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06/09/2016

Sulla vignettaccia di Charlie Hebdo: domande e risposte

Il vignettista francese sghignazza da cinico e/o cazzaro e/o stronzo (decidete voi) secondo il gradiente A) satira > B) cinismo > C) fare il cazzaro > D) fare lo stronzo > E) sfottò fascistoide. Gli italiani che s’indignano per questa vignettaccia ne hanno tutte le ragioni; ma non bisogna invocare la censura come stanno facendo certi: libero lui di fare la testa di cazzo, liberi noi di dargli della testa di cazzo. La satira è un giudizio innanzitutto su chi la fa.

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Questo mio commento ha suscitato reazioni, obiezioni e domande che rivelano una certa confusione pubblica sulla satira e sui suoi fondamentali. Replico qui. Grazie a chi ha dialogato con me.

1) “La satira non è giudicabile.” Sbagliato. La satira è un punto di vista. In quanto tale, è opinabile. Lo è inevitabilmente. La satira nasce con Aristofane come giudizio sui fatti, assumendo nelle sue commedie la forma di un processo o di una gara o di una decisione: l’esito della vicenda esprimeva il giudizio negativo di Aristofane su questo o quel personaggio. Ogni atto satirico è l’esito di una decisione/giudizio dell’autore e rivela la sua cultura e la sua ideologia. Allo stesso modo, possiamo condividere il giudizio negativo di Aristofane sul demagogo Cleone e non condividere quello su Socrate: è il giudizio sul contenuto satirico e dipende dalla nostra cultura e dalla nostra ideologia.

2) “La satira può essere giudicata solamente dalle intenzioni dell’autore.” Sbagliato. L’intenzione dell’autore non conta. Pensare che sia rilevante è un errore di ragionamento piuttosto comune, ma in Italia non si insegna a riconoscerlo, a differenza di quanto accade nel mondo anglosassone, dove venne individuato negli anni ‘30: si chiama fallacia intenzionale ed è, come altre cose non più accettabili, un retaggio del Romanticismo.

3) “Il vignettista francese non ce l’aveva certo con le vittime.” Altra fallacia intenzionale. Come un risultato artistico può non corrispondere alle intenzioni dell’artista, così un satirico può scivolare via dalla satira (colpire il carnefice), in direzione dello sfottò fascistoide (colpire le vittime di un carnefice), attraverso qualcuno dei tre momenti psicologici che li separano: cinismo (mostro insensibilità al dolore altrui), fare il cazzaro (banalizzo il dolore altrui), fare lo stronzo (scherzo sul dolore altrui).

4) “La vignetta denunciava il malaffare italiano.” Altra fallacia intenzionale. Non si può attribuire alla vignetta un bersaglio che nella vignetta non c’è. E quelli di Charlie Hebdo sapevano che si trattava di una vignetta immonda, infatti l’hanno pubblicata nella pagina delle “vignette impubblicabili”: una vecchia paraculata che però qui non è bastata a frenare la giusta indignazione. Altra paraculata: la vignetta riparatoria dove si fa riferimento alla mafia. Riferimento che non c’è nella prima vignetta. Hanno sbagliato. Succede.

5) “Tu mi hai insegnato l’irriverenza. La satira deforma, informa e fa quel cazzo che le pare. L’hai detto tu.” Hai imparato l’irriverenza, ma non il corollario, l’assumersi la responsabilità dei propri atti satirici. La satira fa quel cazzo che le pare e non può essere censurata, ma questo non significa che sia infallibile, immune da critiche. Può diffamare o fare apologia di reato, ad esempio, e allora interviene la legge. Oppure può diventare un’altra cosa e farsi beffa di vittime, e allora interviene la riprovazione sociale. In quella vignettaccia c’è solo sghignazzo. Atroce perché fatto sui morti. Se ti piace questo genere di cose, questo dice molto su di te. La vignettaccia contiene un errore tecnico e una perversione ideologica. Mauro Biani, sul manifesto, ha ben riassunto l’errore tecnico con questa battuta: “C’è un francese, un italiano e un tedesco. Viene il terremoto. L’italiano pasta, il francese senza bidet, il tedesco freddo.” Pascalino Miele invece ha evidenziato la perversione ideologica con un esempio di possibile vignettaccia sulle stragi in Francia: una foto dei cadaveri al Bataclan con la didascalia “Fois gras”. (In questo caso sarebbe sfottò fascistoide perché si schiera implicitamente con i terroristi carnefici.) Fu ben diversa la vignetta che Charlie Hebdo pubblicò dopo quella strage. Lo sfottò grottesco (di quelli che suscitano la risata verde ) era contro i terroristi, non contro le vittime:


Questa vignetta abbraccia le vittime in un “noi” che invece manca nella vignettaccia sulle lasagne: chi ha parlato in proposito di “razzismo” non aveva torto.

6) “La satira ha tutto il diritto di disturbare. Quella vignetta ha disturbato, quindi è stata satira efficace.” Sbagliato. Quella vignettaccia ha disturbato perché sbeffeggiava delle vittime, non perché fosse satira efficace. Certo, l’ideologia personale interviene a formare i criteri di giudizio: sbeffeggiare le vittime per me è sbagliato e chi lo fa è una testa di cazzo. Per te no? Significa che moralmente siamo agli antipodi. Prendiamo un altro tema d’attualità: i preti pedofili. E’ satira la vignetta contro i preti pedofili; non è più satira se sbeffeggia i bimbi molestati. Oh, nel secondo caso la vignetta certo creerebbe uno scalpore enorme, ma sarebbe la giusta indignazione contro una cosa ripugnante. Godere della vignetta che sbeffeggia i bimbi molestati ti schiera coi preti pedofili. Non credo che approveresti. Se sì, stai confondendo la satira con ciò che non lo è. Oltre che essere una testa di cazzo.

7) “Qual è la reazione corretta a una vignetta/battuta satirica?” Non esiste la reazione “corretta”: ogni reazione dipende dalla propria ideologia e dalla propria cultura. Per questo lascio l’interpretazione soggettiva a voi (cinico e/o cazzaro e/o stronzo). L’interpretazione oggettiva parte invece dagli elementi presenti nella vignetta/testo (quella vignettaccia non è né satira né sfottò fascistoide). Senza dimenticare che l’arte ha sempre una certa dose di ambiguità, e questo spiega i volumi di critica letteraria. La mia è una delle interpretazioni possibili: la sostengo con argomenti.

8) “Come può essere immediata la risposta del lettore medio se ci vogliono 4 lauree per capire, analizzare, contestualizzare il tutto?” Se la battuta è tecnicamente riuscita, c’è un primo livello comico al quale tutti rispondono in modo immediato con la risata. La competenza critica è richiesta per l’analisi, ad esempio quando un satirico si allontana dalla satira e va nella direzione dello sfottò fascistoide, come in questo caso. L’indignazione popolare alla vignettaccia dimostra però che anche la critica può avere una sua immediatezza.

9) “Il giornalista Buttafuoco ha condannato la vignetta parlando di empietà. Sei d’accordo?” No. La definizione di Buttafuoco esprime la sua ideologia (è un apologeta del fascismo che di recente si è convertito all’Islam) e quella definizione gli è servita in passato per condannare la satira anti-religiosa di Charlie Hebdo. La satira è anti-ideologica: se ti appelli all’empietà finisci per condannare tutta la satira. Buttafuoco suggerisce inoltre che la risposta all’empietà satirica dev’essere l’indifferenza. In questo modo però toglie alla satira il suo valore. Non posso accettare neanche questo.

10) “E Andreotti che si eccita a guardare il corpo di Moro pieno di proiettili? Vorrei capire perché quella era satira e la vignettaccia di Charlie Hebdo no.” Quando sei nel dubbio, chiediti sempre: “Chi è il bersaglio?” In quel racconto, il bersaglio non era la vittima (Moro) ma i suoi carnefici. Era un racconto di satira grottesca, fu letto in un teatro di Genova e suscitò emozione e applausi. La polemica fu creata il giorno dopo da un’agenzia ANSA che raccontava, mentendo, di un attore in scena che sodomizzava il cadavere di Moro. Mostrai il filmato della serata e la polemica diffamatoria si spense. Altro caso: durante il sequestro Moro, il Male pubblicò la foto BR di Moro in prigionia aggiungendo la didascalia: “Scusate, abitualmente vesto Marzotto.” Come ho spiegato in “Mentana a Elm Street” , quella non era più satira, ma sfottò fascistoide: sbeffeggiava la vittima vera di carnefici veri. Secondo me, ovviamente. Secondo quelli del Male, no. E si torna al discorso delle differenze ideologiche.

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