di Chiara Cruciati
Questa mattina
un’autobomba è esplosa in un villaggio alle porte di al-Bab: 29 morti,
decine di feriti, tra cui molti civili. Nel mirino uffici militari a
Sousian, ad 8 chilometri dalla città della provincia nord di Aleppo,
gestiti dall’Esercito Libero Siriano (Els). L’attacco,
probabilmente perpetrato dallo Stato Islamico, arriva il giorno dopo
l’annuncio del gruppo di opposizione e dell’esercito turco di aver
strappato al-Bab all’Isis.
La città resta uno dei fronti aperti della guerra siriana, dopo
Aleppo un conflitto a bassa intensità ma ancora acceso da chiare
contraddizioni. Al-Bab è l’asso nella manica di Ankara, uscita
sconfitta dalla guerra contro il fronte pro-Assad dopo aver dovuto
accettare la permanenza, almeno nella fase di transizione, dell’attuale
presidente.
Al confine con la Turchia, comunità capace di spezzare l’unità kurda
tentata dalle Ypg di Rojava, al-Bab è al momento circondata: a sud c’è
l’esercito governativo siriano che preme e che fa temere – soprattutto
alla Russia – un possibile faccia a faccia con l’Els e con i turchi. Per
questo è da tempo in corso un negoziato gestito da Mosca sul
destino della città: sembrava che i russi avessero strappato alla
Turchia la promessa di far entrare l’esercito siriano in città, ma
l’annuncio di ieri cambia le carte in tavola.
Per ora nessuna reazione da Damasco, un silenzio forse dettato dai
negoziati aperti ieri a Ginevra sotto l’egida dell’Onu, già traballanti.
Se due giorni fa l’inviato Onu per la Siria de Mistura si diceva poco
ottimista (“Non ci aspettiamo una svolta”, aveva detto alla stampa), il primo giorno di round negoziale si è chiuso senza un nulla di fatto. Solo in serata le due delegazioni si sono incontrate senza però discutere dei temi sul tavolo, transizione politica, governo di unità, elezioni e nuova costituzione.
Le due delegazioni hanno ascoltato l’appello di de Mistura perché si
lavori insieme all’implementazione della risoluzione 2254 del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite. Allo stesso tavolo i due gruppi si
sono seduti dopo un lungo ritardo dovuto al disaccordo delle opposizioni
sulle modalità della prima sessione: l’Onu avrebbe preferito
delegazioni separate dei diversi gruppi (l’Hnc di matrice saudita e le piattaforme del Cairo e Mosca, più vicine alla Russia), ma alla fine hanno
partecipato tutte insieme sotto l’ombrello Hnc. Oggi tocca alla seconda sessione, che dovrebbe procedere con incontri separati per definire il“piano di lavoro”.
Fuori dal tavolo resta proprio la questione Isis, di cui non si
discute sebbene potrebbe rappresentare un’eventuale base di unità. Ma il
fronte delle opposizioni appare ancora frammentato sul piano politico
ed è sotto attacco su quello militare: dopo l’annuncio della
partecipazione al negoziato svizzero, il mese scorso, l’ex al-Nusra
(oggi a capo di una nuova coalizione di gruppi islamisti, denominata
Hayyat Tahrir al-Sham) ha aggredito con estrema violenza alcuni gruppi
di opposizione, prima alleati o comunque ufficiosamente sotto l’ala
qaedista. Nel mirino Els, ma anche Ahrar al-Sham che con l’ex al-Nusra
ha combattuto fianco a fianco in molti teatri di scontro.
Ci sarebbero questi attacchi dietro la decisione della Cia di
non sostenere più militarmente i “ribelli”. O almeno è questa la
giustificazione ufficiale: qualche giorno fa l’intelligence Usa ha
congelato gli aiuti militari ai gruppi di opposizione per
timore – dicono fonti interne – che in caso di altri attacchi le armi
finiscano nelle mani dei gruppi jihadisti. Una possibilità che si è
rivelata già concreta in passato ma che oggi pare diventare centrale per
la Cia.
A monte sta forse una considerazione politica figlia della
visione della nuova amministrazione Trump: un disimpegno dallo scenario
siriano, affidandosi alla strategia russa e, magari, una via d’uscita
alla guerra proprio passando per il definitivo indebolimento delle
opposizioni.
C’è però chi insiste nel sostegno ai ribelli. Si tratterebbe della Francia: in un’inchiesta Le Figaro
ha pubblicato alcuni estratti di una nota confidenziale del Ministero
degli Esteri di Parigi in cui si indicano il supporto militare ai
“ribelli” (nelle zone dove sono ancora presenti, a partire da
Idlib e il sud, dove però a gestire il territorio è l’ex al-Nusra) e
l’opzione della frammentazione della Siria come pilastri della strategia
francese nel paese.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento