A poco più di un mese dal referendum, l'appoggio pieno dell'“amico americano” è stato pensato e vissuto come una boccata d'ossigeno per un “fronte del sì” che deve registrare ogni giorno l'insofferenza crescente di un po' tutti gli strati sociali del paese. I sondaggi più amichevole danno il governo in lieve rimonta, ma il distacco dal NO è ancora ampio; in alcuni rilevamenti – da non prendere però troppo sul serio – appare addirittura abissale.
Dal lato di Matteo Renzi e della sua corte, dunque, non c'è dubbio che questo sia stato lo scopo principale. Ma è credibile che Barack Obama, leader in uscita della superpotenza in crisi, abbia voluto sprecare la sua “ultima cena” con un leader straniero soltanto per dare una mano al premier in difficoltà di un paese che va precipitando nella classifica mondiale? Davvero, insomma, non ha altro ruolo da giocare che quello dell'“amico amerikano”?
Per capire la chiave principale di questo incontro bisogna alzare lo sguardo oltre le miserie italiche e assumere un punto di vista “geostazionario”, in grado di cogliere quel che sta accadendo dai due lati dell'Atlantico negli ultimi tempi.
E allora ci si accorgerà che gli Stati Uniti, nel 2016, hanno perso il più potente alleato dentro l'Unione Europea. La Brexit infatti ha messo Londra in posizione esterna, non più in grado di influire “positivamente” sulla comunità di 28 paesi. Gli alleati ancora presenti (la Polonia e i paesi baltici) sono poco rilevanti o comunque bisognosi di restare contoterzisti delle filiere produttive che fanno base in Germania.
Il passaggio più importante pronunciato da Obama – riportato dai media, ma sempre in chiave endorsement pro-Renzi – è stata probabilmente:
“credo che le misure di austerità abbiano contribuito al rallentamento della crescita. In certi paesi abbiamo visto anni di stagnazione, che ha alimentato le frustrazioni economiche e le ansie che vediamo in tutto il continente, soprattutto tra i giovani che hanno più probabilità di essere disoccupati”.E quindi:
“L’Unione Europea rimane uno dei più grandi successi politici ed economici dei tempi moderni”, ma contro i populismi “occorrono politiche economiche inclusive, che investano fortemente nei nostri cittadini dando loro istruzione, competenze e la formazione necessaria per aumentare gli stipendi e ridurre le disuguaglianze”.Una critica frontale e diretta all'ordoliberismo teutonico che di fatto, congelando l'Europa, ha vanificato buona parte degli sforzi fatti dagli Usa – non solo tramite la Federal Reserve – per stimolare una qualche “ripresa” globale e soprattutto la firma finale al trattato transatlantico Ttip.
Renzi dunque si è andato a candidare come nuovo “miglior amico dell'America dentro l'Unione Europea”. Un ruolo complicato e pesante, se non hai le spalle larghe della Gran Bretagna.
C'è infatti da supportare l'aggressiva strategia Usa anti-russa, in Ucraina come nei paesi baltici (dove l'Italia ha già inviato 140 militari), proprio quando la Germania e la Francia spingono per ripristinare relazioni normali con Mosca (petrolio e gas possono arrivare da lì molto più comodamente e soprattutto senza le incertezze mediorientali).
Soprattutto, però, c'è da incrementare pesantemente l'impegno militare in Libia, per ora, perché il governo “riconosciuto dall'Onu” – quello di Al Serraj, che comanda su mezza città di Tripoli – appare debolissimo e sull'orlo del collasso. L'Italia renziana, in questo caso, dovrebbe fare il classico doppio gioco (stabilizzare la Libia nella direzione che gli americani prediligono, ma vendendola ai partner dell'Unione Europea come conditio sine qua non per bloccare le ondate dei profughi dalle coste libiche).
Messa così, in effetti, questa visita non appare un spot gratuito per il governo. C'è molto da pagare, invece. Ma come al solito pensano di metterlo in conto a noi...
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