Assistiamo in questi giorni ad un vero e proprio psicodramma a proposito delle divisioni interne al Pd che sta sfociando in queste ore in una scissione operata da alcune delle aree più critiche nei confronti della gestione renziana.
Sembra invece essere rientrato, almeno per ora, l’addio del governatore pugliese Emiliano, a lungo impegnato in un vero e proprio ‘ballo dell’orso’ ma che poi ha deciso di restare nel Pd e di partecipare alle primarie.
Al di là della narrazione offertaci dagli stessi protagonisti e da una stampa che è spesso ‘parte in causa’, occorre a nostro avviso mettere in evidenza alcuni elementi di fondo dei rivolgimenti politici ai quali assistiamo:
1 – Si sta definitivamente esaurendo – e nel peggiore dei modi – la storia politica del paese frutto dell’esistenza del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana, in generale dei partiti e delle organizzazioni di massa – l’associazionismo ‘bianco’ o ‘rosso’ e la Cgil in primis – che a lungo hanno garantito un capillare controllo sociale da parte delle classi dirigenti.
2 – Anche se il trambusto interno al Pd mette in primo piano la ‘crisi della sinistra’ (perché Renzi ha portato a compimento il distacco netto del Pd da ogni legame con la storia, la cultura e il bagaglio politico del movimento operaio variamente inteso) in realtà è tutto il mondo politico ad essere sottoposto ad un vero e proprio terremoto. A ben guardare, la destra è stata già destrutturata fin dai tempi del commissariamento del governo italiano da parte dell’Unione Europea – il governo Monti – col risultato che la leadership berlusconiana è stata messa in discussione da nuove entità ‘nazionaliste’ e ‘sovraniste’ che spuntano come funghi. La crisi riguarda tutti, compreso un Movimento Cinque Stelle messo a dura prova dalle vicende romane.
3 – La crisi del panorama politico non riguarda solo l’Italia ma ha una dimensione europea e a ben guardare occidentale. Nell’Unione Europea la sinistra di governo in ginocchio tenta varie carte per rimettersi in pista – dalla ‘svolta a sinistra’ della Spd tedesca fino alla vittoria dell’outsider Hamon nel Ps francese – per non parlare dell’impantanamento di Syriza in Grecia o dei socialisti in Spagna finiti a sostenere un governo di destra. Sul fronte opposto la maggior parte delle forze conservatrici sono incalzate e assediate da nuovi soggetti reazionari che cavalcano l’insicurezza sociale. Dall’altra parte dell’oceano il presidente della Casa Bianca è stato eletto nonostante l’ostilità di gran parte del Partito Repubblicano e deve ora fronteggiare un boicottaggio istituzionale senza precedenti.
E’ l’intera classe politica occidentale ad essere investita da una crisi che ha una natura epocale e non può essere derubricata a un puro problema di ridislocazione di alcuni pezzi dell’establishment italiano. Siamo di fronte in maniera evidente ad una crisi economica del mondo capitalistico, ed in particolare nei centri imperialisti, che diventa crisi di egemonia e si riversa nella sfera politico-istituzionale facendo saltare la capacità di gestione e controllo detenuta finora dalle classi dominanti.
Di fronte ad una crisi di egemonia delle classi dominanti di tali proporzioni i comunisti e tutte le forze antagoniste devono e possono lavorare per l’allargamento degli spazi a disposizione di un fronte di classe, a condizione però che si rinunci al politicismo, al tatticismo e all’opportunismo che finora hanno orientato l’azione delle forze della sinistra radicale. Quelle stesse che, di fronte alla nascita di un polo politico, per quanto magmatico, “a sinistra del Pd”, rischiano di rimanere abbagliate da una prospettiva di convergenza quanto mai dannosa.
In molti, sui media e nel mondo politico e istituzionale sia italiano che europeo, perorano la causa dell’unità ad ogni costo, descrivendo la rottura del Pd come una iattura, una sconfitta della sinistra (!?) o addirittura del paese. Spiccano le ipocrite dichiarazioni al riguardo di personaggi come Delrio, Letta o Prodi.
Ma ciò che interessa ai poteri forti, alle banche, all’impresa, ai cosiddetti mercati e all’Unione Europea non è tanto la salvaguardia dell’unità del Pd, quanto la stabilità di un governo che nei programmi di Renzi dovrebbe durare il minimo indispensabile ma che Bruxelles spera vada avanti il più possibile.
La spaccatura del Pd avviene in concomitanza con quella di Sel, che dopo aver deciso una rifondazione all’insegna dell’assorbimento di alcuni pezzi in fuga dal Pd e di ex pezzi della sinistra ‘antagonista’ perde una consistente pattuglia di dirigenti locali e di parlamentari, sensibili al richiamo della foresta di un Pisapia rafforzato dalla nascita di una nuova forza di centrosinistra animata da Bersani e D’Alema e che promette di tornare ai fasti del centrosinistra mandato in soffitta dalla rottamazione renziana. Alle dichiarazioni altisonanti ascoltate nel corso del congresso di Sinistra Italiana o nel dibattito animato dalle minoranze del Pd – “occorre una sinistra che smetta di fare cose di destra” – corrisponde in realtà una rincorsa da parte del ceto politico ereditato dal disfacimento del Pci a occupare uno spazio politico lasciato vuoto dalla svolta di Renzi ma che in mancanza di una rottura ideologica e politica non potrà che essere subalterno proprio al Partito Democratico. A chi gioisce per una ‘rinascita della sinistra’ occorrerebbe rispondere che il risultato delle spaccature e delle ricomposizioni di questi giorni sposta ulteriormente a destra l’asse politico di una sinistra già subalterna e in crisi di idee e di identità, a partire dalla fuga verso il centro dei vari Scotto o Pisapia. Al di là dei distinguo nei linguaggi e nei programmi, per tutte le varie fazioni il problema principale, come del resto è stato negli ultimi anni, è trovare un appiglio, un contenitore, un escamotage per guadagnare una rappresentanza parlamentare che (forse) una legge elettorale semi-proporzionale può rendere meno ardua, soglia di sbarramento permettendo. Ovviamente a dettare i tempi, i ritmi e le priorità saranno proprio i neo-campioni di una “sinistra” – a partire da D’Alema e Bersani – che negli ultimi anni ha condiviso tutte le scelte più scellerate dei governi di centrosinistra, dal jobs act alle privatizzazioni, dal salvataggio delle banche alle missioni militari ad un crescente autoritarismo.
In un tale contesto, rifuggendo ogni illusione di riportare indietro l’orologio della storia (e ci riferiamo a chi pensa di rinverdire i presunti fasti del centrosinistra facendo finta che la parentesi renziana sia stata un mero incidente di percorso, l’affermazione dannosa ma momentanea di un virus esterno), occorre tenere la barra dritta e difendere da facili quanto disastrose suggestioni l’indipendenza di un progetto di aggregazione sociale e politica che lavori concretamente a costruire un movimento popolare, sociale e politico per la rottura dell’Unione Europea che sappia individuare il nemico e proporre un’alternativa. A partire dalla sua battaglia contro l’Unione Europea, contro l’Euro e contro la Nato, Eurostop ha dimostrato di poter costituire il motore di una ricomposizione politica dinamica dei soggetti di classe in grado di indicare una via di organizzazione e di conflitto.
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