse su iniziativa dei NAS sette case di accoglienza in Irpinia, alcune delle quali gestite dalla cooperativa “InOpera”, che Repubblica definisce come “coinvolta in Mafia Capitale”. Il quotidiano parla di: “Derrate alimentari in condizioni di pessima conservazione; ambienti con seri problemi strutturali e di sicurezza; carenze anche vistose dal punto di vista igienico-sanitario: questa la situazione che i carabinieri dei Nas di Salerno, insieme ai militari delle Compagnie di Avellino e Baiano hanno riscontrato nel blitz, scattato in mattinata, che ha portato al sequestro di sette centri che in provincia di Avellino ospitano gli immigrati richiedenti asilo. L'inchiesta, coordinata dalla procura del capoluogo irpino, ha fatto anche emergere gravi inadempienze dei titolari delle cooperative, indagati insieme a fornitori di beni e servizi, rispetto al capitolato d'appalto previsto dalla prefettura di Avellino (5).
La cooperativa “InOpera” ha in appalto la gestione della struttura per i rifugiati nota come Sant’Anna, che si trova in Venezia. Almeno fino ad oggi perchè nei prossimi giorni subentrerà un'altra società. La cooperativa aveva vinto un bando da 840mila euro nell’estate del 2014, superando vari soggetti locali (ARCI, CESDI, Caritas, Misericordia ecc.) che intendevano proporsi come gestori, ma che non avevano una struttura di appoggio. Mentre “InOpera” aveva potuto contare sul Sant’Anna, evidentemente in accordo con gli enti religiosi proprietari che dunque devono essere chiamati anche loro a rispondere di quanto sta accadendo. “Vergognoso arricchirsi sui profughi” aveva dichiarato il presidente dell’ARCI.
Quest’oggi, gli ospiti della struttura hanno protestato con forza per la mancata corresponsione dei 2,50 euro giornalieri che gli spettano per le piccole spese quotidiane: gli unici soldi che vanno a loro dei famosi 35-40 euro al giorno che tanto scandalizzano i leghisti e compagnia cantante. Una sottrazione che avviene da così tanto tempo che il credito di ognuno è ormai arrivato oltre i cento euro. Ma c’era anche un altro motivo della protesta: il fatto che l’acqua è stata staccata perché il gestore non ha pagato neanche la bolletta. A Livorno forse qualcuno non c’è abituato, tanto è vero che nessuno ha aperto bocca quando la città è rimasta a secco qualche anno fa.
Ma comunque, il succo è che quei famosi 35-40 euro non vanno agli immigrati, ma a cooperative di italiani che il più delle volte se li mettono in tasca senza neanche provvedere alle spese per l’ordinaria amministrazione delle strutture.
Non è stato un fulmine a ciel sereno, perché proteste dello stesso tenore erano state inscenate dagli ospiti della stessa struttura già in passato. Ma né queste proteste, né le preoccupanti notizie che abbiamo riportato, avevano finora portato alla revoca da parte delle prefettura dell’incarico alla cooperativa romana.
Una brutta storia, che fa emergere tutta l’inadeguatezza del sistema di accoglienza ai profughi e richiedenti asilo messo in piedi dal governo e dalle prefetture. Le persone vengono inviate nelle varie destinazioni senza alcuna consultazione con le comunità locali, senza concordare le sedi delle strutture di accoglienza, senza neanche dare modo all’associazionismo o ai servizi socio-sanitari di predisporre un’assistenza adeguata.
E spesso, come nel caso del Sant’Anna, sul territorio non resta neanche una parte dei fondi governativi per l’emergenza.
Le strutture spesso vengono ricavate da vecchi alberghi in disuso, che società di comodo trasformano frettolosamente da ruderi fatiscenti in case “di accoglienza”. Alcune di queste, a quanto ci risulta, non hanno neanche il riscaldamento e ci sarà da vedere cosa succederà ai primi freddi invernali. Altrove non c’è la rete e per chi ha solo il telefono per rimanere in contatto con la famiglia non è per niente un lusso come per i maniaci dei selfie.
Ma non è soltanto un problema di strutture: i richiedenti asilo non possono lavorare, e di conseguenza vengono trattati da vagabondi. Se lavorassero, direbbero che rubano il lavoro agli italiani. Nessuno li vuole ma il paradosso è che neppure loro vogliono stare qua: per loro l’Italia è solo un ponte per arrivare in Europa, in Germania, in Francia, destinazioni sempre più comuni anche per i giovani italiani. Tutti se ne vogliono andare, tanto è vero che nelle ultime statistiche il flusso degli immigrati, fra ingressi e uscite, si è praticamente ridotto a zero. Ma nell’incredibile dibattito politico del paese di Totò, accade di sentir parlare 23 ore al giorno dell’emergenza immigrazione.
E non c’è canale televisivo che ad ogni notizia sull’immigrazione non aggiunga l’opinione di Salvini, come se fosse chissà quale antropologo o sociologo. In pratica gli stessi media che da una parte si dichiarano a favore dell’accoglienza hanno pensato bene di sfruttare la situazione per creare un’opinione pubblica xenofoba e far dimenticare i problemi reali che stanno alla base anche di questo fenomeno. Compreso il fatto che i bilanci degli stati sono quotidianamente tagliati per scuola, sanità e assistenza, e quindi anche quelli per l'integrazione lasciando il tutto al caso.
E la questione dei rifugiati rischia di diventare davvero ingestibile: se continua la strategia del “caos controllato” (ma neanche tanto controllato) in Medio Oriente e la distruzione dell’ambiente con la creazione di centinaia di milioni di “rifugiati climatici”, il flusso dei profughi potrebbe stabilizzarsi su livelli molto alti e provocare un terremoto sociale e politico in Europa, dove il peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari potrebbe innescare (e in parte lo sta già facendo) un processo di individuazione di un capro espiatorio e di fascistizzazione di massa. Perché è chiaro che oggi il tema dell'immigrazione è il miglior scudo per un sistema che è ormai un malato terminale, ma che grazie a questo scudo concentra rabbia e sfoghi di una parte di popolazione che non protesta mai per nulla, come da tradizione di una buona parte di abitanti di questa penisola.
Noi lo abbiamo scritto ormai molto tempo fa: non crediamo sia una soluzione trasferire tutti gli abitanti della Siria o dell’Iraq in Norvegia o in Irlanda. La soluzione è la fine della politica neocolonialista di rapina delle risorse naturali e un grande piano per il sud del mondo che porterebbe reddito e benessere sia ai paesi ricchi che a quelli poveri. Il resto sono chiacchiere da bar.
Redazione, 5 settembre 2016
NOTE
(1) Fonte: www.gadlerner.it, 27.01.2015
(2) (3) Fonte: Il Fatto Quotidiano 29.11.2015
(4) http://www.21luglio.org/tag/inopera
(5) Repubblica.it, 13 febbraio 2016
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