Negli ultimi mesi l’opinione pubblica è stata scossa da un’apparente crescita di decessi per meningite. In rete impazza il dibattito
sull’attendibilità o meno delle campagne di profilassi contro il
meningococco c, il batterio più presente in questo focolaio che sta
interessando soprattutto la regione Toscana. Eminenti e
rispettati medici, da anni in prima fila nello studio e nel monitoraggio
dei flussi epidemici del meningococco, si espongono pubblicamente
contro le bufale che attraversano la rete. Bufale che arrivano
fino alla provocazione dei fascisti di Casapound secondo cui il focolaio
sarebbe stato prodotto dagli immigrati, tutti portatori sani. Una vera
bufala, quest’ultima, semplicemente perché in Africa e in Europa i ceppi
di meningococco sono differenti (b e c in Europa, A, W-135 e X in
Africa) e gli uni non si riscontrano nei territori degli altri.
Si potrebbe investire molto tempo nello smontare queste argomentazioni, ma non è il compito essenziale di questo articolo. Il problema è un altro: concentrarsi sulla lotta alle bufale non centra il punto.
Se le bufale sono la manifestazione ultima di questa epidemia di diffidenza nei confronti dei vaccini, quali ne sono le cause? Proviamo a evidenziare alcuni punti:
1. In una situazione di devastazione della sanità pubblica e peggioramento dell’accesso alle più basilari cure sanitarie,
media ufficiali e partiti di Governo scatenano una campagna isterica
sulla necessità di vaccinarsi. Risulta strano che il macellaio sia tanto
interessato al povero vitello.
2. La scienza e la medicina non sono neutrali. Il legame tra comunità medica ufficiale e produttori farmaceutici è risaputo. La comunità medica è travolta dallo stesso crollo di fiducia che travolge il resto delle istituzioni.
Questa diffidenza genera il suo
contrario. Nasce e fiorisce un mercato di ciarlatani: avvocati disposti a
intentare le più bizzarre cause per risarcimento danni da vaccini,
santoni della cosiddetta medicina naturale, siti di bufale. Così si
passa dalla padella del mercato dei vaccini alla brace del mercato
dell’antivaccinismo.
Per entrambi i poli, siamo clienti. Il punto, in questa questione come in altre, è l’affermazione di un punto di vista di classe indipendente.
Solo sottraendo il controllo della sanità al mercato, solo
riqualificando e difendendo la sanità pubblica, un problema medico torna
a essere tale.
Un’epidemia di meningite?
La questione “meningite” dunque non è un problema precisamente medico.
Secondo uno dei manuali di clinica dei vaccini più famoso al mondo,
Vaccines – Plotkins et al, le moderne campagne di profilassi sono più
che sufficienti per mantenere sotto il livello di guardia il rischio da
epidemia di meningite. Ancora nel 1998 la Gran Bretagna era
attraversata da una media di 1500 casi di meningite l’anno; dieci anni
dopo, nel 2008, il livello è mantenuto stabilmente sotto i 50 casi.
Nel quinquennio 2001-2005, sempre secondo Vaccines, i casi di infezione
da meningococco c in Olanda vengono ridotti da 276 a 4. E si potrebbe
continuare a lungo.
La Toscana è attualmente interessata da
un focolaio di meningite da meningococco c. Secondo l’Istituto Superiore
di Sanità (ISS d’ora in poi) si sono registrati 57 casi contro i 31 dei
primi due mesi del 2015. Secondo Eurosurveillance, i decessi sarebbero
saliti a 10 ma è necessario porre molta cautela prima di dire che si
tratta di decessi correlati all’infezione. Decorsi clinici complicati
(pazienti già colpiti da altre patologie, anziani etc.) possono
precipitare in caso di infezione. L’infezione in questi casi
accelererebbe una cartella clinica già compromessa.
Per capire, infine, perché al
momento non siamo di fronte a un’epidemia di meningite è sufficiente
considerare questi dati: secondo l’ISS, nel 2015 ci sono stati 196 casi
di infezione da meningococco c; già lo scorso anno la media fu di 0.32
casi per 100mila abitanti, contro i 0.27 del 2014, i 0.29 del 2013 e i
0.23 del 2012. C’è dunque una fluttuazione fisiologica che ha già toccato un picco lo scorso anno, senza che si gridasse all’epidemia.
Va poi aggiunto che, secondo
dichiarazioni lasciate allo stesso Telegiornale Regionale, da un medico
dell’ospedale pediatrico Meyer il numero più elevato di casi in Toscana è
dovuto a un sistema diverso e più sensibile di rilevazione che
permetterebbe di diagnosticare più facilmente i casi di meningite.
Dunque, dovremmo domandarci se vi è un
interesse nel sottolineare il rischio epidemico. E senza fare troppe
dietrologie, probabilmente c’è.
Da dove viene Big Pharma?
E’ naturale che il capitalismo in crisi generi costantemente dietrologie. I
lavoratori non si fidano di chi accumula profitto dalla salute ed è una
diffidenza naturale. Allo stesso tempo, la privatizzazione della sanità
e della produzione farmaceutica rende abbastanza evidente
l’associazione “produco un farmaco, perché mi conviene”. In
tempi di scandali finanziari, non c’è ragione di pensare che l’industria
farmaceutica ne sia esclusa. Tutt’altro. Il punto semmai è comprendere
quanto le opportunità di profitto nel settore dei vaccini condizionino
la realtà.
Secondo l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) il mercato mondiale dei vaccini è ancora un mercato relativamente piccolo: circa il 2% del mercato farmaceutico, per un valore complessivo superiore ai 20 miliardi di dollari. Il punto non sono i suoi numeri assoluti, ma
il tasso di crescita spaventoso: negli ultimi 13 anni il mercato è
cresciuto a ritmi del 15% contro il 7% dell’industria farmaceutica;
dai 5 miliardi di dollari del 2000, ora il mercato dei vaccini si
aggira sui 24 miliardi e non ci sono prospettive di arresto. Si stima
che entro il 2025 lambirà i 100 miliardi di dollari.
E’ chiaro che si tratta di un mercato in crescita, al momento non afflitto dal problema della sovrapproduzione. La
produzione di vaccini non è completamente piegata dalla legge della
domanda e dell’offerta: il vero business è la fornitura pubblica, che
gli Stati pagano profumatamente. E’ il vero paradosso
del parassita Big Pharma: produrre vaccini con margini spaventosi che i
lavoratori acquisteranno con le proprie tasse, quando una pianificazione
statale potrebbe fornirli praticamente gratis. E’ il capitalismo, bellezza.
Numeri di questo tipo spiegano
perché crescono le pressioni delle grandi multinazionali per ampliare la rosa delle vaccinazioni obbligatorie prima
dell’accesso scolastico. Il caso della multinazionale Merck
che, all’inizio degli anni 2000, fece una campagna spietata per
introdurre il proprio vaccino contro il papilloma virus nell’elenco
delle vaccinazioni scolastiche obbligatorie non era dettata da ragioni
filantropiche; si trattava di battere sul tempo Glaxo, che stava
sottomettendo un vaccino analogo all’approvazione della FDA, l’ente
americana responsabile di queste autorizzazioni.
E’ questo che genera una contraddizione che il mercato non può risolvere: il
vaccino serve a mantenere l’immunità di un gregge di popolazione e
quindi in sé non ha nulla di negativo; ma è prodotto per generare un
profitto privato e quindi è subito sottoposto al ciclo delle merci.
Non se ne esce: mi serve il vaccino, ma devo pagare; le multinazionali
producono i vaccini per i loro profitti ma... servirà comunque il
vaccino.
Il problema è dunque Big Pharma, non il vaccino in sé.
Difendere e finanziare la sanità pubblica
Il punto dunque è che, per quanta forza
possano avere le bufale contro i vaccini, il problema principale è che
curarsi costa. E i vaccini vanno inevitabilmente in fondo alla lista
perché gratuiti solo in determinate fasce d’età.
Dietro a un ticket sanitario vi è la
fornitura per qualsiasi strumentazione utilizzata dagli ospedali: dai
camici ai carrelli, dai guanti ai vaccini, fino ai bisturi e i farmaci,
per passare attraverso i grandi macchinari diagnostici, tutto quello che
vi circonda in un ospedale è fornito da un imprenditore privato
attraverso gara d’appalto. E’ un business enorme, che i lavoratori
pagano con le proprie tasse.
I tagli alla sanità, che nella
nuova Legge di Stabilità sono stati portati avanti attraverso i Lea, i
nuovi ticket sanitari, vanno nella direzione di spostare i lavoratori
verso le cliniche private. Gli ospedali pubblici devono rimanere in piedi solo per il business della fornitura privata; l’obiettivo della borghesia italiana è quello di dirottare le prestazioni progressivamente verso gli enti privati.
Il capitalismo in crisi produce
una sanità in crisi. Ci si vaccina solo in emergenza e ci si cura solo
in emergenza, pagando di più le stesse prestazioni. Per i
padroni il bilancio sarà comunque in attivo. Non è un caso che per
l’Istat, per la prima volta da 40 anni, l’aspettativa media di vita si sia
abbassata: 80.1 anni per i maschi italiani nel 2015 contro gli 80.3 anni
del 2014; 84.7 anni per le donne contro gli 85 del 2014. Sono valori
medi, che possono nascondere picchi ben più gravi.
Spicca ancora di più il Rapporto 2016 del Tribunale dei diritti del malato, basato su 21mila segnalazioni. Secondo il Rapporto, il 30% degli intervistati non riesce a pagare tutti i ticket sanitari delle prestazioni di cui avrebbe bisogno
(nel 2015 erano il 20% degli intervistati). Ancora nel 2015 in Italia
si contava una media di 45mila decessi ospedalieri in più rispetto al
2014.
Il problema è alla rovescia: non
si tratta di difendere necessariamente l’ampliamento della lista delle
vaccinazioni obbligatorie e passare dalla parte di Big Pharma o di
contrastarla e stare dalla parte delle bufale. Si tratta di sottrarre a
Big Pharma e ai privati la produzione dei vaccini.
Si tratta di organizzare i lavoratori
della sanità perché acquisiscano il controllo della fornitura
ospedaliera e, allo stesso tempo, di espropriare i principali fornitori
di materiale medico perché la fornitura sia un servizio pubblico.
Se il vaccino è necessario, non
solo non difendiamo la “libera scelta”, ma difendiamo l’introduzione
della sua gratuità e della nazionalizzazione della sua produzione.
Un servizio sanitario pubblico composto
da una rete di cliniche e presidi ben finanziati, qualificati e gratuiti
smonterebbe completamente la meccanica del dibattito attorno alle
campagne di vaccinazioni. Le renderebbe semplicemente una tappa nel
mantenimento dell’immunità di gregge secondo le esigenze cliniche del
momento.
Ma, come per la scuola, le ferrovie, le
biblioteche, i servizi all’infanzia, i servizi di salute mentale ed
altri, anche in questo caso è necessario risalire la china: non
mendicare finanziamenti che servono solo a ingrassare il fornitore
privato, ma rimettere al centro il conflitto di classe.
Perché perfino da questo dibattito sui
vaccini emerga stringente la più importante delle necessità: conquistare
il controllo della sanità pubblica per porla democraticamente sotto la
direzione di chi vi lavora e non di chi vi accumula denaro.
Il compito di una forza di
classe non può essere quella di improvvisarsi medici o sostituirsi ai
medici nel tentativo di reggere il confronto sui temi scientifici. Il
nostro compito è batterci contro la diffusione del mercato nel settore
sanitario, contro il conflitto di interessi che ne deriva. Se
un settore della medicina sarà influenzato da questa impostazione,
nascerà direttamente dall’interno della comunità medica un fronte in
grado di contestare, se necessario, la tendenza eccessiva all’uso di
farmaci, la politica della cosiddetta ipervaccinazione, la necessità di
una rete di osservazione medica pubblica e capillare, la
riqualificazione della rete di medici di base ecc.
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