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03/01/2017

La “sinistra” di D’Alema, il vecchio liberismo compassionevole

Massimo D'Alema è ricomparso, nientepopodimeno che per "rifondare la sinistra" italica. Lo ha fatto con un'analisi dal titolo impegnativo e vagamente ammiccante al lessico più familiare agli ex piccisti ("Fondamenti per un programma della sinistra in Europa"), ma senza discostarsi un millimetro dal quadro delle "compatibilità" disegnate dall'Unione Europea neoliberista.

Sulla credibilità di questa impostazione, che può sollevare speranze solo in chi ha smesso definitivamente di pensare autonomamente (o come soggetto politico dotato di autonomia), lasciamo volentieri la parola a Stefano G. Azzarà, urticante come giusto. Diciamo...

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Buoni consigli e cattivo esempio: un'autocritica fittizia che non muove a pietà

La recente "autocritica" di Massimo D'Alema non può essere ritenuta credibile per tre diverse ragioni, a mio avviso.

Anzitutto, perché è assai sommessa e parziale e evita accuratamente di ricostruire la propria genealogia della colpa, limitandosi a pochi titoli frettolosi. Sotto questo aspetto ricorda le autocritiche pelose per le quali andava famoso l'onorevole Bertinotti nei suoi anni ruggenti di arrampicatore sociale: "sono stato troppo buono".

In secondo luogo non è credibile né creduta perché è chi la pronuncia che ha esaurito completamente il proprio capitale di credibilità quando si è trovato di fronte alla prova della storia. E non bastano due parole di circostanza fuori tempo massimo, quando si è ormai fuori dai giochi, per far dimenticare il ruolo strategico svolto in una serie di passaggi fondativi della nostra catastrofe giocato quando il tempo era ancora debito.

Infine, non può essere creduta soprattutto per una terza ragione, che rivela tra l'altro la natura ideologica e strumentale delle sue parole odierne. Perché cioè sotto il facile slogan di una "svolta a sinistra" D'Alema ripropone in realtà l'unico schema di gioco che lui e la sua generazione conoscono: il medesimo schema centrosinistro che ci ha portati dove siamo. Con in più solo la mera speranza che la sinistra possa avere più spazio sull'onda di un keynesiano continentale, che è però in realtà assai più improbabile – purtroppo – della introduzione immediata del soviet (non esistono margini di redistribuzione se non vengono messi in discussione i rapporti di proprietà, ma questo non è possibile perché i rapporti di forza sociali sono troppo squilibrati).

Proprio perché era il migliore, ci si è sempre aspettati da lui la cosa giusta. Invece ha sempre sbagliato e ora le occasioni sono finite. Se vuol dare una mano adesso che la fase è completamente diversa e che la ritirata strategica esige intransigenza, scelga di prendere i voti in un ordine minore, e percorra a piedi il paese a perpetuo emblema della necessaria espiazione. A quel punto, forse.

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