03/10/2016
Scalfarotto invita gli investimenti esteri esaltando i bassi salari
In un opuscolo del governo per attrarre gli investimenti esteri il Ministero dello Sviluppo Economico “confessa” il vero effetto di vent'anni di riforme del lavoro: salari bassi e che crescono meno della media europea.
“Se Scalfarotto fosse stato leader del movimento di liberazione dei neri invece di quello LGBT, oggi sarebbero ancora a raccogliere il cotone, ma con l'iPhone”.
Questa battuta di qualche tempo fa raccoglieva l'efficacia del politico PD nel promuovere e difendere i diritti della comunità di cui si era fatto in qualche modo portavoce all'interno delle istituzioni, durante la discussione sui matrimoni omosessuali che con gran squilli di trombe diventò la simbolica Unione Civile, con molta soddisfazione di Scalfarotto che definiva la legge l'unica cosa che si potesse fare al momento, e che quindi bisognasse accontentarsi. Forse però la battuta era riduttiva, perché a leggere l'opuscolo pubblicato sul neo-portale www.investinitaly.com si potrebbe pensare che Scalfarotto avrebbe potuto avere una parte ben più attiva nella compravendita di schiavi, esaltando la forza e l'economicità della merce lavoro in vendita.
Se infatti si sfoglia la brochure, dopo il solito elenco di motivi per cui le aziende straniere dovrebbero venire a investire i loro soldi da noi, tra cui le “eccellenze italiane” e gli incentivi fiscali, si arriva alla sezione HUMAN CAPITAL & TALENT, in cui non si esalta tanto l'alta specializzazione dei lavoratori qualificati italiani, ma il loro basso costo, o meglio proprio il rapporto costo/qualità.
“L'Italia offre un livello salariale competitivo (che cresce meno che nel resto della UE) e una forza lavoro altamente qualificata”. Così recita il sottotitolo. Un esempio? “Un ingegnere in Italia guadagna in media un salario annuale di 38.500 €, mentre negli altri paesi europei lo stesso profilo guadagna in media 48.500 € all'anno”. Investitori, guardate qua! I nostri ingegneri costano 10.000 euro all'anno meno di quegli altri!
Ma non è finita: con tanto di grafici vengono presentati altri due dati, che possono apparire esaltanti o deprimenti a seconda che voi siate il Ministro per lo Sviluppo o un giovane laureato in cerca di lavoro: non solo la media dei salari è più bassa, ma cresce anche meno che negli altri paesi (+1,18% dal 2011 al 2014 contro il +1,69% inglese o il +2,32% tedesco), mentre un raffronto fra veri settori mostri che i salari italiani sono più bassi nel Chimico, nel Civile, nell'Elettronico e anche nel Meccanico. “Il costo del lavoro è ben al di sotto di economie simili come la Germania e la Francia” chiude trionfale il capitolo. Poi Renzi fa gli spot per il referendum costituzionale con il bambino che vuole fare “l'inventore” ma non vuole emigrare, come se la ragione del “furto di cervelli” da parte degli Stati centrali della UE (già da tempo abbiamo rifiutato la visione di una spontanea “fuga” visto che come dimostrano anche i dati c'è un disegno criminale per fare sì che i lavoratori più qualificati se ne vadano) sia dato dalla struttura istituzionale piuttosto che da quella del mercato del lavoro.
Al di là dell'effetto comunicativo che può fare storcere il naso anche ad alcuni liberali, perché certe cose è meglio farle ma non dirle, il governo ha ben ragione di festeggiare questo risultato. Il Jobs Act insieme all'introduzione del sistema di sfruttamento legalizzato dei Voucher si sono inseriti perfettamente in un percorso di smantellamento dei diritti del lavoro e degli stipendi iniziato nel 1997 con il Pacchetto Treu e perfezionato dalle varie leggi Brunetta e Fornero, fino a quelle ultime. Queste riforme pubblicizzate anche dalla maggior parte dell'informazione nazionale come necessarie per rendere il mondo del lavoro più “dinamico”, però, finalmente mostrano il loro vero volto. Non erano certo bastati decine e decine di articoli scientifici su tutte le riviste economiche mondiali che dicevano che la liberalizzazione del mondo del lavoro ha come primo obiettivo ed effetto la riduzione del potere contrattuale e quindi dei salari. Ecco, ora lo dice anche il Governo: siamo a tutti gli effetti i più competitivi di tutta Europa. Evviva!
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