di Francesca La Bella
Parlare di Siria non è
mai semplice e lo è ancor meno riuscire ad analizzare le alleanze sul
campo. Tra i maggiori protagonisti internazionali sul terreno siriano
troviamo due attori come Russia ed Iran che, in questa particolare fase
storica, stanno determinando le sorti della guerra civile in atto. La
presenza delle forze di Teheran e Mosca a difesa del governo di Bashar
al Assad ha, infatti, avuto un impatto rilevante sia sul campo di
battaglia sia in ambito diplomatico. L’alleanza tripartita con
la Turchia durante la prima e la seconda fase dei colloqui di Astana in
Kazakistan sembra, in questo senso, essere riuscita, nonostante gli
evidenti limiti ancora presenti, a imporre una tregua prolungata e a
portare al tavolo negoziale la maggior parte degli attori del conflitto.
La convergenza di interessi tra le tre potenze avrebbe, dunque,
permesso alla Siria di iniziare un percorso di negoziazione tra le parti
e, in questo senso, sembra aprirsi la strada per un’azione congiunta
per far fronte al disequilibrio mediorientale. Secondo quanto riportato
da agenzie di stampa locali, la solida relazione tra Mosca e
Teheran, testata nel contesto siriano, potrebbe, infatti, ulteriormente
ampliarsi nei prossimi mesi. In un’intervista rilasciata
domenica scorsa al media libanese Al-Mayadeen, il portavoce del
Parlamento iraniano, Ali Larijani, avrebbe, infatti, dichiarato che i
due Paesi condividono gli stessi obiettivi nell’area e che sarebbe stato
intrapreso un percorso per la formazione di un’alleanza strategica per
il Medio Oriente tra Mosca e Teheran.
Analizzando più approfonditamente la questione, però, diviene
evidente come esistano linee di frattura significative e come
all’apparente vicinanza tra gli interlocutori, corrisponda un’intrinseca
differenziazione delle motivazioni e degli obiettivi del coinvolgimento
di Russia e Iran nel contesto siriano. Il diverso approccio delle due
potenze rispetto ai gruppi ribelli siriani è un esempio concreto di
questa distanza. Nei colloqui di preparazione di Astana,
infatti, l’apertura russa alle opposizioni e il continuo richiamo dei
portavoce di Mosca alla necessità di coinvolgere tutti gli attori del
conflitto siriano non hanno trovato eco nelle parole dei rappresentanti
di Teheran. Questo differente atteggiamento, per quanto dovuto a
molteplici cause legate sia alle dinamiche interne alla Siria sia alle
più ampie prospettive d’area, in ultima istanza, dipende dal ruolo
geopolitico dei due Paesi.
In questo senso, il sostegno dell’Iran al governo Assad deve
essere letto nell’ottica di un Paese che vuole ricoprire un ruolo leader
nelle dinamiche mediorientali e che, nella Siria, vede un alleato
fondamentale per il proprio posizionamento regionale.
L’eventuale partecipazione delle opposizioni ad un futuro governo,
invece, potrebbe indebolire la relazione tra i due Paesi a favore di
altri attori regionali, Turchia e Arabia Saudita in primis, con una
conseguente marginalizzazione di Teheran nello scacchiere mediorientale.
Per quanto riguarda la Russia, invece, la
volontà di proporsi come interlocutore indispensabile in tutti i
principali contesti globali, ha indotto Mosca ad aprirsi alla
possibilità di mediare sia con le potenze locali sia con gli attori
internazionali. L’invito agli Stati Uniti per Astana,
osteggiato da Teheran, l’apertura alla Turchia e, contemporaneamente,
alle minoranza curde siriane mostrano come i russi abbiano intrapreso un percorso che, passando per la Siria, mira ad un ruolo mondiale. Visto
in una logica più ampia, il governo Assad diventa, così, sacrificabile e
le alleanze strumentali e passibili di revisione qualora dovesse mutare
il contesto generale.
Più che dall’intervento del neo-eletto Presidente statunitense Donald
Trump o dalle resistenze saudite ad eventuali colloqui con Teheran, le frizioni tra Russia e Iran potrebbero, dunque, nascere dalla competizione tra i due Paesi.
Come molti analisti tendono a sottolineare, però, queste problematiche
difficilmente troveranno sfogo nel breve periodo data la necessità di
entrambi di mantenere un fronte solido fino alla definitiva sconfitta
dello Stato Islamico prima in Siria e poi in Iraq. Se si dovesse
giungere ad una fase di pacificazione, invece, le contraddizioni
potrebbero esplodere in tutta la loro forza alterando nuovamente
l’equilibrio di potenza dell’area.
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