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16/10/2016

La “democrazia” ucraina e la fiaccolata neonazista

Non si sono ancora spente le fiaccole di quel migliaio di nazionalisti e neonazisti ucraini che a Kiev, il 14 ottobre (ma, nell'abbrivo della processione, le marce sono continuate anche ieri) hanno “celebrato” l'anniversario della fondazione dell'esercito filonazista dell'UPA, nel 1942, che le parole di Petro Porošenko sulla continuazione della guerra nel Donbass suonano come la constatazione diretta di ciò su cui nessuno, tantomeno le milizie delle Repubbliche popolari, si era fatto illusioni.

Il presidente golpista ha anzi annunciato che l'Ucraina impiegherà ora anche l'aviazione da combattimento; lo ha fatto proprio il 14 ottobre, di fronte ai manifestanti alle truppe schierate nella regione di Kharkov, vantandosi di “continuare la tradizione della pubblica donazione all'esercito di armi e mezzi da guerra: aviazione da trasporto e da combattimento, artiglierie e sistemi razzo, carri armati, mezzi blindati e trasporti truppe, oltre a materiale logistico”. Poco importa che il giorno seguente alcuni di quei mezzi da guerra fossero già inservibili (la rediviva Nadežda Savčenko ha accusato Porošenko di aver fornito mezzi avariati): l'importante è mostrarsi in linea con i “sentimenti” dei nazionalisti e dei nazisti di Pravij Sektor, da cui il presidente sembra costantemente temere l'attacco più pericoloso.

E mentre “donava” le armi, Porošenko dichiarava insolentemente che Kiev non applicherà gli accordi di Minsk, “finché non verrà realizzato il pacchetto sulla sicurezza” – la formula con cui Kiev intende l'introduzione di reparti armati Osce nel Donbass, cui si oppongono fermamente DNR e LNR – e dunque, secondo lui, “permane il rischio di ripresa delle azioni belliche”. A chi poi siano da imputare tali azioni, con le milizie che da oltre un mese hanno dichiarato un cessate il fuoco unilaterale, mentre Kiev, solo nell'ultima settimana, ha colpito oltre 1.200 volte le periferie delle maggiori città del Donbass, è sotto gli occhi di chi appena voglia vedere. Porošenko, ben contento di soddisfare le attese nazionalistiche dei suoi ascoltatori, ha detto chiaro e tondo che gli accordi di Minsk costituiscono il piano per il ritorno della sovranità ucraina sul Donbass, mentre “tutto il resto, a oggi, è solo malignità”. Più chiaro di così!

Dunque, è guerra. E ieri il leader della DNR, Aleksandr Zakharčenko, mentre annunciava ai media l'inizio delle esercitazioni delle milizie, constatava il repentino peggioramento della situazione al fronte, legato proprio alle dichiarazioni di Porošenko, che “ha avviato una nuova spirale di azioni belliche e ha così annullato gli accordi di Minsk”. Le artiglierie che da giorni stanno martellando Sakhanka, Kominternovo e Leninskoe; che stanotte hanno di nuovo colpito il rione Petrovskij di Donetsk, sono lì a dimostrarlo.

I semiteatrali interventi franco-tedeschi su una road map per l'applicazione degli accordi di Minsk, lasciano completamente il campo alla reale volontà di Washington sulla prosecuzione del conflitto e testimoniano una volta di più della fattiva sudditanza di Kiev alle decisioni del Pentagono e della sua spavalderia nel servirsi dei sussidi finanziari UE ai soli fini bellici.

E, di fatto, Berlino fa anche poco per nascondere tale situazione, tornando anzi a rigettare su Mosca la responsabilità della crisi: dopo il colloquio telefonico Merkel-Porošenko, la cancelliera tedesca ha dichiarato che Putin potrebbe essere invitato al prossimo vertice del “quartetto normanno”, previsto per il 19 ottobre, solo se ci saranno progressi nel Donbass. E i “tre normanni” (Merkel, Hollande, Porošenko), parlando di progressi, intendono proprio l'introduzione di reparti armati Osce nel Donbass, da contrapporre a quelle che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, lo scorso 12 ottobre, su richiesta ucraina, ha definito “le conseguenze politiche dell'aggressione russa all'Ucraina”.

In definitiva, sembra che Bruxelles intenda muoversi in direzione di un'estraneazione di Mosca dal processo di regolazione pacifica della crisi nel Donbass, accusando la Russia di “aver introdotto truppe” in appoggio alle milizie. Sembra di poter dire che le condizioni per tale direzione di marcia risiedano principalmente nei rapporti di forza tra chi, nella UE, persegue obiettivi strategici di potenza autonoma e chi invece segue le direttive statunitensi. Una soluzione della crisi del Donbass, per quanto a tutt'oggi appaia oltremodo lontana, dipende in larga parte dalla supremazia USA nel dettare urbi et orbi il ruolo assegnato all'Ucraina quale avamposto contro la Russia.

Sul momento, non resta che constatare come, sia a Washington che a Bruxelles, se da un lato si fanno insistenti le voci di una possibile qualificazione, su insistenza ucraina, di DNR e LNR quali “organizzazioni terroristiche” (con tutte le conseguenze militari che ne potrebbero derivare), dall'altro lato si continua a guardare con occhio benevolo alle marce, alle fiaccolate, agli onori che Kiev tributa ai nazisti ucraini di ieri e di oggi e si acclamano come “progressi della libertà” le persecuzioni contro comunisti e oppositori del regime golpista. La democrazia per chi è al potere.

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