di Francesca La Bella
A
inizio mese Donald Trump sembrava aver trovato conferma del supporto di
alcuni Paesi mediorientali al suo Muslim Ban. La notizia, diffusa da
alcuni media internazionali e subito ripresa dal Presidente
statunitense, era quella dell’introduzione in Kuwait di un divieto di
ingresso per i cittadini di cinque Paesi a maggioranza musulmana:
Pakistan, Iran, Afghanistan, Siria ed Iraq. La smentita del Governo del
Kuwait è, però, stata immediata e netta: il
portavoce del Ministero degli Esteri, Sami al Hamad, avrebbe infatti,
dichiarato all’agenzia di stampa statale Kuwait News Agency (Kuna) che il
Governo “smentisce categoricamente queste affermazioni e afferma che
queste nazionalità segnalate hanno grandi comunità in Kuwait e godono di
pieni diritti”.
Una notizia falsa, ma non
totalmente inverosimile dato il crescente malcontento dei cittadini
kuwaitiani per l’alto numero di stranieri presenti nel Paese.
Data la limitata popolazione nazionale e l’economia in continua
crescita, il Kuwait è, infatti, da molto tempo meta di flussi di
migranti economici provenienti dal mondo arabo e dall’Asia. Secondo
l’ultimo censimento datato 2011 la popolazione si attesterebbe intorno
ai 3,1 milioni di abitanti di cui 1,1 milioni di cittadini kuwaitiani e 2
milioni di stranieri, ma le stime sono state riviste nel 2016, 3,7
milioni, e nel 2017, 4,1 milioni. Dati da cui sarebbe, però, esclusa una
larga fetta di lavoratori stranieri non censiti e appartenenti a
minoranze locali come i Bidoon, popolazione beduina solo in parte
beneficiaria della cittadinanza kuwaitiana. Secondo gli ultimi
dati gli stranieri costituirebbero, dunque, circa il 70% della
popolazione nazionale (circa 2,9 milioni) e apparterrebbero a molte
comunità nazionali, in particolare alla comunità indiana con (circa
900.000) e a quella egiziana (circa 450.000).
La percezione che la massiccia
immigrazione nel Paese sia un problema ha indotto il Kuwait a rivedere
più volte il proprio piano di accoglienza. Già nel 2013, infatti, il
Governo aveva previsto di tagliare di circa 100.000 unità all’anno il
numero dei lavoratori stranieri fino a dimezzarne l’entità in dieci
anni. Un programma di ampio respiro che non sembra aver sopito i
malumori della popolazione e che è stato ulteriormente potenziato
portando il Governo a varare nuove modifiche della legislazione interna.
Piccoli cambiamenti che, però, rischiano di avere un significativo
impatto sulla quotidianità dei lavoratori stranieri nel Paese.
E’ del
novembre 2014, ad esempio, la modifica delle normative riguardanti il
rilascio della patente di guida nazionale. La nuova legge prevede
l’incremento a 400 dinari (1200 euro circa) del salario minimo
necessario perché uno straniero possa ottenere una patente di guida. Il
candidato, inoltre, deve risiedere regolarmente in Kuwait da almeno due
anni ed essere laureato. Nonostante alcune categorie come
giornalisti, professori, sportivi ed altri siano state escluse dal
cambiamento, molti lavoratori stranieri hanno perso la possibilità di
guidare legalmente con conseguenti difficoltà nel proprio ambito
lavorativo e molti altri, trovati senza patente, sono stati espulsi dal
Paese. Nei mesi successivi molti altri piccoli cambiamenti sono stati introdotti e, ad esempio, per
far fronte alle necessità delle casse statali, lo scorso aprile anche
il prezzo dell’energia elettrica e dell’acqua in tutti gli edifici
residenziali hanno subito un significativo incremento da cui, però, i
cittadini kuwaitiani sono stati esentati.
Secondo quanto riportato in un lungo
articolo dell’Associated Press (Ap) di pochi giorni fa, il prossimo
passaggio in questa direzione sembra essere quello in ambito sanitario.
Dopo l’incremento del ticket per le visite specialistiche dal 15% al 20%
limitato ai soli espatriati e il blocco delle visite mattutine per i
servizi non urgenti nelle cliniche di Jahra, a ovest della capitale, e
nell’Ospedale Amiri a Kuwait City, come evidenziato dalla stessa Ap, ora
i lavoratori stranieri potrebbero trovare nuovi ostacoli alla libera
fruizione delle strutture mediche. Il Jaber Hospital, prima
struttura sanitaria pubblica costruita dopo più di trent’anni e situata a
pochi chilometri dalla capitale, potrebbe, infatti, essere il primo
ospedale per soli cittadini kuwaitiani. Per quanto alcune voci
si siano opposte a questi cambiamenti in quanto contrari al diritto
internazionale e alla stessa deontologia medica, la proposta sembra
trovare l’appoggio della popolazione locale che, sempre più spesso,
imputa ai lavoratori stranieri tutte le principali problematiche del
Paese.
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