Secondo un rapporto della Banca Centrale Europea, negli anni della crisi, è cresciuta la concentrazione della ricchezza tra le famiglie più ricche nei paesi dell’Eurozona. Qualche problema “al ribasso” è venuto solo a causa dei prezzi immobiliari più bassi, come ha reso noto un’indagine della Banca centrale europea. Nelle cinque economie più importanti della zona euro il 5% delle famiglie possedeva nel 2014 il 37,8% della ricchezza netta contro il 37,2% registrato nel 2010. L’indagine della Bce ha riguardato il reddito di 84mila famiglie nei 18 stati dell’Eurozona.
Con le varie ondate di recessione, la crisi prolungata ha aumentato le diseguaglianze, soprattutto nei paesi della periferia della zona euro, come Italia, Spagna, Portogallo e la devastata Grecia, mentre i paesi al centro dell’eurozona sono stati più veloci a recuperare surplus e ricchezza.
La Grecia è il paese che continua a soffrire di più anche se è prevista una lieve crescita. Atene, secondo la Bce, vedrà il suo tasso di crescita aumentare in una misura pari allo 0,1 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) per la fine del 2016. Dovrebbero aumentare del 2,5 per cento del Pil nel 2017, dell’1 per cento nel 2018 e dell’1,2 per cento nel 2019.
La ricchezza media di una famiglia tipo dell’Eurozona, rivela l’indagine della Bce, è scesa in quattro anni di circa il 10 per cento, collocandosi a 104, lì dove il parametro 100 euro corrisponde a circa 108,800 dollari e, contemporaneamente, sono scesi i prezzi degli immobili. “La caduta della ricchezza netta è stata trainata principalmente da un calo del valore delle attività in particolare immobiliare” è scritto nel rapporto.
La crescita di criticità nel rapporto tra società e vincoli della moneta unica, viene sottolineata anche dal responsabile dell’Ifo, istituto economico tedesco, Clemens Fuest, il quale in una intervista al quotidiano tedesco Tagesspiegel ritiene che gli italiani alla fine vorranno lasciare l’area euro, a causa del mancato miglioramento del loro tenore di vita. “In Italia il tenore di vita si aggira allo stesso livello del 2000. Se la situazione non cambia, gli italiani a un certo punto diranno: “Non vogliamo più far parte dell’Eurozona”. Soprattutto, Fuest ha avvertito che, nel caso in cui il Parlamento tedesco dovesse approvare un programma eventuale di salvataggio per l’Italia, i rischi che a quel punto graverebbero sui contribuenti tedeschi sarebbero di “una dimensione tale da non poter essere controllati e anche conosciuti”. Di conseguenza, secondo Fuest il Parlamento tedesco dovrebbe opporsi a una eventuale ipotesi di salvataggio dell’Italia.
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