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05/10/2016

Clamoroso: il Financial Times molla Matteo Renzi


All’inizio furono i buoni uffici di Davide Serra, fondo Algebris e tessera PD, il finanziere che è stato ripagato con un inside trading che ha permesso di guadagnare sul rialzo delle popolari dopo un decreto e sul crollo di Mps dopo una serie di misure interne.

Renzi andava bene sul Financial Times: prometteva di fare la sponda liberista a Cameron, un approdo italiano per i capitali in cerca di affari e di essere un bastione contro l’austerità tedesca (quella che, nella lettura angloamericana della crisi impedisce la proliferazione dei capitali). Insomma, un’Italia dove la città tipo è molto più simile a Manchester che a Pescara. Una apertura di credito, da parte del quotidiano finanziario londinese, di proprietà giapponese, nella speranza di una rottura definitiva con i rigidi assetti di quel blocco di potere che (dalle grandi opere al management bancario, all’amministrazione dello stato, al ceto politico) è visto come un impedimento per un compiuto sbocco della globalizzazione in Italia.

In effetti Matteo, per compiacere quel mondo, di diplomazia ne ha messa tanta. Solo che il renzismo è un veloce movimento di parole, un compulsivo movimento di poteri quanto un immobile movimento politico. Tutta l’innovazione politico-finanziaria si è concretizzata nella richiesta di “flessibilità” a Bruxelles, qualche miliardata di sforamento del deficit per tirare a campare e Cameron, a suo tempo, è stato lasciato solo come uno Tsipras qualsiasi. La polpa che interessa alla City (dalle opere pubbliche, alle partecipate, alla spesa sanitaria) è rimasta o virtuale (vedi la vicenda della spending review) o in mano ai soliti soggetti. Per non parlare delle banche e dei tentativi, che alla City parranno davvero demode’, di mantenere i Patuelli (in oggetto ex segretario del PLI oggi presidente delle banche italiane) o i Profumo al timone degli istituti bancari.

Alla City piace un’Italia spartita tra grossi fondi di investimento non tra reduci di cene con Carrai e la Boschi. Eppure a capodanno 2015, dopo una decina di mesi di avventure del guitto di Rignano, Tony Barber, uno degli editorialisti più importanti del Financial Times tuonava convinto: “Renzi è l’ultima speranza per l’Italia”. Per non parlare del corsivo del Financial Times, sempre di Tony Barber, che campeggia sulle pagine del comitato del Si da luglio: “La salvezza dell’unione monetaria dipende dall’esito del referendum costituzionale italiano”. Insomma, sembrava tutto vero, specie se visto da un’Italia a reti unificate (grave problema democratico minimamente non affrontato) dove parla solo Renzi: da Matteo dipendono i destini dell’Italia e dell’Europa. Nemmeno De Gasperi aveva avuto tanta buona stampa nella City.

Ma, nel mondo finanziario di oggi, la regola è la volatilità e questo vale anche per la politica. Passano infatti solo quattro mesi e il salvatore dell’Italia e dell’Europa viene rappresentato dallo stesso Tony Barber, sempre sul Financial Times, come l’architetto di riforme costituzionali che “sono un ponte verso il nulla”!!! Da non credere se non fosse tutto vero. Barber punta il dito contro l’assetto dell’amministrazione pubblica, visto come simile a un mandarinato (impermeabile quindi alla City), l’apertura a Berlusconi sul ponte di Messina (conferma di un assetto di potere nelle opere pubbliche anch’esso impermeabile alla City) e intravede più rischiosa, per l’Italia, la crisi bancaria che il no al referendum (la verità, seppure rivelata con tardivo interesse). Oggi persino la vittoria di Renzi pare indigesta al quotidiano anglo-giapponese e all’editorialista che, ancora poche settimane fa, incoronava come novello Giovanni Sobieski (il salvatore dell’Europa dai turchi durante l’assedio di Vienna) proprio il presidente del consiglio italiano. Tony Barber, con la disinvoltura di un Alfano qualsiasi, oggi conclude infatti l’editoriale dicendo che una vittoria del “si” sarebbe un qualcosa di folle che salverebbe gli interessi tattici di Renzi e non quelli del paese.

E’ evidente che non c’è più un grosso fondo che crede, dal punto di vista strategico in Renzi, alla vigilia di tante mutazioni in Europa. E ricordiamo, se l’aumento dei tassi della Fed in dicembre avviene (il presidente della Fed di Chicago lo da come certo) e innesca una dinamica di rialzo dei bond italiani ci sarà da ballare parecchio, sul fronte del debito pubblico. Un ballo che, comunque vada, il Financial Times non vorrebbe fare con Matteo Renzi. Alla notizia è stata messa, ovviamente, la sordina. Al contrario se Tony Barber avesse finito di incoronare Renzi avremo visto la scena sulle consuete reti unificate. La saldatura Renzi-Mediaset-Rai non pare preoccupare un granché. Auguri comunque a tutti loro visto lo scenario.

Redazione

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