Napolitano continua a comportarsi da
capo della maggioranza e da Presidente della Repubblica (al punto che
non riusciamo a capire perché si dimise due anni fa), ed ha colto
l’occasione per strigliare Renzi attribuendogli errori che avrebbero fatto partire il No, mentre, con il sotto tono, la vittoria del Si sarebbe stata certa e tranquilla.
E’ evidente che l’errore che Napolitano rimprovera a Renzi è la sua impostazione iniziale “se vincono i no, me ne vado” scatenando quella personalizzazione dello scontro che avrebbe avvantaggiato il No.
Ovviamente c’è del vero in quel che dice
Napolitano e personalmente tirai un sospiro di sollievo ascoltando
quella dichiarazione di Renzi: basta rileggere un mio articolo pubblicato qui
nel quale, fra i dissensi di diversi lettori, sostenni che Renzi era il
punto debole degli avversari e che la campagna del no avrebbe dovuto
far leva sulla diffusa ostilità verso il personaggio. Solo che, Renzi ci
ha reso la vita più facile andando al self service, ma sarebbe
stato comunque inevitabile che si producesse un effetto simile, perché
in ogni referendum c’è sempre un nemico di elezione che incarni il
fronte avversario (Fanfani 1974, Craxi 1991, Berlusconi 1998 e 2005).
Peraltro ci si mise lo stesso Napolitano
a dire che la campagna per il No era un affronto nei suoi confronti,
gettando altra benzina sul fuoco. Ed allora, perché questo sfogo, senza
nemmeno attendere il risultato del referendum?
Si tratta di un segnale di nervosismo
che fa capire come le cose si stiano mettendo male per il Si, ma perché
dichiararlo apertamente? Il fatto è che stanno venendo al pettine i dissensi sopiti fra i due.
Napolitano non ha mai amato Renzi (era
chiaro che il suo preferito era piuttosto Letta), poi, visto che c’era e
che bisognava farci i conti per portare al termine il suo progetto di
sventramento costituzionale, ci si è adattato a convivere. Anche Renzi
non ha mai amato Napolitano (ci ricordiamo degli sgarbi istituzionali
dei primi mesi del suo governo?).
D’altra parte, tutti e due avevano il
piano di una riforma della Costituzione di stampo piduista, per cui
potevano convergere almeno su quello, anche se poi in politica estera
– ad esempio – e nei rapporti con la Ue, non la pensavano certo allo
stesso modo. Ma, se il progetto costituzionale in sé era comune ai due
ed, anzi, era più di Napolitano che di Renzi (che, non a caso ha
recentemente detto che “questa riforma è più di Napolitano che mia”) era
decisamente diverso l’uso che ciascuno dei due intendeva fare.
Renzi aveva pensato di fare della battaglia per la riforma costituzionale, la base del suo “partito della Nazione”
che l’Italicum avrebbe dovuto garantire nel suolo di eterno partito di
regime. E questo si saldava anche con un progetto personale che vedeva
lui al Quirinale dopo Mattarella (tanto, a modificare la Costituzione ci
ha preso gusto e non è certo la norma sui 50 anni che potrebbe
fermarlo) e la Boschi a Palazzo Chigi.
Ma a Napolitano dei progetti del duo
Boschi-Renzi non potrebbe importare di meno. A lui interessa solo la
riforma costituzionale che ha promesso all’“Europa” (cioè alla
tecnocrazia europea). E non ha alcuna passione per un maggioritario di
partito: per lui le larghe intese sono quello che ci vuole ed il
governo Letta era la perfezione.
L’Italicum gli è sembrato un azzardo
senza né capo né coda che ha compromesso la riforma presentandola come
autoritaria. E’ questo il vero richiamo a Renzi mascherato dietro il
rimbrotto sulla personalizzazione del referendum che è un peccato
veniale rispetto al precedente. E tanto per essere capito, ora che si
mette mano alla riforma elettorale, dice senza mezzi termini, che le
coalizioni non sono una bestemmia. Quindi...
Renzi ha fatto il viso dell’arme e si è comportato come uno scolaretto: “Si signor maestro, mi sono sbagliato”.
Vedremo dal testo di riforma della legge elettorale se davvero crede a
quel che ha detto o cerca di sgusciare con qualche altra trovata.
E’ una partita a mosse oblique e ne vedremo ancora delle belle.
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